Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 28 aprile 2020, n. 8236, Danno da lesione dell’affidamento del privato – Giurisdizione del giudice ordinario:

Riprendendo le ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, le Sezioni Unite hanno affermato che, in caso di lesione dell’affidamento del privato, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione una responsabilità da contatto sociale, rientrante nel paradigma della responsabilità contrattuale. Il rapporto tra il privato e la Pubblica Amministrazione costituisce un fatto idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico”, dal quale derivano a carico delle parti reciproci obblighi di buona fede, correttezza e diligenza. La Suprema Corte, definitivamente pronunciando, riconosce la giurisdizione del giudice ordinario sia quando la lesione dell’affidamento del privato derivi dall’emanazione di un provvedimento amministrativo poi annullato, che dall’adozione di un mero comportamento contrario a buona fede e correttezza a cui non ha fatto seguito alcun provvedimento amministrativo.

Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 28 aprile 2020, n. 8236

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente di Sez. –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15374/2017 proposto da:
COMUNE DI LIGNANO SABBIADORO, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 6, presso lo studio
dell’avvocato MARCELLO COLLEVECCHIO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MARCO MAPPILLERO;

  • ricorrente –
    contro
    D.C. COSTRUZIONI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,
    elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PADOVA 82, presso lo studio dell’avvocato
    BRUNO AGUGLIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO
    MARINELLI;
  • controricorrente –
    per regolamento di giurisdizione, in relazione al giudizio pendente n. 4935/2016 del
    TRIBUNALE di UDINE. Udita la relazione della causa svolta nella Camera di
    consiglio del 05/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;
    lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIANFRANCO
    SERVELLO, il quale chiede che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, accolga il
    ricorso, dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
    Svolgimento del processo
  1. Con citazione notificata il 18.10.2016 la società D.C. Costruzioni s.r.l. conveniva il
    Comune di Lignano Sabbiadoro davanti al Tribunale di Udine esponendo che:
  • nel giugno 2012 essa società aveva presentato un progetto preliminare di massima
    per la realizzazione di un grande complesso alberghiero su un terreno di sua
    proprietà in (OMISSIS) (mappali (OMISSIS) del foglio di mappa n. (OMISSIS));
  • sul detto progetto preliminare veniva sviluppata una intensa interlocuzione tra la
    società proponente, assistita dai professionisti all’uopo incaricati, e gli uffici
    comunali;
  • in particolare, nell’ottobre del 2012 essa società presentava, a richiesta dello
    stesso Comune, un PAC (piano attuativo comunale) di iniziativa privata, poi
    successivamente modificato ed integrato secondo le indicazioni degli uffici comunali;
  • nel giugno 2014 il Comune informava la società che la Commissione urbanistica
    comunale aveva espresso parere favorevole, con segnalazione di alcuni chiarimenti
    e richieste di miglioramenti e con l’invito a presentare richiesta di permesso di
    costruire in deroga;
  • nell’ottobre 2014, all’esito di ulteriori contatti, la società, d’intesa con
    l’Amministrazione municipale, chiedeva l’archiviazione del PAC e contestualmente
    presentava richiesta di rilascio del permesso di costruire e domanda di deroga alle
    norme urbanistiche comunali;
    il 27.11.2014 il Comune chiedeva il deposito di documentazione integrativa,
    conseguentemente interrompendo la decorrenza dei termini del procedimento di cui
    alla L.R. n. 19 del 2009, art. 24;
    nel corso del 2015 si succedevano ulteriori contatti, integrazioni documentali e
    variazioni progettuali;
    nell’ottobre 2015 il Comune chiedeva un parere alla regione Friuli Venezia Giulia
    sulla compatibilità del progetto in esame con il PAIR (Progetto di Piano stralcio per
    l’Assetto Idrogeologico dei bacini idrografici dei tributari della Laguna di Marano –
    Grado, ivi compresa la laguna medesima, del Torrente Stizza e del Levante)
    deliberato dalla giunta regionale 28.11.2014, alla cui stregua non era consentita la
    realizzazione di locali interrati o semi interrati nella zona (B2) oggetto del progettato
    intervento;
    dopo ulteriori contatti il Comune, con Delib. Consiliare 26 aprile 2016, adottava la
    variante urbanistica n. 48, che modificava significativamente, in senso restrittivo, il
    regime edilizio ed urbanistico dell’area in questione, trasformandola da zona “B2” a
    zona omogenea “BO/b – città giardino e caratterizzata da corridoi verdi”;
    solo nel settembre 2016, dopo numerosi contatti e solleciti, l’Amministrazione
    comunale rappresentava, dapprima, con messaggio di posta elettronica del
    16.9.2016 del dirigente dei servizi tecnici, la non applicabilità delle deroghe alla
    erigenda costruzione alberghiera (conseguentemente prospettando l’opportunità di
    presentare nuovamente un PAC e segnalando di aver richiesto un parere alla
    Regione sulla possibilità di derogare al PAIR) e poi, con messaggio di posta
    elettronica del 20.9.2016 dell’assessore all’urbanistica, l’opportunità di attendere il
    parere regionale.
  1. Sulla scorta della suddetta narrativa di fatto la società D.C. Costruzioni lamentava
    come il Comune si fosse comportato in modo ondivago (vedi p. 55 della citazione
    introduttiva: “dopo aver chiesto all’attrice di presentare direttamente la domanda
    relativa al permesso di costruire in deroga, con conseguente rinuncia al PAC già
    depositato, dopo quattro anni è venuto ipotizzando la necessità di presentare il
    PAC”) e avesse leso le aspettative ingenerate “procrastinando all’infinito la dovuta
    decisione in ordine alla domanda presentata, chiedendo sempre ulteriore
    documentazione, e così di fatto non decidendo e/o rimanendo inerte, con aggravio di
    tempo e denaro per la società D.C. Costruzioni s.r.l.” (vedi p. 52 della citazione
    introduttiva); l’attrice quindi, denunciando altresì la violazione dei termini
    procedimentali fissati dalla L.R. Friuli Venezia Giulia n. 19 del 2009, art. 24, comma
    2, chiedeva la condanna del Comune al risarcimento dei danni da liquidare a mezzo
    c.t.u. ovvero in via equitativa.
  2. Il Comune di Lignano Sabbiadoro si costituiva in giudizio e resisteva alla
    domanda, preliminarmente sollevando eccezione di difetto di giurisdizione del
    giudice ordinario.
  3. Dopo l’introduzione del giudizio la Regione Friuli Venezia Giulia rilasciava i pareri
    richiesti dal Comune, il quale ultimo, conseguentemente, trasmetteva alla società
    D.C. Costruzioni atto di preavviso di diniego del permesso di costruire in deroga.
  4. In data 3.4.2017 il Tribunale in composizione monocratica assegnava alle parti i
    termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, con rinvio al 3 luglio 2017.
