Sentenza, Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite, 28 aprile 2020, n. 8240, Telecomunicazioni – Tentativo obbligatorio di conciliazione:
Riprendendo l’insegnamento della Corte Costituzionale, la Suprema Corte afferma che, in materia di telecomunicazioni, non è necessario procedere al tentativo obbligatorio di conciliazione prima di attivare il procedimento monitorio, in quanto sussiste incompatibilità strutturale tra le due procedure, essendo il ricorso per decreto ingiuntivo un procedimento privo di contraddittorio o meglio, a contraddittorio differito. Ciò non esclude che la risoluzione alternativa della controversia possa essere esperita successivamente all’opposizione a decreto ingiuntivo, il quale introduce un giudizio a cognizione piena. Sull’improcedibilità della domanda, in caso di mancato assolvimento di detto obbligo, e sulla parte onerata ad attivarlo, nella successiva fase dell’opposizione al decreto ingiuntivo, le Sezioni Unite si pronunceranno con separata ordinanza.
Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite, 28 aprile 2020, n. 8240
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 26180/2015 proposto da: TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ABRUZZI 3, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ZACCHEO, che la rappresenta e difende; – ricorrente contro NOATEL S.P.A.; – intimata avverso la sentenza n. 1375/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/02/2015. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2020 dal Consigliere LINA RUBINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’Avvocato Massimo Zaccheo. Svolgimento del processo 1. – La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 1375/2015, rigettando l’impugnazione proposta da Telecom Italia s.p.a. (d’ora innanzi, Telecom) nei confronti della società Noatel s.p.a. (già Karupa s.p.a.), ha integralmente confermato la sentenza n. 181/2013 con la quale il Tribunale di Roma, nel revocare il decreto ingiuntivo emesso, aveva dichiarato improcedibile la domanda di pagamento azionata da Telecom in via monitoria nei confronti di Karupa (oggi Noatel), in relazione al corrispettivo per la fornitura di servizi di telecomunicazione mobile, per il mancato espletamento, prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, del tentativo obbligatorio di conciliazione (previsto dalla L. n. 294 del 1997, art. 1, comma 11 e dalla Delib. dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni 182/02/ CONS). 1.1.- La Corte d’appello individua il thema decidendum nella questione se il ricorso ex art. 633 c.p.c., debba o meno essere preceduto dal tentativo di conciliazione, come statuito dalla L. n. 249 del 1997, nonchè, con atto normativo secondario di natura esecutiva, dal regolamento AGCOM 182/02/CONS. La corte territoriale dà risposta affermativa al quesito, valorizzando il tenore letterale dell’espressione contenuta nell’art. 4 della Legge citata, secondo la quale “il ricorso giurisdizionale non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione…”, nella cui nozione è a suo avviso pianamente riconducibile, in un rapporto da genere a specie, il ricorso per decreto ingiuntivo; anche sotto il profilo sistematico, e richiamando la necessità di una lettura costituzionalmente orientata delle norme, conferma la necessità di esperire il preventivo tentativo di conciliazione prima di richiedere il provvedimento monitorio, dovendo ravvisarsi, in caso contrario, una violazione ingiustificata del principio di uguaglianza. Il discrimen tra una forma di tutela e l’altra, diversamente opinando, sarebbe lasciato alla libera scelta del titolare del credito che agisce in monitorio. Sottolinea che sia agendo in monitorio che con il normale atto di citazione si agisce a tutela del medesimo diritto di credito, ottenendo un provvedimento atto a passare in cosa giudicata, e che l’opposizione introduce un “normale” giudizio di cognizione il cui oggetto è proprio l’accertamento del diritto azionato in monitorio. 2. – Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso Telecom, articolando un unico motivo di censura illustrato da memoria e formulando in via subordinata eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, per violazione degli artt. 3, 24, 102 e 76 Cost.. Nessuna attività difensiva è stata svolta dalla società intimata. 3. – La causa, dapprima avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata dinanzi alla terza Sezione civile, e poi rimessa alla pubblica udienza del 20.3.2019, è stata trasmessa al Primo Presidente e da questi assegnata alle Sezioni Unite, avendo la terza Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 16954 del 2019,
segnalato la presenza di tre questioni di massima di particolare importanza: a) se, nella materia delle telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione sia o meno obbligatorio anche con riferimento ai procedimento monitorio; b) nel caso in cui si ritenga obbligatorio il tentativo, se il mancato assolvimento di detto obbligo comporti la improcedibilità ovvero la improponibilità della domanda; c) nel caso in cui, al contrario, si ritenga non obbligatorio il tentativo, quale sia, nella successiva fase dell’opposizione, la parte sulla quale grava l’onere di attivazione del tentativo di conciliazione e quali siano le ripercussioni della eventuale inottemperanza a tale onere sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto. Al termine dell’ordinanza interlocutoria si puntualizza, quanto a quest’ultimo problema – che il ricorso in esame non impone in effetti di affrontare in quanto il processo si è chiuso con una pronuncia in limine, di improcedibilità del ricorso per decreto ingiuntivo, e non si è mai aperta una fase di opposizione – che la questione è stata segnalata al Primo Presidente con separata ordinanza (la n. 18741 del 2019); essa è stata rimessa autonomamente alle Sezioni Unite e verrà esaminata in una prossima udienza. 