Sentenza, Cassazione Penale,VI Sezione,15-04-2020, n. 12201, Assistenza familiare
In quest’occasione la Suprema Corte ha stabilito che il convivente more uxorio (a meno che il caso non rientri nelle “unioni civili” disciplinate dalla L. 27 maggio 2016, n. 76) non è tenuto all’obbligo di assistenza ex art. 570 c.p.., altrimenti si opererebbe un’interpretazione in malam partem, estensiva della responsabilità penale in contrasto con i principi di tassatività e determinatezza delle fattispecie incriminatrici. Qualora uno dei conviventi però decida di sostenere economicamente l’altro, non può costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali, trattandosi di un obbligazione naturale. Di converso, esso potrà agire per il recupero delle suddette somme nei confronti degli eredi del convivente defunto solo se costituiscano un arricchimento senza causa, ossia prestazioni patrimoniali estranee al mero rapporto di convivenza.
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-12-2019) 15-04-2020, n. 1220,
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRONCI Andrea – Presidente –
Dott. COSTANZO Angelo – rel. Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere –
Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.A., nate a (OMISSIS);
S.M., rato a (OMISSIS);
S.F., nato a (OMISSIS);
O.F., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza dè 25/02/2019 della CORTE APPEUO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso, udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. nANGELO COSTANZO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. FODARONI MARIA GIUSEPPINA, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di S.A., S.M. e S.F. o per l’inammissibilità del ricorso della parte civile;
sentito l’avvocato GIACOMO PASSIGLI in difesa della parte civile O.F. che chiede sia dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi degli imputati, in subordine associandosi alla richiesta del Sostituto Procuratore Generale, si riporta alle conclusioni e nota spese che deposita e insite per l’accoglimento del ricorso della parte civile;
sentito l’avvocato GIUSEPPE LO MONACO, sostituto processuale dell’avvocato FABRIZIO MIRACOLO in difesa di S.A., S.M. e S.F.; che insiste per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 29/01/2016, il Tribunale di Arezzo ha condannato S.A., S.M. e S.F., ex art. 110 c.p. e art. 570 c.p., comma 2, avere omesso reiteratamente di versare denaro alla madre ammalata M.A., così facendo mancare alla stessa i mezzi di sussistenza, oltre al risarcimento, in solido tra loro, dei danni civili subiti dalla parte civile O.F., persona danneggiata dal reato quale convivente more uxorio della defunta persona offesa, da liquidarsi in separata sede, con una provvisionale immediatamente esecutiva.
Con la sentenza n. 1212/2019 del 25/02/2019, parzialmente accogliendone l’impugnazione, la Corte d’appello di Firenze ha assolto gli imputati dal reato loro ascritto sino al 14/03/2011, conseguentemente riducendo la pena e la provvisionale e sospendendo la pena alla condizione del pagamento integrale della provvisionale entro 30 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
2. Nei ricorsi congiunti presentati dal difensore degli imputati si chiede l’annullamento della sentenza.
2.1. Con il primo motivo si deducono violazione dell’art. 570 c.p., comma 2, e vizio della motivazione circa l’elemento materiale del reato, per avere la Corte trascurato che la (defunta) persona offesa fruiva di circa 1300 Euro mensili (pensione, indennità di accompagnamento, contributo regionale per non autosufficienza) per 13 mensilità l’anno e viveva in casa di sua proprietà con il convivente (anch’egli pensionato), per cui non sussisteva un suo stato di bisogno, dovendo soltanto spendere quanto necessario per il vivere quotidiano, mentre le spese per ft. badante erano coperte dai figli, e sono stati trascurati i documenti prodotti dalla difesa e le prove testimoniali costituenti prove decisive per escludere lo stato di bisogno.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce mancanza dell’elemento psicologico del reato, avendo gli imputati avuto fiducia nell’assistenza economica di O.F. (ultratrentennale convivente more uxorio della loro madre), che, per un dovere di solidarietà a base di ogni comunità di tipo familiare, avrebbe dovuto contribuire alle spese della famiglia di fato.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce erronea applicazione dell’art. 2043 c.c. perchè il danno su cui si fonda il risarcimento non è stato definito nè provato.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso, si deducono violazione dell’art. 133 c.p. e vizio della motivazione circa la quantificazione della pena e il disconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
3. Nel ricorso presentato dal difensore della parte civile O.F. parte civile, convivere more uxorio della persona offesa e parte civile iure hereditatis, si chiede l’annullamento della sentenza.
3.1 Con il primo motivo di ricorso si deducono vizio della motivazione nella parte in cui si riduce il periodo di commissione del reato – con conseguente mancato risarcimento integrale del danno e riduzione della provvisionale – e in ordine alla documentazione attestante le spese sostenute, risultando insufficiente quanto versato dai figli per fare fronte allo stato di bisogno della madre e trascurandosi il danno morale ed esistenziale patito da O. quale erede della vittima del reato, danno che già il Giudice penale poteva liquidare integralmente.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione del D.M. n. 55 del 2014 (aggiornato dal D.M. n. 37 del 2018) nel capo relativo alle spese legali, immotivatamente liquidate in misura inferiore alla meta dei minimi del tariffario e poi illogicamente compensate nella misura del 50%.