  5. Nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, datata 26.4.2017, la società
    attrice, replicando all’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario
    sollevata dal Comune evidenziava che: “l’esigenza di tutela – risarcitoria – trova il
    proprio fondamento nell’affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole ovvero
    dalle rassicurazioni fornite dal Comune di Lignano al momento dell’acquisto di fondi
    e successivamente nei pareri nel corso degli anni rilasciati in ordine alle possibilità
    edificatorie siccome specificate nella variante 40 all’epoca vigente”.
  6. Con ricorso notificato l’8 giugno 2017 il Comune di Lignano Sabbiadoro ha
    proposto regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c.,
    chiedendo dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo.
  7. La D.C. Costruzioni s.r.l. ha depositato controricorso, chiedendo dichiararsi la
    giurisdizione dell’a.g.o..
  8. La causa è stata discussa una prima volta nella Camera di consiglio del 3 luglio
    2018, per la quale la D.C. Costruzioni s.r.l. ha depositato una memoria ed il
    Procuratore Generale ha trasmesso requisitoria scritta, concludendo per la
    declaratoria della giurisdizione del giudice amministrativo. In quella sede il Collegio
    ha chiesto all’Ufficio del Massimario e del Ruolo di questa Suprema Corte una
    relazione di approfondimento sulle questioni di diritto sottese al ricorso e, dopo il
    deposito della stessa, la causa è stata nuovamente discussa nella Camera di
    consiglio del 5 novembre 2019.
    Motivi della decisione
  9. L’Amministrazione comunale deduce che, ai sensi degli artt. 30 e 133 c.p.a.,
    anche in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 2-bis, la controversia rientrerebbe
    nella giurisdizione del giudice amministrativo per essere riconducibile alla
    giurisdizione esclusiva del medesimo sotto due autonomi profili.
  10. Sotto un primo profilo, si argomenta che, mancando un provvedimento positivo
    dell’Amministrazione comunale idoneo a giustificare un qualsiasi legittimo
    affidamento della società attrice, la doglianza di quest’ultima sarebbe in definitiva
    riconducibile alla mera violazione dei termini procedimentali. Donde la qualificazione
    della domanda come domanda di risarcimento del danno da ritardo, devoluta alla
    giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a.,
    che, appunto, attribuisce a tale giurisdizione esclusiva “le controversie in materia di
    risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa
    o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo”.
    11.1. Sotto un secondo profilo il Comune argomenta che la controversia rientrerebbe
    nella materia di edilizia ed urbanistica, attribuita alla giurisdizione esclusiva del
    giudice amministrativo dall’art. 1, comma 1, lett. f), c.p.a.
    11.2. Il Comune poi nega la riconducibilità della fattispecie ai principi enunciati da
    questa Sezione Unite nell’ordinanza 6594/2011, sottolineando come, nella specie,
    nessun titolo abilitativo fosse mai stato rilasciato alla società attrice e, quindi, nessun
    affidamento potesse essere sorto in capo alla medesima.
    11.3. In particolare il Comune evidenzia che:
  • il parere favorevole della Commissione urbanistica prot. n. 19715/2014 era
    subordinato al superamento di specifici profili di inadeguatezza del progetto;
  • ai sensi della L.R. n. 19 del 2009, art. 35, la deroga agli strumenti urbanistici poteva
    essere autorizzata solo dal Consiglio comunale; – la comunicazione del parere
    favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale costituiva atto di natura
    meramente endoprocedimentale (il ricorrente richiama, al riguardo, Cons. Stato n.
    3594/2005);
  • la richiesta di un parere alla Regione, dopo la rielaborazione del progetto fornito
    dalla società per uniformare il medesimo al PAIR, era legittima e doverosa;
  • la variante n. 48 non aveva eliminato l’edificabilità dell’area e, d’altra parte lo
    strumento che dettava il previgente assetto urbanistico – la variante n. 40 – non
    aveva generato alcun legittimo affidamento, non essendo giuridicamente protetto
    l’interesse del privato all’immutabilità della classificazione urbanistica dell’area di sua
    proprietà.
  1. La D.C. Costruzioni s.r.l. contesta le argomentazioni dell’Amministrazione
    ricorrente e sostiene che la giurisdizione sulla presente controversia apparterrebbe
    al giudice ordinario perchè l’oggetto della domanda da lei proposta è costituito dal
    risarcimento dei danni derivanti dal mancato rispetto dell’affidamento ingenerato dai
    provvedimenti favorevoli e dalle rassicurazioni fornite dall’Amministrazione
    municipale. Ad avviso della controricorrente la presente fattispecie sarebbe
    riconducibile nell’ambito dei principi espressi nella ordinanza di queste Sezioni Unite
    n. 6594/2011.
  2. Il Procuratore Generale ha concluso per l’affermazione della giurisdizione del
    giudice amministrativo, negando che i principi espressi nella menzionata ordinanza
    n. 6594/2011 (e nelle coeve ordinanze nn. 6595/2011 e 6596/2011) siano applicabili
    nella fattispecie. Tali principi, argomenta il Procuratore Generale, postulano
    l’esistenza di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato, sulla cui
    legittimità il medesimo privato abbia fatto affidamento e che successivamente sia
    stato caducato, in via di autotutela o in sede giurisdizionale; detto provvedimento
    ampliativo, nella specie, non sarebbe mai stato emesso, non avendo il Comune mai
    rilasciato alcun permesso di costruire alla società D.C. Costruzioni.
  3. Il Collegio preliminarmente rileva che tutti gli argomenti spiegati dal Comune per
    escludere che la società ricorrente potesse vantare un legittimo affidamento
    nell’approvazione del suo progetto edilizio, sopra riportati nel paragrafo 11.3, sono
    irrilevanti ai fini della pronuncia sulla questione di giurisdizione. Tali argomenti, infatti,
    tendono a dimostrare che in capo alla società D.C. Costruzioni non poteva essere
    sorto alcun affidamento sull’esito positivo del procedimento concessorio, cosicché la
    situazione soggettiva di cui la società attrice lamenta la lesione sarebbe in radice
    insussistente. Si tratta di argomenti che attengono al merito della controversia,
    mentre, ai sensi dell’art. 386 c.p.c., la decisione sulla giurisdizione “è determinata
    dall’oggetto della domanda” e, va sottolineato, non pregiudica le questioni sulla
    pertinenza del diritto.