4. – La Procura generale ha depositato conclusioni scritte, con le quali chiede l’accoglimento del ricorso. Motivi della decisione Il ricorso. 1. – La Telecom Italia s.p.a., con un unico motivo di ricorso, denuncia la violazione della L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11 e dell’art. 1 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed anche, in relazione all’art. 360, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso “con riferimento alla pronuncia di improcedibilità dell’azione monitoria proposta da Telecom”. 1.1. – La ricorrente, in relazione al vizio di violazione di legge si duole che la Corte territoriale: a) violando e comunque male interpretando la L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, abbia ritenuto che essa imponesse, a pena di improcedibilità, l’obbligatorietà del preventivo tentativo di conciliazione anche con riferimento al procedimento monitorio; b) violando il generale principio di gerarchia delle fonti (fissato dall’art. 1 preleggi), abbia ritenuto che gli artt. 3 e 4 del regolamento AGCOM 182/02/CONS (norma secondaria), nell’includere il procedimento monitorio tra quelli in relazione ai quali è necessario il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione, fossero prevalenti sulla norma primaria (costituita dalla L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11). Deduce, in particolare, la ricorrente che il principio – dettato dalla Corte costituzionale per escludere l’applicabilità del tentativo di conciliazione ai procedimenti monitori nelle controversie in materia di lavoro (ordinanza n. 276 del 2000) e di rapporti di
subfornitura (ordinanza n. 163 del 2004) – ha portata di carattere generale e deve trovare applicazione, nel silenzio della legge, anche ai procedimenti monitori, ed in particolare, in riferimento al caso di specie, all’utilizzo di essi in materia di telecomunicazioni. 1.2. – In relazione poi al denunciato vizio di motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente rileva di aver dedotto, alla stregua delle pronunce della Corte costituzionale, la incompatibilità strutturale tra tentativo di conciliazione e decreto ingiuntivo in entrambi i giudizi di merito (e, in particolare, alle pagine 3-9 dell’atto di appello), ma che la Corte territoriale in nessun passaggio motivazionale della sentenza impugnata abbia affrontato il tema. 1.3. – In via subordinata – per l’ipotesi in cui la L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, venga interpretato nel senso che esso imponga in capo al creditore, prima e affinchè possa chiedere un decreto ingiuntivo, l’obbligo di promuovere il tentativo di conciliazione la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale della norma così interpretata. Il precedente di legittimità. 2. – Il primo interrogativo sottoposto all’attenzione della Corte dalla ordinanza interlocutoria è se, nella particolare materia dei servizi di telecomunicazioni, sia necessario esperire preventivamente il tentativo di conciliazione anche per poter richiedere l’emissione di una ingiunzione di pagamento. 2.1. – Esiste un unico precedente specifico nella giurisprudenza di legittimità sulla necessità o meno di far precedere, nella specifica materia delle telecomunicazioni, la richiesta di emissione di un decreto ingiuntivo dall’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, costituito dalla sentenza n. 25611 del 14/10/2016, nella quale la terza Sezione della Corte, autrice delle odierne ordinanze interlocutorie, decidendo un caso analogo a quello oggetto del ricorso introduttivo del presente giudizio, è pervenuta ad affermare, con ampia motivazione, che il tentativo obbligatorio di conciliazione non si estende anche alla fase sommaria della procedura monitoria. Il principio di diritto espresso dalla menzionata sentenza è stato così massimato: “In tema di controversie tra gli organismi di telecomunicazioni e gli utenti, il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dalla L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, non è condizione di procedibilità anche del ricorso per decreto ingiuntivo, attivando quest’ultimo un procedimento “inaudita altera parte”, rispetto al quale la sperimentazione della possibilità di comporre bonariamente la vertenza non appare praticabile, proprio per l’assenza del contraddittorio tra le parti”. L’ordinanza interlocutoria. 3. – L’ordinanza interlocutoria, n. 16594 del 2019, muove i seguenti rilievi critici alla soluzione adottata da Cass. n. 25611 del 2016 Cass. civ., Sez. III, Sent., (data ud. 14/10/2016) 14/12/2016, n. 25611 in ordine alla prima questione: – nelle controversie in materia di telecomunicazione i termini “controversie”, “ricorso in sede giurisdizionale” e “agire in giudizio”, di cui alla complessiva normativa
