Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 28 aprile 2020, n. 8236, Danno da lesione dell’affidamento del privato – Giurisdizione del giudice ordinario:
Riprendendo le ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, le Sezioni Unite hanno affermato che, in caso di lesione dell’affidamento del privato, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione una responsabilità da contatto sociale, rientrante nel paradigma della responsabilità contrattuale. Il rapporto tra il privato e la Pubblica Amministrazione costituisce un fatto idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico”, dal quale derivano a carico delle parti reciproci obblighi di buona fede, correttezza e diligenza. La Suprema Corte, definitivamente pronunciando, riconosce la giurisdizione del giudice ordinario sia quando la lesione dell’affidamento del privato derivi dall’emanazione di un provvedimento amministrativo poi annullato, che dall’adozione di un mero comportamento contrario a buona fede e correttezza a cui non ha fatto seguito alcun provvedimento amministrativo.
Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 28 aprile 2020, n. 8236
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente di Sez. –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez. –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15374/2017 proposto da:
COMUNE DI LIGNANO SABBIADORO, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 6, presso lo studio
dell’avvocato MARCELLO COLLEVECCHIO, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato MARCO MAPPILLERO;
- ricorrente –
contro
D.C. COSTRUZIONI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PADOVA 82, presso lo studio dell’avvocato
BRUNO AGUGLIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO
MARINELLI; - controricorrente –
per regolamento di giurisdizione, in relazione al giudizio pendente n. 4935/2016 del
TRIBUNALE di UDINE. Udita la relazione della causa svolta nella Camera di
consiglio del 05/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIANFRANCO
SERVELLO, il quale chiede che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, accolga il
ricorso, dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Svolgimento del processo
- Con citazione notificata il 18.10.2016 la società D.C. Costruzioni s.r.l. conveniva il
Comune di Lignano Sabbiadoro davanti al Tribunale di Udine esponendo che:
- nel giugno 2012 essa società aveva presentato un progetto preliminare di massima
per la realizzazione di un grande complesso alberghiero su un terreno di sua
proprietà in (OMISSIS) (mappali (OMISSIS) del foglio di mappa n. (OMISSIS)); - sul detto progetto preliminare veniva sviluppata una intensa interlocuzione tra la
società proponente, assistita dai professionisti all’uopo incaricati, e gli uffici
comunali; - in particolare, nell’ottobre del 2012 essa società presentava, a richiesta dello
stesso Comune, un PAC (piano attuativo comunale) di iniziativa privata, poi
successivamente modificato ed integrato secondo le indicazioni degli uffici comunali; - nel giugno 2014 il Comune informava la società che la Commissione urbanistica
comunale aveva espresso parere favorevole, con segnalazione di alcuni chiarimenti
e richieste di miglioramenti e con l’invito a presentare richiesta di permesso di
costruire in deroga; - nell’ottobre 2014, all’esito di ulteriori contatti, la società, d’intesa con
l’Amministrazione municipale, chiedeva l’archiviazione del PAC e contestualmente
presentava richiesta di rilascio del permesso di costruire e domanda di deroga alle
norme urbanistiche comunali;
il 27.11.2014 il Comune chiedeva il deposito di documentazione integrativa,
conseguentemente interrompendo la decorrenza dei termini del procedimento di cui
alla L.R. n. 19 del 2009, art. 24;
nel corso del 2015 si succedevano ulteriori contatti, integrazioni documentali e
variazioni progettuali;
nell’ottobre 2015 il Comune chiedeva un parere alla regione Friuli Venezia Giulia
sulla compatibilità del progetto in esame con il PAIR (Progetto di Piano stralcio per
l’Assetto Idrogeologico dei bacini idrografici dei tributari della Laguna di Marano –
Grado, ivi compresa la laguna medesima, del Torrente Stizza e del Levante)
deliberato dalla giunta regionale 28.11.2014, alla cui stregua non era consentita la
realizzazione di locali interrati o semi interrati nella zona (B2) oggetto del progettato
intervento;
dopo ulteriori contatti il Comune, con Delib. Consiliare 26 aprile 2016, adottava la
variante urbanistica n. 48, che modificava significativamente, in senso restrittivo, il
regime edilizio ed urbanistico dell’area in questione, trasformandola da zona “B2” a
zona omogenea “BO/b – città giardino e caratterizzata da corridoi verdi”;
solo nel settembre 2016, dopo numerosi contatti e solleciti, l’Amministrazione
comunale rappresentava, dapprima, con messaggio di posta elettronica del
16.9.2016 del dirigente dei servizi tecnici, la non applicabilità delle deroghe alla
erigenda costruzione alberghiera (conseguentemente prospettando l’opportunità di
presentare nuovamente un PAC e segnalando di aver richiesto un parere alla
Regione sulla possibilità di derogare al PAIR) e poi, con messaggio di posta
elettronica del 20.9.2016 dell’assessore all’urbanistica, l’opportunità di attendere il
parere regionale.