  4. Infondato va poi giudicato l’assunto della difesa del Comune secondo cui la
    controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi
    dell’art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a., che attribuisce alla giurisdizione esclusiva di tale
    giudice le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in
    conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
    procedimento amministrativo. Infatti la domanda della società D.C. Costruzioni,
    sebbene nella citazione introduttiva venga colorata anche con riferimento alla
    dedotta violazione della disciplina dei termini procedimentali, in effetti non si fonda
    sul fatto che il Comune avrebbe tardato nel provvedere (negativamente o
    positivamente) sulla istanza di permesso di costruire. Tale domanda – precisata
    dall’attrice nella sua prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 – risulta fondata, in
    sostanza, sul fatto che il Comune ha provveduto negativamente sulla suddetta
    istanza dopo avere tenuto per lungo tempo comportamenti che, nella prospettazione
    dell’attrice, avrebbero ingenerato un incolpevole affidamento in un esito positivo del
    procedimento concessorio (si veda lo stralcio della prima memoria ex art. 183 c.p.c.,
    comma 6, della società attrice che viene riportato dal Comune a pag. 18 del proprio
    ricorso per regolamento di giurisdizione: “il Comune di Lignano dopo aver a più
    riprese espresso parere favorevole al progetto, riconoscendone oltre tutto anche la
    valenza di opera pubblica…. è venuto successivamente, dopo cinque anni, facendo
    dietro front, modificando completamente il proprio orientamento”). La causa petendi
    della domanda della società D.C. Costruzioni non è, quindi, l’inosservanza di un
    termine procedimentale, bensì la violazione dell’affidamento ingenerato
    dall’amministrazione comunale in un determinato esito, favorevole alla società
    attrice, del procedimento.
  5. Più articolato è il discorso da svolgere riguardo all’assunto del Comune secondo
    cui la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo ai
    sensi dell’art. 133, lett. f), che attribuisce alla giurisdizione esclusiva di tale giudice le
    controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche
    amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso
    del territorio. E’ indubbio, infatti, che una controversia relativa all’esercizio del potere
    di rilasciare o non rilasciare un permesso di costruire rientri nella materia urbanistica
    ed edilizia ed è, quindi, attratta nella giurisdizione esclusiva del giudice
    amministrativo anche quando la situazione soggettiva dedotta in giudizio abbia
    consistenza di diritto soggettivo (come si verifica, ad esempio, quando l’oggetto della
    domanda abbia ad oggetto il risarcimento del danno causato da un atto illegittimo di
    esercizio di tale potere). La pretesa risarcitoria dedotta nel presente giudizio dalla
    società D.C. Costruzioni, tuttavia, ha ad oggetto un danno che, nella prospettazione
    della società attrice, non è stato causato da “atti” o “provvedimenti”
    dell’amministrazione municipale, bensì dal comportamento da questa tenuto nella
    conduzione dei rapporti tra i propri uffici e la stessa società, tale da ingenerare in
    quest’ultima un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso dal
    diniego finale (del quale non viene messa in discussione la legittimità). Un danno,
    cioè, da comportamento e non da provvedimento.
  6. Inquadrato il tema nei termini di cui al paragrafo che precede, il Collegio osserva
    che con le tre coeve ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 queste Sezioni Unite
    hanno ritenuto rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario:
  • la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione
    dell’affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole (nella specie, una
    concessione edilizia) poi legittimamente annullato in via di autotutela (sent. n.
    6594/2011);
  • la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione
    dell’affidamento riposto nell’attendibilità della attestazione rilasciata dalla pubblica
    amministrazione (rivelatasi erronea) circa la edificabilità di un’area (chiesta da un
    privato per valutare la convenienza di acquistare un terreno) e nella legittimità della
    conseguente concessione edilizia, successivamente annullata (sent. n. 6595/11);
  • la controversia avente ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento danni
    proposta da colui che, avendo ottenuto l’aggiudicazione in una gara per l’appalto di
    un pubblico servizio, successivamente annullata dal giudice amministrativo, deduca
    la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione
    apparentemente legittimo (sent. n. 6596/11).
  1. Alla base delle suddette pronunce vi era, in sostanza, la considerazione che i
    privati che avevano instaurato i giudizi in cui le medesime sono state emesse non
    mettevano in discussione l’illegittimità degli atti amministrativi, ampliativi della loro
    sfera giuridica, annullati in via di autotutela o ope judicis, ma lamentavano la lesione
    del loro affidamento sulla legittimità degli atti annullati e chiedevano il risarcimento
    dei danni da loro subiti per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali
    confidando, fino all’annullamento di tali atti, nella relativa legittimità.
  2. La giurisprudenza successiva alle tre suddette ordinanze ha peraltro evidenziato
    la coesistenza, all’interno di queste Sezioni Unite, di linee di interpretative non
    perfettamente collimanti.
    19.1. Da un lato, infatti, i principi espressi nelle tre ordinanze del 2011 risultano
    ripresi e confermati nelle pronunce nn. 17586/2015, 12799/2017, 15640/2017,
    19171/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019,
    6885/2019 e 12635/2019, nelle quali ricorre l’affermazione che la controversia
    relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un
    provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, legittimamente
    annullato, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perchè ha ad oggetto la
    lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo;
    diritto generalmente qualificato come “diritto alla conservazione dell’integrità del
    patrimonio”, leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento
    amministrativo poi caducato (su tale qualificazione si vedano, tra le altre, le sentenze
    nn. 12799/2017, 1654/2018 e 6885/2019).
    19.2. D’altro lato, tuttavia, non sono mancate pronunce che, discostandosi da tale
    orientamento, hanno affermato che nelle materie di giurisdizione amministrativa
    esclusiva l’azione risarcitoria per lesione dell’affidamento riposto nella legittimità
    dell’atto amministrativo poi annullato rientra nella cognizione del giudice
    amministrativo; si veda, in questo senso, SSUU n. 8057/2016 (ove si afferma che
    “l’azione amministrativa illegittima composta da una sequela di atti intrinsecamente
    connessi – non può essere scissa in differenti posizioni da tutelare, essendo
    controverso l’agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l’affidamento
    costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione”) e SSUU n. 13454/2017
    (ove si afferma che “la giurisdizione esclusiva prevede la cognizione, da parte del
    giudice amministrativo, sia delle controversie relative ad interessi legittimi della fase
    pubblicistica, sia delle controversie di carattere risarcitorio originate dalla
    caducazione di provvedimenti della fase predetta, realizzandosi quella situazione
    d’interferenza tra diritti ed interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione
    del potere che si pongono a fondamento costituzionale delle aree conferite alla
    cognizione del giudice amministrativo, riguardo ad atti e comportamenti assunti
    prima dell’aggiudicazione o nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la
    mancata stipula del contratto”). Da ultimo, in SSUU n. 13194/2018 si è ritenuto che i
    principi fissati nelle ordinanze del 2011 non siano applicabili qualora difetti il
    presupposto della sussistenza di un “provvedimento ampliativo” della sfera giuridica
    del privato.