esistente in materia, sembrano potersi riferire non soltanto all’azione giurisdizionale ordinaria, ma anche al procedimento senza contraddittorio introdotto con le forme speciali di cui all’art. 633 c.p.c.; – il procedimento per decreto ingiuntivo ha lo scopo di giungere alla celere formazione di un titolo esecutivo mediante cognizione sommaria e senza contraddittorio, differito all’eventuale fase di merito introdotta dal giudizio di opposizione, ma consentirne l’introduzione in assenza di un preventivo tentativo di conciliazione contrasterebbe proprio con la ratio della L. n. 249 del 1997 (che è quella di deflazionare, in subiecta materia, il contenzioso ordinario pendente dinanzi ai tribunali); – la conciliazione deve svolgersi entro il termine di 30 giorni, per cui è inconsistente l’esigenza di scongiurare il pericolo di un effetto dilatorio della tutela giurisdizionale; d’altronde, non è infrequente nella prassi che le parti, all’esito del tentativo di conciliazione, raggiungano un accordo che evita il giudizio, mentre un decreto, contenente l’ingiunzione di pagamento di una modesta somma di denaro, potrebbe indurre l’utente a non proporre opposizione, in considerazione, a tacer d’altro, dei costi del processo (con conseguente esposizione all’obbligo di pagare anche importi eventualmente non dovuti); – l’estensione alle controversie in materia di telecomunicazione dell’esclusione dell’obbligatorietà del tentativo quanto alla fase monitoria, disposta in via generale dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, sembra non tener conto del carattere speciale della normativa che disciplina la suddetta materia; – la non incidenza del dato statistico sulla pur riconosciuta asimmetria difensiva non pare in linea con la generale esigenza di tutela del contraente debole (che, nella specie, è da ravvisarsi nel singolo utente e non certo nella compagnia di telefonia); – la sentenza della Corte di giustizia del 18/3/2010 (Alassini), che pone un elenco tassativo di condizioni che devono sussistere affinchè sia obbligatorio il tentativo di conciliazione, sembra doversi interpretare, e trovare attuazione, nel senso che detto tentativo sia da considerarsi obbligatorio anche in presenza di un giudizio monitorio nelle controversie in materia di telecomunicazione, restando conseguentemente circoscritta (in guisa di eccezione a tale regola) la possibilità di non esperirlo alle sole ipotesi in cui sia necessario disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone (ipotesi da ritenersi, pertanto, del tutto eterogenee rispetto alla ordinaria procedura per decreto ingiuntivo, normalmente priva, di per se, dei detti caratteri di eccezionalità ed urgenza); – la Delib. AGCOM 173/07/CONS, art. 2, comma 2, prevede l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione prima del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo per tutte le controversie in materia di telecomunicazione (con esclusione di quelle nelle quali “l’inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni effettuate”), mentre la esclude nella fase di opposizione, e la facoltà del giudice ordinario di disapplicare detta disposizione appare dubbia, non emergendo alcun contrasto tra la stessa e la legge delega (ed, anzi, avendo il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1961/2013, esplicitamente ravvisato il fondamento legale della Delib. AGCOM nel disposto della normativa primaria di cui all’art. 1, comma 11 e art. 84 del
codice delle telecomunicazioni); – l’art. 84 del codice delle telecomunicazioni (D.Lgs. n. 259 del 2003, attuativo della direttiva comunitaria Servizio universale n. 22/2002) contiene la delega all’AGCOM della disciplina degli strumenti di definizione del contenzioso alternativi agli strumenti giurisdizionali. Donde il quesito (che, ad avviso del collegio remittente, meriterebbe risposta affermativa) se, nella materia delle telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione sia obbligatorio anche con riferimento al procedimento monitorio. Cenni al quadro normativo. 4. – E’ necessario, per fornire una risposta agli interrogativi posti dalla ordinanza interlocutoria- e per individuare a quale, o a quali di essi sia necessario dare risposta in questa sede – procedere all’inquadramento normativo della fattispecie, sulla base di una interpretazione delle norme applicabili costituzionalmente orientata e che tenga conto delle affermazioni della Corte di Giustizia. 4.1. – La disciplina generale in materia di modalità alternative di risoluzione delle controversie finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, ovvero il D.Lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche, all’art. 5, commi 1 e 1 bis, prevede che il preventivo esperimento di un procedimento di mediazione sia obbligatorio in una serie di materie e che il suo preventivo esperimento costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, con un meccanismo di procedibilità sospensiva, in quanto prevede una modalità di recupero, durante il processo, dell’attività conciliativa eventualmente omessa. Infatti, se il giudice si avvede che la mediazione è iniziata ma non si è ancora completata, o se riscontra che le parti non vi hanno proceduto prima dell’introduzione del giudizio, deve rinviare la trattazione ad udienza successiva alla chiusura del procedimento di mediazione, fissando all’e parti un termine per iniziare la mediazione se non vi hanno ancora dato corso. 4.2. – Il medesimo art. 5, comma 4, prevede poi che i commi 1 bis e 2 (quest’ultimo, sulla c.d. mediazione delegata o iussu iudicis) non si applichino in una serie di procedimenti, tra i quali i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. 4.3. – Pertanto, per scelta normativa, nella generalità dei procedimenti per i quali è stata introdotta la mediazione preventiva obbligatoria, è esclusa la necessità di procedere preventivamente alla mediazione per poter richiedere un decreto ingiuntivo, e la necessità di introdurre un metodo di risoluzione alternativa è postergata non solo alla introduzione del giudizio di opposizione, ma anche alla intervenuta decisione sulla provvisoria esecutorietà del decreto. 4.4. – Le norme da ultimo citate non sono tuttavia direttamente disciplinanti la fattispecie in esame, perché l’art. 23 del medesimo D.Lgs., fa salvi i procedimenti di conciliazione e mediazione obbligatori già esistenti, ma costituiscono un riferimento interpretativo di tutto rilievo.