- Sulla scorta della suddetta narrativa di fatto la società D.C. Costruzioni lamentava
come il Comune si fosse comportato in modo ondivago (vedi p. 55 della citazione
introduttiva: “dopo aver chiesto all’attrice di presentare direttamente la domanda
relativa al permesso di costruire in deroga, con conseguente rinuncia al PAC già
depositato, dopo quattro anni è venuto ipotizzando la necessità di presentare il
PAC”) e avesse leso le aspettative ingenerate “procrastinando all’infinito la dovuta
decisione in ordine alla domanda presentata, chiedendo sempre ulteriore
documentazione, e così di fatto non decidendo e/o rimanendo inerte, con aggravio di
tempo e denaro per la società D.C. Costruzioni s.r.l.” (vedi p. 52 della citazione
introduttiva); l’attrice quindi, denunciando altresì la violazione dei termini
procedimentali fissati dalla L.R. Friuli Venezia Giulia n. 19 del 2009, art. 24, comma
2, chiedeva la condanna del Comune al risarcimento dei danni da liquidare a mezzo
c.t.u. ovvero in via equitativa. - Il Comune di Lignano Sabbiadoro si costituiva in giudizio e resisteva alla
domanda, preliminarmente sollevando eccezione di difetto di giurisdizione del
giudice ordinario. - Dopo l’introduzione del giudizio la Regione Friuli Venezia Giulia rilasciava i pareri
richiesti dal Comune, il quale ultimo, conseguentemente, trasmetteva alla società
D.C. Costruzioni atto di preavviso di diniego del permesso di costruire in deroga. - In data 3.4.2017 il Tribunale in composizione monocratica assegnava alle parti i
termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, con rinvio al 3 luglio 2017. - Nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, datata 26.4.2017, la società
attrice, replicando all’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario
sollevata dal Comune evidenziava che: “l’esigenza di tutela – risarcitoria – trova il
proprio fondamento nell’affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole ovvero
dalle rassicurazioni fornite dal Comune di Lignano al momento dell’acquisto di fondi
e successivamente nei pareri nel corso degli anni rilasciati in ordine alle possibilità
edificatorie siccome specificate nella variante 40 all’epoca vigente”. - Con ricorso notificato l’8 giugno 2017 il Comune di Lignano Sabbiadoro ha
proposto regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c.,
chiedendo dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo. - La D.C. Costruzioni s.r.l. ha depositato controricorso, chiedendo dichiararsi la
giurisdizione dell’a.g.o.. - La causa è stata discussa una prima volta nella Camera di consiglio del 3 luglio
2018, per la quale la D.C. Costruzioni s.r.l. ha depositato una memoria ed il
Procuratore Generale ha trasmesso requisitoria scritta, concludendo per la
declaratoria della giurisdizione del giudice amministrativo. In quella sede il Collegio
ha chiesto all’Ufficio del Massimario e del Ruolo di questa Suprema Corte una
relazione di approfondimento sulle questioni di diritto sottese al ricorso e, dopo il
deposito della stessa, la causa è stata nuovamente discussa nella Camera di
consiglio del 5 novembre 2019.
Motivi della decisione - L’Amministrazione comunale deduce che, ai sensi degli artt. 30 e 133 c.p.a.,
anche in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 2-bis, la controversia rientrerebbe
nella giurisdizione del giudice amministrativo per essere riconducibile alla
giurisdizione esclusiva del medesimo sotto due autonomi profili. - Sotto un primo profilo, si argomenta che, mancando un provvedimento positivo
dell’Amministrazione comunale idoneo a giustificare un qualsiasi legittimo
affidamento della società attrice, la doglianza di quest’ultima sarebbe in definitiva
riconducibile alla mera violazione dei termini procedimentali. Donde la qualificazione
della domanda come domanda di risarcimento del danno da ritardo, devoluta alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a.,
che, appunto, attribuisce a tale giurisdizione esclusiva “le controversie in materia di
risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa
o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo”.
11.1. Sotto un secondo profilo il Comune argomenta che la controversia rientrerebbe
nella materia di edilizia ed urbanistica, attribuita alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo dall’art. 1, comma 1, lett. f), c.p.a.
11.2. Il Comune poi nega la riconducibilità della fattispecie ai principi enunciati da
questa Sezione Unite nell’ordinanza 6594/2011, sottolineando come, nella specie,
nessun titolo abilitativo fosse mai stato rilasciato alla società attrice e, quindi, nessun
affidamento potesse essere sorto in capo alla medesima.