    19.3. Secondo le pronunce menzionate nel paragrafo che precede, in sostanza,
    quello che viene in discussione nelle vicende processuali in esame è l’agire
    provvedimentale nel suo complesso; la giurisdizione esclusiva del giudice
    amministrativo si giustifica in ragione del contesto, o dell’ambiente, di stampo
    pubblicistico, nel quale la complessiva condotta dell’amministrazione si colloca e che
    connette tale condotta con l’esercizio del potere.
  3. Il caso oggi all’esame del Collegio si caratterizza, al pari di quello oggetto di
    SSUU n. 13194/2018, per l’assenza di un provvedimento ampliativo della sfera del
    privato; la società D.C. Costruzioni, infatti, deduce di aver riposto il proprio
    affidamento non in un provvedimento concessorio (pacificamente mai emesso) ma
    nel comportamento dell’amministrazione municipale, la quale avrebbe protratto per
    anni l’esame della pratica edilizia, in vario modo inducendo (con la comunicazione di
    atti endoprocedimentali, con la formulazione di apprezzamenti positivi sul piano
    dell’opera, con la divulgazione sui giornali del progetto di intervento edilizio) a
    confidare ragionevolmente nel positivo esito della stessa”.
  4. Ai fini del giudizio sul regolamento di giurisdizione si tratta quindi, in definitiva, di
    stabilire se la giurisdizione del giudice ordinario, affermata dalle ordinanze nn. 6594,
    6595 e 6596 del 2011 in relazione a domande di risarcimento del danno da lesione
    dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un
    atto amministrativo (nelle quali, come icasticamente sottolineato nella citata
    ordinanza n. 17586/2015, “l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sè, ma
    per l’efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole di un atto
    apparentemente legittimo”) debba essere affermata anche, e con maggior forza,
    quando nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in
    definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero un comportamento
    dell’amministrazione; o se, al contrario, nel caso in cui nessun provvedimento
    ampliativo sia mai venuto ad esistenza, l’affidamento riposto dal privato nella futura
    emanazione di un provvedimento a lui favorevole non costituisca altro che un mero
    riflesso, ininfluente sulla giurisdizione, di un’azione amministrativa – intesa come
    sequela di atti intrinsecamente connessi la cui legittimità/illegittimità costituisce, in
    definitiva, l’oggetto della controversia; con conseguente affermazione della
    giurisdizione del giudice aimministrativo tutte le volte che si versi in una materia di
    giurisdizione esclusiva del medesimo.
  5. Per affrontare la questione delineata nel paragrafo che precede è
    preliminarmente necessario tornare sulle ragioni che stanno alla base
    dell’orientamento inaugurato dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011.
  6. Dette ordinanze, come è noto, hanno marcato una discontinuità nella
    giurisprudenza di legittimità, superando il precedente orientamento – ben
    rappresentato dalla sentenza n. 8511/2009 – che riteneva sufficiente, al fine del
    radicamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il mero
    collegamento della controversia con le materie indicate dalla legge e, in tal modo,
    risolveva l’operazione di riparto della giurisdizione nella mera definizione dell’area
    coperta dalle materie delineate dal legislatore.
  7. Le ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 hanno invece affermato che:
  • la giurisdizione amministrativa presuppone l’esistenza di una controversia sul
    legittimo esercizio di un potere autoritativo ed è preordinata ad apprestare tutela
    (cautelare, cognitoria ed esecutiva) contro l’agire pubblicistico della pubblica
    amministrazione;
  • l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di condannare l’amministrazione
    al risarcimento del danno conseguente al modo in cui essa ha esercitato il potere
    tende a rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti della pubblica
    amministrazione, concentrando innanzi al giudice amministrativo non solo la fase del
    controllo di legittimità dell’azione amministrativa, ma anche quella del risarcimento
    del danno; tale attribuzione, tuttavia, non individua una nuova materia attribuita alla
    giurisdizione del giudice amministrativo (quest’ultima affermazione risale, peraltro, a
    C. Cost. n. 204/2005 p. 3.4.1);
  • l’attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria costituisce, quindi,
    uno strumento ulteriore, complementare rispetto alla tradizionale tutela demolitoria,
    per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione;
  • il presupposto perchè si possa predicare la sussistenza della giurisdizione
    amministrativa, tuttavia, è che il danno di cui si chiede il risarcimento nei confronti
    della pubblica amministrazione sia causalmente collegato alla illegittimità del
    provvedimento amministrativo; in altri termini, che la causa petendi dell’azione di
    danno sia la illegittimità del provvedimento della pubblica amministrazione;
  • esula, pertanto, dalla giurisdizione amministrativa la domanda con cui il destinatario
    di un provvedimento illegittimo ampliativo della sua sfera giuridica chieda il
    risarcimento del danno subito a causa della emanazione e del successivo
    annullamento (ad opera del giudice o della stessa pubblica amministrazione, in via di
    autotutela) di tale provvedimento; la causa petendi di detta domanda, infatti, non è la
    illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì la lesione dell’affidamento
    dell’attore nella legittimità del medesimo.
  1. Alle suddette affermazioni è stato obiettato in dottrina che l’interesse legittimo è
    una posizione tipicamente relazionale, che, cioè, esprime il rapporto tra il cittadino e
    l’amministrazione nell’esercizio di un potere, cosicché l’interesse legittimo del
    destinatario dell’azione amministrativa dovrebbe ritenersi leso non solo quando
    l’amministrazione gli neghi illegittimamente un provvedimento favorevole, ma anche
    quando tale provvedimento gli venga illegittimamente rilasciato; salvo che, in questo
    secondo caso, la lesione dell’interesse legittimo non sarebbe produttiva di danno.
  2. L’obiezione illustrata nel paragrafo che precede non può ritenersi dirimente. Il
    rilievo, pur di per sè certamente condivisibile, che l’interesse legittimo consiste nella
    pretesa ad un provvedimento favorevole che derivi dall’attività legittima
    dell’amministrazione non significa, tuttavia, che il danno lamentato dal privato che
    abbia ottenuto un determinato bene della vita mediante un provvedimento
    amministrativo illegittimo, successivamente annullato, sia stato causato dall’atto
    favorevole illegittimo; quest’ultimo, in quanto favorevole, non ha prodotto alcun
    danno al suo destinatario, ancorchè illegittimo. La fattispecie causativa del danno
    non consiste, pertanto, nella lesione dell’interesse legittimo del destinatario del
    provvedimento, bensì nella lesione dell’affidamento che costui ha riposto nella
    legittimità del provvedimento che gli ha attribuito il bene della vita. Ciò perchè, come
    questa Corte si è fatta carico di chiarire con la già menzionata ordinanza n.