4.5. – Nel settore delle telecomunicazioni vi è una autonoma regolamentazione, che prevede anch’essa una modalità di risoluzione alternativa delle controversie, denominata tentativo di conciliazione obbligatorio. 4.6. – In particolare, la L. 31 luglio 1997, n. 249 (che ha istituito l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni ed ha regolamentato i sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) all’art. 1, comma 11, prevede che: “L’Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze, oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell’Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità. A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione”. 4.7. – In forza della suddetta delega legislativa, l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni (le cui competenze sono indicate nell’art. 1, comma 6 della citata legge istitutiva), con Delib. n. 182 del 2002, ha adottato un primo Regolamento relativo alla risoluzione delle controversie insorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti. Detto Regolamento: – all’art. 3, comma 1, dispone che: “Gli utenti o associati, ovvero gli organismi, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell’Autorità e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio”; – all’art. 4, comma 1, dispone che: “La proposizione del tentativo di conciliazione, ai sensi della L. 31 luglio 1997, n. 249, art. 1, comma 11, sospende i termini per agire in sede giurisdizionale, che riprendono a decorrere dalla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione”; – all’art. 4, comma 2, dispone che: “Il ricorso giurisdizionale non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza”. 4.8. – L’AGCOM, con successiva Delib. n. 173/07/CONS, ha adottato un nuovo Regolamento per la risoluzione extragiudiziale delle controversie (sostitutivo di quello previsto dalla Delib. AGCOM 182/02/CONS, sopra richiamato), con il quale, per quanto qui rileva, ha previsto: – nell’art. 2, comma 1, che: “Ai sensi dell’art. 1, commi 11 e 12, della legge, sono rimesse alla competenza dell’Autorità le controversie in materia di comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori, inerenti al mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali stabilite 7 dalle norme legislative, dalle delibere dell’Autorità, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi”;
- nell’art. 2, comma 2, che: “Sono escluse dall’applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l’inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l’utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 3, per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli artt. 645 c.p.c. e segg.”; – nell’art. 3, comma 1, che “Per le controversie di cui all’art. 2, comma 1, il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all’art. 13”. Un successivo regolamento è stato approvato con Delib. n. 203 del 2018. 4.9. – Alla controversia in esame è applicabile, ratione temporis, il secondo regolamento (n. 173/07/CONS), entrato in vigore il 24 luglio 2007 (trentesimo giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) in quanto il ricorso per decreto ingiuntivo è stato depositato il 6.9.2017. 4.10. – Il dato testuale fornito dalla normativa di riferimento (art. 3, comma 1) pur nella sua non univocità conduce verso l’esclusione della obbligatorietà del tentativo di conciliazione per poter accedere al procedimento monitorio: la legge istitutiva prevede il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione per poter proporre ricorso giurisdizionale e per poter agire in giudizio, utilizzando una terminologia che è di solito associata all’atto introduttivo di un giudizio ordinario, a contraddittorio immediato; il successivo regolamento, chiamato a disciplinare solo le modalità di esecuzione della procedura alternativa, nulla aggiunge di determinante. 4.11. – Un argomento letterale contrastante con l’obbligatorietà del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione in riferimento al procedimento monitorio può trarsi dalla previsione contenuta nella Delib. AGCOM 173/07/Cons, art. 2, comma 2 (del quale però la dottrina ha segnalato la non agevole e univoca interpretazione) che, modificando il precedente regolamento del 2002, testualmente per le controversie in materia di telecomunicazioni nei casi in cui l’inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni effettuate prevede, nella parte finale “in ogni caso” l’utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 3, per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizioni a norma degli artt. 645 c.p.c. e segg.”. La giurisprudenza costituzionale 5. – La affermazione per cui debba escludersi, in mancanza di una chiara norma espressa, l’obbligo di esperire preventivamente il tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni (ed in presenza di tale norma, si potrebbe arrivare a dubitare della stessa legittimità costituzionale di essa) è confortata da ripetute affermazioni della Corte Costituzionale, dalle quali emerge l’incompatibilità strutturale del preventivo tentativo di conciliazione con il provvedimento monitorio. 5.1. – La Corte di legittimità delle leggi ha in primo luogo più volte chiarito, in linea