Motivi della decisione
1. Il primo e il secondo motivo dei ricorsi degli imputati sono infondati.
1.1. Correttamente la sentenza impugnata, seppur con motivazione assai stringata, ha escluso un obbligo di assistenza del convivente more uxorio (a meno che il caso non rientri nelle “unioni civili” disciplinate dalla L. 27 maggio 2016, n. 76) riconducibile a quelli previsti dall’art. 570 c.p.. Del resto, opinare diversamente si risolverebbe necessariamente in una interpretazione in malam partem, estensiva della responsabilità penale in contrasto con i principi di tassatività e determinatezza delle fattispecie normative incriminatrici.
Può pertanto fin d’ora concludersi – o, per meglio dire, ribadirsi – che O. non aveva nei confronti della M. un obbligo giuridico di assistenza riconducibile alla previsione di cui all’art. 570 c.p., nè la sua convivente era titolare di un correlativo diritto, permanendo pieno, per contro, il dovere degli, imputati di non fare mancare alla madre i mezzi di sussistenza ex art. 110 c.p. e art. 570 c.p. comma 2, come contestato nel capo di imputazione.
1.2. Fermo quanto sopra, anche alla luce di quanto più ampiamente si dirà nel paragrafo 2.1, il primo motivo di ricorso reitera deduzioni già formulate con l’atto di appello, in relazione alle quali, nella sentenza impugnata, la Corte di appello ha quantificato il reddito percepito dalla M. in circa 9000 Euro annui. Pertanto, il ricorso in esame non poteva limitarsi a indicare un diverso e maggiore importo di tale reddito, sia pure specificando i singoli cespiti, senza allegare atti processuali a sostegno della fondatezza dei suoi assunti, secondo l’onere probatorio previsto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione per il caso (al quale va ricondotta la sostanza delle deduzioni che sviluppa) di travisamento della prova per omissione. Infatti, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. c.p.p., introdotto dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, art. 7, comma 1, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Talamanca, Rv. 276432).
1.3. Invece, la Corte di appello, rimarcando che la M. aveva rinunciato alla eredità del marito per beneficiarne i figli, ha evidenziato i gravi problemi di salute della donna (insufficienza renale cronica, con necessità di dialisi 3 volte alla settimana, demenza ingravescente), tali da renderla non autosufficiente.
Inoltre, ha rilevato che gli imputati contribuirono alle spese per le badanti che assistevano la loro madre, in modo sufficiente a escludere la loro responsabilità penale, sino al marzo 2011, ma che poi, da allora sino alla morte della donna, non corrisposero più nulla, senza addurre alcuna giustificazione.
La Corte ha ragionevolmente argomentato che con questo loro comportamento concludente gli imputati hanno riconosciuto la necessità di integrare i mezzi di sussistenza della madre – così rivelando anche il loro dolo nell’inadempimento successivo al marzo 2011 (pp. 8-9) – e ha puntualizzato che fu, invece, O. a provvedere di una badante (delle cui prestazioni beneficiò in parte per la casa) la M., con spese da 1000 a 1600 Euro al mese.
Nel ricorso non vi è alcuna contestazione specifica nel riguardo e va ribadito il consolidato principio di diritto secondo cui lo stato di bisogno del beneficiario non è escluso dall’intervento di terzi (neanche se coobbligati o obbligati in via subordinata), per cui il reato si configura anche se qualcuno si sostituisce all’inerzia del soggetto tenuto a somministrare i mezzi di sussistenza (ex multis: Sez. 6, n. 46060 del 22/10/2014, Rv. 260823; Sez. 6, 40823 del 21/03/2012, Rv. 254168; Sez. 6, n. 5954 del 14/02/1985, Rv. 906170).
Da quanto precede deriva dunque, già alla stregua delle stesse premesse che ne devono costituire il necessario sostrato, l’inconsistenza della prospettazione difensiva.
2. Relativamente il primo motivo di ricorso della parte civile – che risulta inammissibile – e al terzo motivo di ricorso degli imputati – che risulta parzialmente fondato – deve osservarsi quel che segue.
2.1. Si è già detto che O.F. non era tenuto a erogare mezzi di sussistenza alla convivente more uxorio, dovendo ora precisarsi che quanto da lui speso a quello scopo costituisce una libera disposizione, da ricondursi nel novero delle obbligazioni naturali.