    17586/2015, la scaturigine del danno costituente l’oggetto della pretesa risarcitoria
    del privato non consiste nella mera illegittimità del provvedimento amministrativo,
    bensì nella lesione dell’affidamento del privato sulla legittimità di tale atto; si tratta,
    cioè, di una fattispecie complessa, che richiede il concorso, con tale illegittimità,
    anche di ulteriori circostanze, la cui attitudine a fondare la fiducia incolpevole deve
    essere valutata caso per caso (vedi pag. 26, penultimo capoverso, di detta
    ordinanza: “L’adozione del provvedimento non viene in rilievo, dunque, nel suo mero
    risultato sul piano dell’azione amministrativa e, quindi, dell’esercizio in concreto del
    potere, bensì come elemento che deve avere avuto efficacia causativa del dannoevento rappresentato dalla determinazione dell’affidamento incolpevole e tale
    efficacia causativa, lungi dall’essere automaticamente ricollegabile di per sè al modo
    in cui il potere è stato esercitato e, dunque, al suo risultato, il provvedimento
    illegittimo, postula l’allegazione di ulteriori elementi in concorso con i quali l’adozione
    del provvedimento riveli quell’efficacia causale”).
    26.1. Non appare dunque persuasivo l’argomento, sostenuto da una parte della
    dottrina, che – poichè il provvedimento favorevole giustamente annullato è
    comunque espressione del potere pubblico – la lesione che esso arreca dovrebbe
    essere ricondotta, almeno nelle materie di giurisdizione esclusiva, alla cognizione del
    giudice amministrativo; tale argomento, infatti, trascura la considerazione, già svolta
    nel paragrafo precedente, che la lesione di cui si discute non è causata dal
    provvedimento favorevole (illegittimo – e, perciò, giustamente annullato – ma non
    dannoso per il suo destinatario), bensì dalla fattispecie complessa costituita
    dall’emanazione dell’atto favorevole illegittimo, dall’incolpevole affidamento del
    beneficiario nella sua legittimità e dal successivo (legittimo) annullamento dell’atto
    stesso. La lesione, cioè, discende non dalla violazione delle regole di diritto pubblico
    che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo che si estrinseca nel
    provvedimento, bensì dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di
    diritto privato, cui si deve uniformare il comportamento dell’amministrazione; regole
    la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità;
    come perspicuamente evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza
    dell’Adunanza plenaria n. 5 del 2018 (p. 34), “non diversamente da quanto accade
    nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non
    sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il
    comportamento complessivamente tenuto)”.
  3. Il Collegio ritiene altresì di confermare il rilievo, anch’esso svolto nella
    menzionata ordinanza n. 17586/2015 – e, in precedenza, nell’ordinanza n. 1162/2015
  • che i principi fissati nelle tre ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, rese con
    riferimento alla disciplina dettata dal D.Lgs., n. 80 del 1998, non hanno perso
    attualità a causa dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo di cui
    al D.Lgs. n. 104 del 2010. Non incidono sulla tenuta di detti principi, infatti, nè
    dell’art. 7 c.p.a., comma 1, là dove devolve “alla giurisdizione amministrativa le
    controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari
    materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato
    esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o
    comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in
    essere da pubbliche amministrazioni”; nè dell’art. 30 c.p.a., comma 2, là dove
    stabilisce che al giudice amministrativo, nei casi di giurisdizione esclusiva, “può
    altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi”.
    27.1. Quanto al disposto dell’art. 7, comma 1, c.p.a., va considerato che, anche
    secondo tale disposizione, la giurisdizione amministrativa – pure quella su diritti, ove
    si versi in materia di giurisdizione esclusiva – postula che sia in questione “l’esercizio
    o il mancato esercizio del potere amministrativo” e che, anche quando la
    controversia riguardi meri comportamenti, deve pur sempre trattarsi, secondo una
    formulazione normativa ricalcata sul dispositivo della sentenza della Corte
    costituzionale n. 191/2006, di comportamenti “riconducibili anche mediatamente
    all’esercizio di tale potere”. Nel caso in cui – secondo la domanda dell’attore (al cui
    oggetto, come già evidenziato nel p. 14, l’art. 386 c.p.c., ancora la decisione sulla
    giurisdizione) – il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso
    l’affidamento del privato, perchè non conforme ai canoni di correttezza e buona fede,
    non sussiste alcun collegamento, nemmeno mediato, tra il comportamento
    dell’amministrazione e l’esercizio del potere. Il comportamento dell’amministrazione
    rilevante ai fini dell’affidamento del privato, infatti, si pone – e va valutato – su un
    piano diverso rispetto da quello della scansione degli atti procedimentali che
    conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere amministrativo. Detto
    comportamento si colloca in una dimensione relazionale complessiva tra
    l’amministrazione ed il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio
    del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto (come nel caso oggetto del
    presente giudizio) o, addirittura, essere legittimo, così da risultare “un frammento
    legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale,
    violativi dei più elementari obblighi di trasparenza, di attenzione, di diligenza, al
    cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo
    privatistico” (così Cons. Stato n. 5/2018, già citata, p. 33).
    27.2. Quanto al disposto dell’art. 30, comma 2, c.p.a., va sottolineato che la
    giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nasce per concentrare la tutela
    davanti ad un unico giudice, quello amministrativo, in particolari materie, indicate
    dalla legge, caratterizzate per lo stretto intreccio che si determina, a fronte dei
    provvedimenti autoritativi della pubblica amministrazione, tra interessi legittimi e
    diritti soggettivi. Se, dunque, come ha sottolineato la Corte costituzionale, il sistema
    della giustizia amministrativa si è complessivamente evoluto nel senso che esso “da
    giurisdizione sull’atto, sempre più spesso si configura quale giurisdizione sul
    rapporto amministrativo” (Corte Cost. n. 179/2016, p. 3.1), va tuttavia ribadito che,
    anche nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la
    giurisdizione amministrativa su diritti presuppone che questi ultimi risultino coinvolti
    nell’esplicazione della funzione pubblica, esercitata mediante provvedimenti o
    mediante accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento. Ciò è stato chiarito dalla
    Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004, p. 3.4.2, là dove, con riferimento
    alla materia dei pubblici servizi, si giudica costituzionalmente illegittimo il riferimento
    a “tutte le controversie”, sul rilievo che la “materia” così individuata “prescinde del
    tutto dalla natura delle situazioni soggettive in essa coinvolte: sicchè,
    inammissibilmente, la giurisdizione esclusiva si radica sul dato, puramente oggettivo,
    del normale coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico interesse
    che è naturaliter presente nel settore dei pubblici servizi”; per poi concludere che
    tale materia “può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
    se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo
    ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in
    sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia,
    presuppone l’esistenza del potere autoritativo: della L. n. 241 del 1990, art. 11)”. In
    continuità con tale affermazione la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n.