generale ed anche a proposito del tentativo di conciliazione previsto in materia di telecomunicazioni (con la sentenza n. 403 del 2007) che risponde ad una interpretazione costituzionalmente orientata ricostruire in senso non estensivo le disposizioni che introducono condizioni di procedibilità. 5.2. – Con riferimento al rapporto tra tentativo di conciliazione e procedimento monitorio, il giudice delle leggi, già nella sentenza n. 276/00 (in riferimento all’allora obbligatorio tentativo di conciliazione in materia di lavoro previsto dall’art. 412 bis c.p.c.) ha individuato nella mancanza di contraddittorio tra le parti l’elemento di incompatibilità strutturale tra il procedimento di conciliazione (che tale contraddittorio presuppone) ed il provvedimento monitorio (che non prevede contraddittorio nella fase sommaria), rilevando che “invero il tentativo obbligatorio di conciliazione è strutturalmente legato ad un processo fondato sul contraddittorio. La logica che impone alle parti di “incontrarsi” in una sede stragiudiziale, prima di adire il giudice, è strutturalmente collegata ad un (futuro) processo destinato a svolgersi fin dall’inizio in contraddittorio fra le parti. All’istituto (id est, al tentativo di conciliazione) sono quindi per definizione estranei i casi in cui invece il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo. Non avrebbe infatti senso imporre, nella fase pregiurisdizionale relativa al tentativo di conciliazione, un contatto fra le parti che invece non è richiesto nella fase giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio”. 5.3. – Ancora, la Corte Costituzionale: – con ordinanza n. 163/2004, richiamando la sua precedente decisione n. 276 del 2000, ha escluso la necessità del previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla L. n. 192 del 1998, art. 10, comma 1, con riferimento alle “controversie relative ai contratti di subfornitura di cui alla presente legge”, con riferimento alla fase monitoria, evidenziando come il legislatore, consentendo al subfornitore di procedere per ingiunzione, gli avesse apprestato una tutela particolarmente intensa (destinata ad essere vanificata dal previo esperimento del tentativo di conciliazione). La giurisprudenza sovranazionale. 6. – La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza del 18/03/2010, emessa nei procedimenti riuniti C-317/08, C-318/08, C319/08 e C-320/08, in causa Alassini contro Telecom Italia s.p.a. ed altri ha affrontato espressamente la questione della interpretazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva rispetto ad una normativa nazionale, quella italiana in particolare, che preveda un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale come condizione di procedibilità dei ricorsi giurisdizionali in talune controversie tra operatori e utilizzatori finali rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale). 6.1. – In quella sede, pur ritenendo complessivamente la normativa italiana compatibile con le direttive comunitarie, ha lanciato un monito, che non può essere ignorato, a non circoscrivere l’accesso al giudizio al di là di limiti accettabili.
Ha affermato infatti che: – l’art. 34 della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 7 marzo 2002, 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (c.d. direttiva servizio universale) dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro in forza della quale le controversie in materia di servizi di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e fornitori di tali servizi, che riguardano diritti conferiti da tale direttiva, debbano formare oggetto di un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale come “condizione per la ricevibilità” dei ricorsi giurisdizionali; – neanche i principi di equivalenza e di effettività, nonchè il principio della tutela giurisdizionale effettiva, ostano ad una normativa nazionale che imponga per siffatte controversie il previo esperimento di una procedura di conciliazione extragiudiziale. 6.2. – La Corte di Giustizia individua però, a questo scopo, talune condizioni: a) che tale procedura non conduca ad una decisione vincolante per le parti; b) che non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso giurisdizionale; c) che sospenda la prescrizione dei diritti in questione; d) che non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti; e) che la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a detta procedura di conciliazione; f) che sia possibile disporre provvedimenti provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone. 6.3. – Tali affermazioni sono state successivamente riprese nella sentenza della Corte di Giustizia del 14 giugno 2017, in causa C-75/16 (Menini) che, sempre su rinvio pregiudiziale del giudice italiano, occupandosi della disciplina generale italiana in tema di tentativo di mediazione obbligatorio, introdotta dal D.Lgs. n. 28 del 2010, applicabile alle controversie Business to Consumer, nella quale si prevede la mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, e della sua compatibilità con la direttiva 2013/11/UE concernente la risoluzione alternativa delle controversie (A.D.R.) dei consumatori, ha formulato un espresso collegamento della fattispecie al suo esame con la direttiva consumatori, n. 52/2008/CE ed ha ulteriormente chiarito in via generale che l’accesso alla giurisdizione può essere condizionato al previo esperimento di una procedura di mediazione, quale condizione di procedibilità, purchè non sia reso eccessivamente difficoltoso alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario. La soluzione da dare alla prima questione. 