Le unioni di fatto, quali formazioni sociali che presentano significative analogie con la famiglia formatasi nell’ambito di un legame matrimoniale e assumono rilievo ai sensi dell’art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che sono espressioni dei vincoli di solidarietà e affettività di fatto esistenti e si esprimono anche nei rapporto di natura patrimoniale, ma senza assumere la cogenza, giuridica di cui all’art. 43 c.c., comma 2.
In questi casi, del rapporto fattuale non sorge un’obbligazione civile ma un’obbligazione ex art. 2034 c.c., per cui soltanto dopo che si è verificato lo spontaneo adempimento della obbligazione naturale, la prestazione assume rilevanza giuridica e non può essere ripetuta perchè si è prodotta la soluti retentio.
Ne consegue che le attribuzioni patrimoniali a favore del convivente more uxorio effettuate ne corso del rapporto configurano l’adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. (Cass. civ., Sez. 1, n. 1266 del 25/01/2016, Rv. 638320; Cass. civ., Sez. 1, n. 12:77 del 22/01/2014, Rv. 629802).
Tuttavia, tale obbligazione naturale vale solo nei confronti della persona convivente e non anche dei suoi figli, per cui non ha fondamento una pretesa di risarcimento nei loro confronti. Una siffatta pretesa potrebbe valere solo se ricorressero nei confronti della convivente gli specifici presupposti dell’arricchimento senza causa in presenza di prestazioni a suo vantaggio esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il contenuto delle quali va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 14732 del 7/06/2018, Rv. 649049; Cass. civ. Sez. 3, n. 11330 del 15/05/2009, Rv. 608287). Trattasi, comunque, di questione che esula dai temi del presente processo penale.
Sulla base di quanto precede, la sentenza impugnata va annullata, in relazione alle statuizioni civili, limitatamente al disposto risarcimento dei danni patrimoniali, ivi compresa la provvisionale liquidata il favore della costituita parte civile.
2.2. Permane, invece, l’obbligo degli imputati di risarcire O. quale parte civile, costituitasi iure hereditatis in relazione ai danni non patrimoniali sofferti dalla defunta M.A., a causa del reato dei figli che la vide persona offesa, perchè nel patrimonio del de cuius rientrano anche i danni quantificabili in somme di denaro, per le sofferenze morali patite dalla defunta parte lesa per i reati commessi in suo danno (Sez. 5, n. 29729 del 04/05/2010, Rv. 248259) e, su questo punto, gli atti vanno rimessi al Giudice civile competente per valore in grado di appello.
Sussiste il diritto degli eredi legittimi della persona offesa dal reato alla costituzione di parte civile preordinata ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e morali richiesti iure hereditatis.
Da quanto precede deriva che il terzo motivo di ricorso degli imputati è solo parzialmente meritevole di accoglimento, nei limiti già descritti.
3. Il quarto motivo di ricorso degli imputati è infondato.
Nel quantificare la pena, la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha idoneamente motivato l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche non ravvisando elementi di valutazione favorevole, senza che, del resto, il ricorso in esame ne indichi di siffatti. Inoltre, la sentenza impugnata ha rimarcato (p.9) la rilevante durata delle residua condotta illecita riconosciuta e la insensibilità e la ingratitudine degli imputati verso la madre, comminando una pena (3 mesi di reclusione e Euro 300 di multa) comunque t. nella fascia inferiore dell’arco edittale.
4. Il secondo motivo di ricorso della parte civile è inammissibile per difetto di specificità perchè censura la statuizione sulle spese processuali liquidate in favore della parte civile senza indicare le voci tabellari i cui limiti sarebbero stati violati, non essendo sufficiente un riferimento solo sommario, nel ricorso, a tali voci tabellari (Sez. 5, n. 49007 del 14/06/2017, Rv. 271443).
5. Gli esiti finali dei ricorsi conducono alla condanna degli imputati alla rifusione delle spese di assistenza e difesa nel grado sostenute dalla parte civile, spese che, per la parziale reciproca soccombenza (Sez. 5, n. 15806 del 19/03/2019, Rv. 276627), risulta equo compensare fra le parti in misura di due terzi, così, liquidandole in favore di O. in complessivi Euro 3.600,00 oltre rimborso spese generali pari al 15% IVA e CPA. 6. Dalla inammissibilità del ricorso parte civile deriva la sua condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto alle statuizioni civili, limitatamente al disposto risarcimento dei danni patrimoniali, ivi compresa la provvisionale liquidata in favore della costituita parte civile, rimettendo gli atti al Giudice civile competente per valore in grado di appello, quanto ai danni non patrimoniali. Rigetta nel resto il ricorso di S.A., S.M. e S.F. e li condanna alla rifusione delle spese di assistenza e difesa nel grado sostenute dalla parte civile O.F., che liquida in complessivi Euro 3.600,00 oltre rimborso spese generali pari al 15% IVA e CPA, dichiarandole compensate fra le parti in misura di due terzi. Dichiara inammissibile il ricorsa della parte civile O.F., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2020