    191/2006, ha ritenuto conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione
    esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti”
    collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, definendo tali
    comportamenti come quelli che “costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti
    amministrativi… e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere
    dell’amministrazione”. Perchè sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, in
    definitiva, è necessario, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, che la
    controversia inerisca ad una situazione di potere dell’amministrazione. E’ necessario,
    cioè, che la causa petendi si radichi nelle modalità di esercizio del potere
    amministrativo. Ciò non accade quando la causa del danno di cui il privato chiede il
    risarcimento risieda non nel cattivo esercizio del potere amministrativo, bensì, come
    già accennato nel paragrafo precedente, in un comportamento (nel cui ambito l’atto
    di esercizio del potere amministrativo – provvedimentale o adottato secondo moduli
    convenzionali – rileva come mero fatto storico) la cui illiceità venga dedotta
    prescindendo dal modo in cui il potere è stato (o non è stato) esercitato e venga
    prospettata come violazione di regole comportamentali di buona fede e correttezza
    alla cui osservanza è tenuto qualunque soggetto, sia esso pubblico o privato Deve
    quindi concludersi, riprendendo ancora una volta l’insegnamento della Corte
    costituzionale, che per radicare la giurisdizione, anche esclusiva, del giudice
    amministrativo “è richiesto che l’amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti (le
    “particolare materie” devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
    n.d.r.), come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi che
    possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante
    moduli consensuali ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11 (Nuove norme in
    materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
    amministrativi), sia infine mediante comportamenti, purchè questi ultimi siano posti in
    essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri
    comportamenti materiali avulsi da tale esercizio. In tale ultimo caso, infatti, la
    cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla
    giurisdizione del giudice ordinario” (così C.Cost. n. 35/2010 p. 2.2).
  1. Prima di concludere l’esame dei principi espressi nelle ordinanze nn. 6594, 6595
    e 6596 del 2011 va svolta ancora una precisazione sulla esatta identificazione della
    situazione soggettiva, l’affidamento, la cui lesione ha dato origine alle controversie
    che dette ordinanze hanno attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario.
    28.1 Come sottolineato da avvertita dottrina, la nozione di affidamento che rileva
    nella prospettiva delle suddette pronunce non è quella, generalmente definita come
    “affidamento legittimo”, la cui forma tipizzata di tutela si rinviene nella disciplina
    dell’annullamento di ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo dettata dalla
    L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies. Quest’ultimo modello di tutela prescinde da
    considerazioni legate all’elemento soggettivo della condotta dell’amministrazione e
    delle parti private (colpa, diligenza, buona fede etc.) e si risolve nella verifica della
    legittimità degli atti formali attraverso cui si esprime il potere discrezionale
    dell’amministrazione di ponderare l’interesse pubblico alla rimozione di un atto
    illegittimo con gli interessi privati del beneficiario di tale atto e degli eventuali
    controinteressati.
    28.2. L’affidamento a cui si fa riferimento nelle tre ripetute ordinanze del 2011, e
    nelle successive pronunce che alle stesse si sono uniformate, per contro, è una
    situazione autonoma, tutelata in sè, e non nel suo collegamento con l’interesse
    pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia,
    secondo una felice sintesi dottrinale, nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel
    danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in
    sostanza, di un’aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento
    dell’amministrazione fondata sulla buone fede. E’ propriamente in questa prospettiva
    che, come sopra sottolineato nel p. 26, il provvedimento favorevole, unito alle
    specifiche circostanze che abbiano dato fondamento alla fiducia nella legittimità e
    nella stabilità del medesimo, viene in considerazione quale elemento di una
    situazione che chiede protezione contro le conseguenze dannose della fiducia mal
    riposta.
    28.3. La precisazione svolta nel paragrafo precedente impone, peraltro, una ulteriore
    puntualizzazione. Ritiene, infatti, il Collegio di non poter dare seguito
    all’affermazione, che si rinviene in molti dei precedenti citati nel paragrafo 19.1, che
    individua la situazione soggettiva del privato lesa dalla delusione delle aspettative
    generate dal comportamento della pubblica amministrazione nel “diritto soggettivo
    alla conservazione dell’integrità del patrimonio”. Il patrimonio di un soggetto, infatti, è
    l’insieme di tutte le situazioni soggettive, aventi valore economico, che al medesimo
    fanno capo. La conservazione dell’integrità del patrimonio, pertanto, altro non è che
    la conservazione di ciascuno dei diritti, e delle altre situazioni soggettive attive, che
    lo compongono. La nozione di “diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio”
    risulta dunque, in definitiva, priva di consistenza autonoma, risolvendosi in una
    formula descrittiva che unifica in una sintesi verbale la pluralità delle situazioni
    soggettive attive che fanno capo ad un soggetto. Va invece ribadito che la situazione
    soggettiva lesa a cui si riferiscono i principi affermati nelle ordinanze nn. 6594, 6595
    e 6596 del 2011 e in quelle successive conformi – a cui queste Sezioni Unite
    intendono dare conferma e seguito – si identifica nell’affidamento della parte privata
    nella correttezza della condotta della pubblica amministrazione.
  2. La tutela dell’affidamento rientra tra i principi dell’ordinamento comunitario (ai
    quali l’attività amministrativa deve uniformarsi ai sensi della L. n. 241 del 1990, art.
    1), come la Corte di giustizia ha dichiarato fin dalla sentenza CGUE 3 maggio 1978,
    C-12/77, Topfer, dove si affermò che “il principio della tutela del legittimo
    affidamento…. fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario e la sua inosservanza
    costituirebbe, ai sensi del predetto articolo, “una violazione del Trattato o di qualsiasi
    regola di diritto relativa alla sua applicazione”” (p.p. 18 e 19). Secondo la Corte di
    Lussemburgo tale principio costituisce un corollario del principio della certezza del
    diritto (CGUE, 20 dicembre 2017, C-322/16, Global Starnet, p. 46). Osserva al
    riguardo il Collegio che, se è innegabile che tra il principio di affidamento e quello
    della certezza del diritto esistano ampi margini di sovrapposizione, la distinzione tra
    tali principi può essere tuttavia tracciata in relazione ai loro rispettivi contenuti,
    giacchè, come sottolineato da attenta dottrina, nella tutela dell’affidamento appare
    centrale la dimensione soggettiva, che è rappresentata dalla pretesa di un soggetto
    qualificata dalla previsione di una regola (generale o speciale) precedente, mentre
    rispetto alla certezza del diritto si impone una dimensione oggettiva, che attinge alla
    identità del diritto e coinvolge, in ultima analisi, un valore intrinseco alla giuridicità.