7.1. Sulla base degli elementi raccolti, ed in primo luogo dell’insegnamento costante della Corte costituzionale, che sul tema è intervenuta più volte, deve quindi confermarsi la validità della soluzione adottata da Cass. n. 25611 del 2016, secondo la quale in materia di telecomunicazioni il tentativo obbligatorio di conciliazione non sia espressamente richiesto (a pena di improcedibilità) prima dell’emissione del decreto ingiuntivo e non sia in assoluto compatibile con la struttura e la finalità del procedimento monitorio in quanto esso presuppone un giudizio che si svolga nel
contraddittorio attuale tra le parti. 7.2. – Il decreto ingiuntivo e la procedura di mediazione obbligatoria (ove richiesta) rispondono entrambi, sebbene siano strumenti del tutto diversi, all’esigenza di dare una celere ed efficace risposta di giustizia, che, in presenza delle condizioni di emissione del decreto ingiuntivo, si traduce nell’adozione di un provvedimento adottato inaudita altera parte, a contraddittorio differito, in favore del creditore munito di prova scritta. 7.3. – Quanto alla mediazione o al tentativo di conciliazione obbligatori, essi uniscono alla finalità deflattiva una funzione di prevenzione del conflitto, di pacificazione sociale e una efficace attitudine alla soddisfazione e alla salvaguardia degli interessi di entrambe le parti attraverso il dialogo anticipato che si apre, partendo dall’oggetto della contesa ma eventualmente allargando l’ampiezza del confronto ed evitando che essa sfoci in un giudizio, sotto il controllo e la guida del mediatore. 7.4. – L’apertura di questa fase di dialogo anticipato non appare strutturalmente compatibile, come ha più volte segnalato la Corte costituzionale, con i procedimenti che non prevedano o non prevedono in quella fase, il contraddittorio. 7.5. – Pertanto, con riferimento alla fattispecie oggi in esame, non è necessario procedere al tentativo di conciliazione obbligatorio, prima di richiedere il decreto ingiuntivo, prima di tutto per ragioni strutturali, ovvero perché strutturalmente le due procedure sono incompatibili. La fase incidentale dialogica del procedimento, tra giudice e parti, che deve aprirsi qualora si rilevi il mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione ove previsto, non può conciliarsi con un procedimento privo di contraddittorio, o meglio a contraddittorio differito, come il procedimento monitorio. 7.6. – Anche sotto il profilo finalistico, il procedimento di conciliazione e quello monitorio non appaiono compatibili, perché l’esigenza di immediata soddisfazione del creditore dotato di prova scritta del credito posta alla base del monitorio, che si realizza con il differimento del contraddittorio rispetto alla formazione del titolo, verrebbe vanificata dal previo esperimento del tentativo di conciliazione. Quindi, in questa fase, prevale l’esigenza di concedere un agile strumento a tutela del credito rispetto all’esigenza di trovare una soluzione alternativa alla controversia, che non viene soppressa ma si sposta, come meglio si dirà in seguito, alla fase successiva. 7.7. – L’ordinanza interlocutoria evidenzia la peculiarità delle esigenze di tutela sottese alla materia delle telecomunicazioni, da cui scaturirebbe l’esigenza di dettare uno statuto particolare delle cause in materia di telecomunicazioni, a tutela della parte debole, ovvero del consumatore-fruitore del servizio telefonico, che potrebbe essere dissuaso dai costi del giudizio ordinario dall’intraprendere la via dell’opposizione ove il decreto ingiuntivo non fosse preceduto dal tentativo di conciliazione. 7.8. – Si osserva a questo proposito che le telecomunicazioni rientrano nei servizi di pubblica utilità, aventi un interesse economico generale, e come tali sono prese in considerazione nelle direttive Europee, per cui occorre procedere con cautela nel creare per esse regole speciali in via interpretativa, che le differenzino dagli altri
servizi di pubblica utilità, quali le forniture di gas o di energia. 7.9. – La disciplina istitutiva dell’Agcom e i successivi regolamenti attuativi sono dettati poi in primo luogo a tutela non del consumatore, ma del regolare svolgimento del servizio di telecomunicazioni, e a tutela della regolare fruizione del servizio, che deve svolgersi a costi non proibitivi e raggiungere tutto il territorio nazionale, dell’utente finale, categoria nella quale possono rientrare sia consumatori che imprenditori o, come nel caso di specie, persone giuridiche, che si avvalgono del servizio telefonico per le loro attività commerciali o professionali. L’esigenza sottesa alla ordinanza interlocutoria di apprestare una particolare tutela al consumatore come parte debole del contratto non ha quindi carattere generale in materia di telecomunicazioni e non può giustificare una rilettura dell’istituto in questo senso. Essa non è, nel caso all’esame della Corte, neppure presente, essendo l’utente del servizio una persona giuridica che utilizza il servizio a fini commerciali. 