    Nella stessa giurisprudenza di Lussemburgo, peraltro, non mancano espliciti
    riferimenti alla dimensione “soggettiva” dell’affidamento; nella sentenza CGUE 14
    marzo 2013 C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle, per esempio – dopo le
    affermazioni, corredate dai richiami ai pertinenti precedenti, che “secondo una
    giurisprudenza consolidata della Corte, il principio della tutela del legittimo
    affidamento rientra fra i principi fondamentali dell’Unione” (p. 23) e che “il diritto di
    avvalersi del suddetto principio si estende ad ogni soggetto nel quale un’istituzione
    dell’Unione ha fatto sorgere fondate speranze” (p. 24) si enuncia il principio secondo
    il quale “costituiscono un esempio di assicurazioni idonee a far nascere fondate
    aspettative, a prescindere dalla forma in cui vengono comunicate, informazioni
    precise, incondizionate e concordanti che promanano da fonti autorizzate ed
    affidabili” (p. 25). Negli stessi termini, da ultimo, CGUE 23 gennaio 2019 C-419/17,
    Deza a.s. (p. 70).
  3. Nell’ordinamento nazionale, peraltro, il principio della tutela dell’affidamento nei
    confronti della condotta della pubblica amministrazione risulta specificato, rispetto
    alle regole civilistiche generali, da numerose disposizioni che disciplinano
    direttamente l’attività amministrativa, la cui violazione inficia la stessa legittimità
    dell’atte amministrativo: si pensi alla previsione dell’indennizzo nel caso della revoca
    di un provvedimento che rechi pregiudizio agli interessati (L. n. 241 del 1990, art. 21
    quinquies); ai limiti cronologici del potere di annullamento di ufficio dei provvedimenti
    illegittimi e al dovere di tener conto, nell’esercizio di tale potere, degli interessi dei
    destinatari del provvedimento e dei contro interessati (L. n. 241 del 1990, art. 21
    nonies); all’obbligo delle pubbliche amministrazioni (e dei privati preposti all’esercizio
    di attività amministrative) di risarcire il danno ingiusto cagionato in conseguenza
    dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento,
    previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 2 bis, comma 1; disposizione, quest’ultima, che
    configura un danno da ritardo che prescinde dalla spettanza del bene della vita
    oggetto del provvedimento adottato in violazione del termine e che, come
    sottolineato dal Consiglio di Stato, “deriva dalla lesione del diritto soggettivo di
    autodeterminazione negoziale: il ritardo nell’adozione del provvedimento genera,
    infatti, una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte
    negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non
    avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del
    provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’amministrazione” (ancora sent. n.
    5/2018, p. 42).
    30.1. Le disposizioni della L. n. 241 del 1990, richiamate nel paragrafo che precede
    disciplinano direttamente, come sopra sottolineato, l’esercizio del potere
    amministrativo, cosicché la relativa violazione determina l’illegittimità dell’atto di
    esercizio di tale potere, aprendo la strada alla tutela demolitoria e risarcitoria davanti
    al giudice amministrativo. Esse, pertanto, non rilevano direttamente ai fini del
    discorso che qui si va conducendo, che, come evidenziato nel paragrafo 26.1,
    concerne le ipotesi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto
    pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione
    delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la pubblica
    amministrazione si deve uniformare come qualunque altro soggetto.
    30.2. Le suddette disposizioni della L. n. 241 del 1990, tuttavia, interessano in
    questa sede per il loro rilievo di carattere sistematico, in quanto – al pari di altre
    disposizioni emergenti da settori specifici del diritto pubblico, quale, ad esempio,
    l’art. 10 dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), introduttivo del “principio
    della collaborazione e della buona fede” nei rapporti tra contribuente e
    amministrazione finanziaria – rappresentano un indice del progressivo orientamento
    del nostro ordinamento verso un’idea di “diritto amministrativo paritario”, per usare
    una celebre formula dottrinaria di quasi mezzo secolo fa, coerente con i principi di
    buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione fissati dall’art. 97 Cost..
    Un’idea del diritto amministrativo che postula un modello di pubblica
    amministrazione permeato dai principi di correttezza e buona amministrazione,
    consapevole dell’impatto che l’azione amministrativa produce sempre sulla sfera dei
    cittadini e delle imprese (cfr. Cons. Stato n. 1457/2018, p. 9.2) ed orientato al
    confronto leale e rispettoso della libertà di determinazione negoziale dei privati.
    30.3. Al modello di pubblica amministrazione così delineato non possono,
    evidentemente, non attagliarsi anche quei doveri generali di correttezza e buona
    fede di matrice civilistica la cui violazione fonda una responsabilità da lesione
    dell’affidamento del privato che prescinde dalla valutazione di legittimità o illegittimità
    (ed anche dalla stessa esistenza) di un atto di esercizio del potere amministrativo.
  4. E’ ancora necessario, da ultimo, mettere a fuoco con precisione la natura della
    responsabilità che sorge in capo alla pubblica amministrazione per effetto della
    lesione dell’affidamento del privato.
    Ritengono le Sezioni Unite che detta responsabilità vada ricondotta al paradigma
    della responsabilità da contatto sociale qualificato.
  5. Il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede rappresenta, infatti,
    una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale, che trova il suo
    principale fondamento nell’art. 2 Cost. e grava reciprocamente su tutti i membri della
    collettività. Tale dovere si intensifica e si rafforza, trasformandosi in dovere di
    correttezza e di protezione, quando tra i consociati si instaurano momenti relazionali
    socialmente o giuridicamente qualificati, tali da generare, unilateralmente o, talvolta,
    anche reciprocamente, ragionevoli affidamenti sull’altrui condotta corretta e
    protettiva. Deve quindi riconoscersi l’esistenza di una proporzionalità diretta tra
    l’ambito e il contenuto dei doveri di protezione e correttezza, da un lato, e il grado di
    intensità del momento relazionale e del conseguente affidamento da questo
    ingenerato, dall’altro; cosicché, come persuasivamente affermato dal Consiglio di
    Stato nella più volte citata sentenza n. 5 del 2018, “da chi esercita, ad esempio,
    un’attività professionale “protetta” (ancor di più se essa costituisce anche un servizio
    pubblico o un servizio di pubblica necessità) e, a maggior ragione, da chi esercita
    una funzione amministrativa, costituzionalmente sottoposta ai principi di imparzialità
    e di buon andamento (art. 97 Cost.), il cittadino si aspetta uno sforzo maggiore, in
    termini di correttezza, lealtà, protezione e tutela dell’affidamento, rispetto a quello
    che si attenderebbe dal quisque de populo” (p. 24). Vi è quindi un quid pluris rispetto
    al generale precetto del neminem laedere; non si tratta della generica “responsabilità
    del passante”, ma della responsabilità che sorge tra soggetti che si conoscono
    reciprocamente già prima che si verifichi un danno; danno che consegue non alla
    violazione di un dovere di prestazione ma alla violazione di un dovere di protezione,
    il quale sorge non da un contratto ma dalla relazione che si instaura tra
    l’amministrazione ed il cittadino nel momento in cui quest’ultimo entra in contatto con
    la prima.