7.10. – Quanto alla esigenza di apprestare una idonea tutela alla parte debole, ovvero il consumatore, la Corte costituzionale ha già chiarito, all’interno di altro tipo di rapporti in cui una delle due parti è per definizione la parte debole (lavoro subordinato, subfornitura) che sia legittimo prevedere la mediazione solo dopo la fase monitoria, in ragione della struttura del procedimento e senza che ciò arrechi alcuna lesione al principio di uguaglianza sostanziale. 7.11. – L’adozione di uno strumento di composizione stragiudiziale nasce essenzialmente, in questo campo, dall’esigenza di garantire la fruizione di un servizio essenziale consentendo di risolvere velocemente i vari tipi di disservizi, ossia tutte le questioni connesse alla non corretta attivazione o erogazione del servizio, che con l’immediato confronto in sede di tentativo di conciliazione possono essere risolte consentendo un veloce recupero di funzionalità, con maggiore soddisfazione dell’utenza rispetto al giudizio ordinario e non le controversie in cui il mancato pagamento non sia collegato con la non corretta erogazione del servizio. 7.12. – Non necessariamente, infine, la parte che richiede il decreto ingiuntivo è il somministrante, potendo essere anche il somministrato che agisce in restituzione dell’eccedenza. 7.13. – L’esclusione del tentativo di conciliazione per la proposizione del ricorso per d.i. non si ritorce quindi automaticamente in danno del contraente debole, dando luogo ad una significativa asimmetria difensiva, atteso che il procedimento monitorio è consentito ad entrambe le parti, e che non può valere, ai fini della valutazione della ragionevolezza del sistema, il dato puramente quantitativo, rappresentato dal prevedibile maggior numero di procedure monitorie attivate dal gestore del servizio di telefonia rispetto a quelle instaurate dall’utente. 7.14. – L’imposizione dell’obbligo di svolgere il tentativo di conciliazione prima di poter accedere al procedimento monitorio, infine, non appare neppure conforme con la normativa e con la giurisprudenza Europea, che da un lato ha promosso la mediazione e tutte le altre forme di ADR prevedendole come facoltative, dall’altra ha più volte affermato la legittimità della normativa statale che le abbia imposte (come nel caso dell’Italia) come obbligatorie, purchè siano adottate varie cautele, in modo tale da non rivelarsi meccanismi controproducenti” defatiganti, atti a rende
eccessivamente complesso o oneroso il ricorso alla giustizia ordinaria, come senza dubbio sarebbe, precludendo di fatto in questo campo il ricorso al più agile strumento monitorio, l’imposizione anticipata di un tentativo obbligatorio di conciliazione. 7.15. – Dal complesso di queste indicazioni si ricava conforto per affermare, conformemente alle conclusioni del Procuratore generale, che il criterio ermeneutico letterale, secondo cui i termini “ricorso giurisdizionale”, “controversia” e “agire in giudizio” esprimerebbero una realtà processuale atta a ricomprendere anche il ricorso per d.i., non è univoco e risulta inidoneo a fornire una risposta appagante all’interrogativo posto dall’ordinanza interlocutoria, in quanto detto criterio non tiene conto della incompatibilità strutturale tra ricorso per ingiunzione e tentativo di conciliazione, e neppure delle finalità proprie di quest’ultimo. La collocazione del tentativo obbligatorio di conciliazione. 8. – L’esclusione del previo esperimento del tentativo di conciliazione dalla fase che precede la richiesta e l’emissione del decreto ingiuntivo, in materia di telecomunicazioni, non esclude peraltro che il ricorso ad una forma di risoluzione alternativa della controversia non possa trovare una sua adeguata collocazione in un diverso momento, successivo ed eventuale, ovvero quando, con la proposizione della opposizione a decreto ingiuntivo, si apre la via del giudizio di cognizione ordinaria, in quanto, usando le stesse parole utilizzate dalla sentenza impugnata per arrivare alla opposta conclusione, “l’opposizione introduce un “normale” giudizio di cognizione il cui oggetto è proprio l’accertamento del diritto azionato in monitorio”. 8.1. – In questa fase – che è quella in cui viene effettivamente proposto un ricorso giurisdizionale – diviene quindi operativo l’obbligo fissato dalla L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, di esperire il tentativo di conciliazione, nei limiti in cui esso è operativo in materia di telecomunicazioni, e quindi nel rispetto dei limiti fissati dall’art. 2, comma 2 del regolamento adottato con Delib. n. 173/07/CONS AGCOM (“Sono escluse dall’applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l’inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l’utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli artt. 645 c.p.c. e segg.”). 8. 2. – Circa i tempi e le modalità di esperimento del tentativo di conciliazione, in ragione della eadem ratio, può farsi riferimento al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5. Esso dovrà svolgersi dopo la pronuncia sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del d.i., ex artt. 648 e 649 c.p.c.. Il suo mancato esperimento potrà essere rilevato su eccezione della parte convenuta o d’ufficio dal giudice, secondo le regole fissate dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 4, entro l’udienza di trattazione della causa. 8.3. – Come già affermato da questa Corte in relazione alla mediazione obbligatoria disciplinata dal D.Lgs. n. 28 del 2010 (Cass. n. 32797 del 2019), inoltre, il mancato esperimento del rimedio alternativo di risoluzione della controversia obbligatoriamente previsto deve essere eccepito dal convenuto, a pena di