  6. Sulla scorta dei rilievi sviluppati nel paragrafo che precede le Sezioni Unite
    ritengono di dover valorizzare – generalizzandone gli esiti oltre il mero ambito
    dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione l’orientamento che connota la
    responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la
    pubblica amministrazione come responsabilità da contatto sociale qualificato dallo
    status della pubblica amministrazione quale soggetto tenuto all’osservanza della
    legge come fonte della legittimità dei propri atti. Il contatto, o, per meglio dire, il
    rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione deve essere inteso come il fatto
    idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173
    c.c.) dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione, bensì
    reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta l’art. 1175
    c.c. (correttezza), art. 1176 c.c. (diligenza) e art. 1337 c.c.(buona fede).
    33.1. Del suddetto orientamento si trova traccia nella giurisprudenza di questa
    Suprema Corte fin dalla sentenza n. 157 del 2003, dove già si affermava (pagg.
    31-33) che “con la L. 7 agosto 1990, n. 241, i principi di efficienza e di economicità
    dell’azione amministrativa e, insieme, di partecipazione del privato al procedimento
    amministrativo, sono diventati criteri giuridici positivi. La nuova concezione
    dell’attività amministrativa non può non avere riflessi sull’impostazione del problema
    della responsabilità della pubblica amministrazione. Il modello della responsabilità
    aquiliana appare il più congeniale al principio di autorità, laddove la violazione del
    diritto soggettivo si verifica in presenza di un’attività materiale (comportamento
    senza potere dell’amministrazione) che abbia leso l’interesse al bene della vita di un
    qualsiasi soggetto, al di fuori di un rapporto…. Il contatto del cittadino con
    l’amministrazione è oggi caratterizzato da uno specifico dovere di comportamento
    nell’ambito di un rapporto che, in virtù delle garanzie che assistono l’interlocutore
    dell’attività procedimentale, diviene specifico e dfferenziato. Dall’inizio del
    procedimento l’interessato, non più destinatario passivo dell’azione amministrativa,
    diviene il beneficiario di obblighi che la stessa sentenza 500/99/SU identifica nelle
    “regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio
    della funzione pubblica deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in
    quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità”. La formula della
    responsabilità da contatto nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione è stata
    poi ripresa nella sentenza n. 24382/2010 e, nello specifico settore dell’attività
    contrattuale della pubblica amministrazione, nella sentenza n. 24438 del 2011, dove
    si afferma che la responsabilità che deriva dalla lesione dell’affidamento reciproco
    dei contraenti nella correttezza dei comportamenti della controparte “non è
    sicuramente contrattuale… nè attiene ad una ipotesi tout court di ingiusta lesione di
    un diritto da terzi, ai sensi dell’art. 2043 c.c., avendo invece a fondamento il
    “contatto” tra le parti del futuro contratto” (pag. 16); con la precisazione che detta
    responsabilità, pur non qualificabile come contrattuale, a quest’ultima “si avvicina,
    perchè consegue al “contatto” tra le future parti per la stipula del contratto e alle
    scorrettezze del committente, con rilievo ai fini della disciplina della prova applicabile
    che è quella dell’art. 1218 c.c.” (pag. 18). Di sicuro rilievo, in questa prospettiva, è
    anche la sentenza n. 9636/2015, nella quale si valorizza quella giurisprudenza
    amministrativa che ha talora valutato la colpa della pubblica amministrazione con
    riferimento al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista
    di cui all’art. 2236 c.c. (Cons. Stato, n. 1300/2007, Cons. Stato, n. 5500/2004). I
    principi di cui si tratta sono stati infine portati a compiuta maturazione, pur sempre
    nello specifico settore dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione, nella
    sentenza n. 14188/2016, nella quale all’esito di un’approfondita disamina del tema
    della responsabilità di tipo contrattuale in assenza di contratto, si è condivisibilmente
    affermato (p. 12.1) che “l’elemento qualificante di quella che può ormai denominarsi
    culpa in contrahendo solo di nome, non è più la colpa, bensì la violazione della
    buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione
    reciproca tra le parti”.
    33.2. Alla stregua dei principi enunciati in Cass. 14188/16 (successivamente ripresi
    anche da Cass. 25644/2017), che queste Sezioni Unite ritengono di confermare,
    deve quindi conclusivamente affermarsi che la responsabilità che grava sulla
    pubblica amministrazione per il danno prodotto al privato a causa delle violazione
    dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa
    non sorge in assenza di rapporto, come la responsabilità aquiliana, ma sorge da un
    rapporto tra soggetti – la pubblica amministrazione e il privato che con questa sia
    entrato in relazione – che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il
    privato non può non fare affidamento nella correttezza della pubblica
    amministrazione. Si tratta, allora, di una responsabilità che prende la forma dalla
    violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo
    schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato, da
    inquadrare nell’ambito della responsabilità contrattuale; con l’avvertenza che tale
    inquadramento, come segnalato da autorevole dottrina, non si riferisce al contratto
    come atto ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un
    contratto.
  7. Può quindi ora pervenirsi, in conclusione, a sciogliere il dilemma prospettato nel
    paragrafo 21. Deve pertanto affermarsi che i principi enunciati dalle ordinanze nn.
    6594, 6595 e 6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di
    risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal
    successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun
    provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato
    abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell’amministrazione.
    In questo caso, infatti, i detti principi valgono con maggior forza, perchè,
    l’amministrazione non ha posto in essere alcun atto di esercizio del potere
    amministrativo; il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca, allora, interamente sul
    piano del comportamento (quella “dimensione relazionale complessiva tra
    l’amministrazione ed il privato” a cui si è fatto riferimento nell’ultima parte del
    paragrafo 27.1), nemmeno esistendo un provvedimento a cui astrattamente imputare
    la lesione di un interesse legittimo.
  8. In definitiva, poichè il presente giudizio ha ad oggetto una pretesa risarcitoria
    fondata sulla deduzione di una lesione dell’affidamento della società D.C.
    Costruzioni nella correttezza del comportamento della pubblica amministrazione,
    causata da una condotta del Comune di Lignano Sabbiadoro che l’attrice assume
    difforme dai canoni di correttezza e buona fede, priva di collegamento, anche solo
    mediato, con l’esercizio (mai attuato) del potere amministrativo, il proposto
    regolamento di giurisdizione va definito con l’affermazione della giurisdizione
    dell’autorità giudiziaria ordinaria.
  9. Le spese del presente regolamento saranno regolate in sede di merito.
    P.Q.M.
    La Corte regola la giurisdizione dichiarando la giurisdizione dell’autorità
    giudiziaria ordinaria.
    Spese al merito.
    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2019.
    Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2020

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