decadenza, o rilevato d’ufficio dal giudice, affinchè questi ne tragga le conseguenze, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado (in tal senso già Cass. 13 novembre 2018, n. 29017; 13 aprile 2017, n. 9557; 2 febbraio 2017, n. 2703). In mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d’ufficio, è precluso al giudice di appello rilevarlo. 8.4. – La specifica questione poi della individuazione della parte onerata dell’esperimento del tentativo di conciliazione, se l’opponente, come affermato da Cass. n. 64629 del 2015, con principio ripreso da Cass. n. 23003 del 2019, o l’opposto (e se quindi, di conseguenza, legittimato a proporre l’eccezione sia il convenuto in senso formale o sostanziale), che come detto non ha necessità di essere affrontata in questa sede, perché non si è mai aperto nel caso in esame il giudizio di opposizione, è stata rimessa alle Sezioni unite con la separata ordinanza n. 18741 del 2019, e sarà esaminata in separato giudizio. La decisione del caso in esame. 9. – Applicando i principi sopra enunciati al caso sottoposto all’esame della Corte dal presente ricorso, il ricorso è fondato, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio. 9.1. – La sentenza impugnata non ha fatto buon governo, infatti, dei principi applicabili al caso di specie, laddove ha ritenuto, rigettando l’appello di Telecom e confermando la pronuncia di primo grado, che la richiesta da parte del gestore di telefonia finalizzata all’emissione di un decreto ingiuntivo a carico dell’utente che non ha pagato per i servizi fruiti, debba essere preceduta, a pena di improcedibilità della stessa, dal previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dalla L. n. 249 del 1997, art. 1. 9.2. – La sentenza impugnata ha ritenuto che il ricorso per decreto ingiuntivo, in quanto proposto dal creditore a tutela del suo diritto di credito, nel contesto di un rapporto di conflittualità col debitore, e idoneo a portare all’adozione di un provvedimento suscettibile di divenire cosa giudicata, individui quel ricorso giurisdizionale che, a norma della L. n. 249 del 1997, art. 4, non può essere proposto sino a quando non sia stato espletato il tentativo di conciliazione. Il tutto salvo poi affermare correttamente, ma senza trarne le dovute conseguenze- che è la successiva opposizione che introduce un successivo giudizio di cognizione. 9.3. – Per i motivi sopra enunciati, la struttura stessa del procedimento monitorio, a contraddittorio differito, non è invece compatibile con il previo esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione, che presuppone la possibilità di apertura di una fase dialogica tra le parti. 9.4. – La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio e si atterrà al seguente principio di diritto: “In tema di controversie tra le società erogatrici dei servizi di telecomunicazioni e gli utenti, non è soggetto all’obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione, previsto dalla L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, chi intenda richiedere un provvedimento
monitorio, essendo il preventivo tentativo di conciliazione strutturalmente incompatibile con i procedimenti privi di contraddittorio o a contraddittorio differito”. 10. – L’accoglimento del ricorso per i motivi indicati esime dal dover esaminare in questa sede la seconda questione posta dall’ordinanza interlocutoria per l’ipotesi che il tentativo fosse ritenuto obbligatorio, se il tentativo obbligatorio di conciliazione sia condizione di procedibilità o di proponibilità della domanda (cui è collegato il chiarimento auspicato dalla ordinanza di rimessione sulla nozione di irricevibilità comunitaria), oggetto di esame, come questione di massima di particolare importanza, nell’ambito del ricorso n. 402 del 2016, scrutinato anch’esso nell’ambito della odierna udienza: all’interrogativo verrà pertanto risposto con la decisione adottata in relazione a quel ricorso. 11. Da ultimo, l’ordinanza interlocutoria, nell’ipotesi che non si ritenga di condividere la soluzione da essa proposta nel senso della necessità, anche in riferimento al procedimento monitorio, del previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, segnala che potrebbe apparire opportuna una nuova rimessione alla Corte di giustizia, perché si esprima sia sul punto dell’obbligatorietà della conciliazione in subiecta materia, sia su quello del significato della “irricevibilità” del ricorso eventualmente proposto. E tuttavia una nuova rimessione alla Corte di Giustizia non appare necessaria, avendo essa ben chiarito l’interpretazione da dare alle direttive rilevanti in materia; inoltre l’ordinanza sembra sollecitare una interpretazione da parte della Corte di giustizia delle norme interne piuttosto che della normativa Europea. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020. Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2020