11.3. In particolare il Comune evidenzia che:
- il parere favorevole della Commissione urbanistica prot. n. 19715/2014 era
subordinato al superamento di specifici profili di inadeguatezza del progetto; - ai sensi della L.R. n. 19 del 2009, art. 35, la deroga agli strumenti urbanistici poteva
essere autorizzata solo dal Consiglio comunale; – la comunicazione del parere
favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale costituiva atto di natura
meramente endoprocedimentale (il ricorrente richiama, al riguardo, Cons. Stato n.
3594/2005); - la richiesta di un parere alla Regione, dopo la rielaborazione del progetto fornito
dalla società per uniformare il medesimo al PAIR, era legittima e doverosa; - la variante n. 48 non aveva eliminato l’edificabilità dell’area e, d’altra parte lo
strumento che dettava il previgente assetto urbanistico – la variante n. 40 – non
aveva generato alcun legittimo affidamento, non essendo giuridicamente protetto
l’interesse del privato all’immutabilità della classificazione urbanistica dell’area di sua
proprietà.
- La D.C. Costruzioni s.r.l. contesta le argomentazioni dell’Amministrazione
ricorrente e sostiene che la giurisdizione sulla presente controversia apparterrebbe
al giudice ordinario perchè l’oggetto della domanda da lei proposta è costituito dal
risarcimento dei danni derivanti dal mancato rispetto dell’affidamento ingenerato dai
provvedimenti favorevoli e dalle rassicurazioni fornite dall’Amministrazione
municipale. Ad avviso della controricorrente la presente fattispecie sarebbe
riconducibile nell’ambito dei principi espressi nella ordinanza di queste Sezioni Unite
n. 6594/2011. - Il Procuratore Generale ha concluso per l’affermazione della giurisdizione del
giudice amministrativo, negando che i principi espressi nella menzionata ordinanza
n. 6594/2011 (e nelle coeve ordinanze nn. 6595/2011 e 6596/2011) siano applicabili
nella fattispecie. Tali principi, argomenta il Procuratore Generale, postulano
l’esistenza di un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato, sulla cui
legittimità il medesimo privato abbia fatto affidamento e che successivamente sia
stato caducato, in via di autotutela o in sede giurisdizionale; detto provvedimento
ampliativo, nella specie, non sarebbe mai stato emesso, non avendo il Comune mai
rilasciato alcun permesso di costruire alla società D.C. Costruzioni. - Il Collegio preliminarmente rileva che tutti gli argomenti spiegati dal Comune per
escludere che la società ricorrente potesse vantare un legittimo affidamento
nell’approvazione del suo progetto edilizio, sopra riportati nel paragrafo 11.3, sono
irrilevanti ai fini della pronuncia sulla questione di giurisdizione. Tali argomenti, infatti,
tendono a dimostrare che in capo alla società D.C. Costruzioni non poteva essere
sorto alcun affidamento sull’esito positivo del procedimento concessorio, cosicché la
situazione soggettiva di cui la società attrice lamenta la lesione sarebbe in radice
insussistente. Si tratta di argomenti che attengono al merito della controversia,
mentre, ai sensi dell’art. 386 c.p.c., la decisione sulla giurisdizione “è determinata
dall’oggetto della domanda” e, va sottolineato, non pregiudica le questioni sulla
pertinenza del diritto. - Infondato va poi giudicato l’assunto della difesa del Comune secondo cui la
controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi
dell’art. 133, lett. a), n. 1 c.p.a., che attribuisce alla giurisdizione esclusiva di tale
giudice le controversie in materia di risarcimento del danno ingiusto cagionato in
conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento amministrativo. Infatti la domanda della società D.C. Costruzioni,
sebbene nella citazione introduttiva venga colorata anche con riferimento alla
dedotta violazione della disciplina dei termini procedimentali, in effetti non si fonda
sul fatto che il Comune avrebbe tardato nel provvedere (negativamente o
positivamente) sulla istanza di permesso di costruire. Tale domanda – precisata
dall’attrice nella sua prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6 – risulta fondata, in
sostanza, sul fatto che il Comune ha provveduto negativamente sulla suddetta
istanza dopo avere tenuto per lungo tempo comportamenti che, nella prospettazione
dell’attrice, avrebbero ingenerato un incolpevole affidamento in un esito positivo del
procedimento concessorio (si veda lo stralcio della prima memoria ex art. 183 c.p.c.,
comma 6, della società attrice che viene riportato dal Comune a pag. 18 del proprio
ricorso per regolamento di giurisdizione: “il Comune di Lignano dopo aver a più
riprese espresso parere favorevole al progetto, riconoscendone oltre tutto anche la
valenza di opera pubblica…. è venuto successivamente, dopo cinque anni, facendo
dietro front, modificando completamente il proprio orientamento”). La causa petendi
della domanda della società D.C. Costruzioni non è, quindi, l’inosservanza di un
termine procedimentale, bensì la violazione dell’affidamento ingenerato
dall’amministrazione comunale in un determinato esito, favorevole alla società
attrice, del procedimento. - Più articolato è il discorso da svolgere riguardo all’assunto del Comune secondo
cui la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo ai
sensi dell’art. 133, lett. f), che attribuisce alla giurisdizione esclusiva di tale giudice le
controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche
amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso
del territorio. E’ indubbio, infatti, che una controversia relativa all’esercizio del potere
di rilasciare o non rilasciare un permesso di costruire rientri nella materia urbanistica
ed edilizia ed è, quindi, attratta nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo anche quando la situazione soggettiva dedotta in giudizio abbia
consistenza di diritto soggettivo (come si verifica, ad esempio, quando l’oggetto della
domanda abbia ad oggetto il risarcimento del danno causato da un atto illegittimo di
esercizio di tale potere). La pretesa risarcitoria dedotta nel presente giudizio dalla
società D.C. Costruzioni, tuttavia, ha ad oggetto un danno che, nella prospettazione
della società attrice, non è stato causato da “atti” o “provvedimenti”
dell’amministrazione municipale, bensì dal comportamento da questa tenuto nella
conduzione dei rapporti tra i propri uffici e la stessa società, tale da ingenerare in
quest’ultima un incolpevole affidamento nel rilascio del permesso, poi deluso dal
diniego finale (del quale non viene messa in discussione la legittimità). Un danno,
cioè, da comportamento e non da provvedimento. - Inquadrato il tema nei termini di cui al paragrafo che precede, il Collegio osserva
che con le tre coeve ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 queste Sezioni Unite
hanno ritenuto rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario:
- la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione
dell’affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole (nella specie, una
concessione edilizia) poi legittimamente annullato in via di autotutela (sent. n.
6594/2011); - la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione
dell’affidamento riposto nell’attendibilità della attestazione rilasciata dalla pubblica
amministrazione (rivelatasi erronea) circa la edificabilità di un’area (chiesta da un
privato per valutare la convenienza di acquistare un terreno) e nella legittimità della
conseguente concessione edilizia, successivamente annullata (sent. n. 6595/11); - la controversia avente ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento danni
proposta da colui che, avendo ottenuto l’aggiudicazione in una gara per l’appalto di
un pubblico servizio, successivamente annullata dal giudice amministrativo, deduca
la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione
apparentemente legittimo (sent. n. 6596/11).
- Alla base delle suddette pronunce vi era, in sostanza, la considerazione che i
privati che avevano instaurato i giudizi in cui le medesime sono state emesse non
mettevano in discussione l’illegittimità degli atti amministrativi, ampliativi della loro
sfera giuridica, annullati in via di autotutela o ope judicis, ma lamentavano la lesione
del loro affidamento sulla legittimità degli atti annullati e chiedevano il risarcimento
dei danni da loro subiti per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali
confidando, fino all’annullamento di tali atti, nella relativa legittimità. - La giurisprudenza successiva alle tre suddette ordinanze ha peraltro evidenziato
la coesistenza, all’interno di queste Sezioni Unite, di linee di interpretative non
perfettamente collimanti.
19.1. Da un lato, infatti, i principi espressi nelle tre ordinanze del 2011 risultano
ripresi e confermati nelle pronunce nn. 17586/2015, 12799/2017, 15640/2017,
19171/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019,
6885/2019 e 12635/2019, nelle quali ricorre l’affermazione che la controversia
relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un
provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, legittimamente
annullato, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perchè ha ad oggetto la
lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo;
diritto generalmente qualificato come “diritto alla conservazione dell’integrità del
patrimonio”, leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento
amministrativo poi caducato (su tale qualificazione si vedano, tra le altre, le sentenze
nn. 12799/2017, 1654/2018 e 6885/2019).
19.2. D’altro lato, tuttavia, non sono mancate pronunce che, discostandosi da tale
orientamento, hanno affermato che nelle materie di giurisdizione amministrativa
esclusiva l’azione risarcitoria per lesione dell’affidamento riposto nella legittimità
dell’atto amministrativo poi annullato rientra nella cognizione del giudice
amministrativo; si veda, in questo senso, SSUU n. 8057/2016 (ove si afferma che
“l’azione amministrativa illegittima composta da una sequela di atti intrinsecamente
connessi – non può essere scissa in differenti posizioni da tutelare, essendo
controverso l’agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l’affidamento
costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione”) e SSUU n. 13454/2017
(ove si afferma che “la giurisdizione esclusiva prevede la cognizione, da parte del
giudice amministrativo, sia delle controversie relative ad interessi legittimi della fase
pubblicistica, sia delle controversie di carattere risarcitorio originate dalla
caducazione di provvedimenti della fase predetta, realizzandosi quella situazione
d’interferenza tra diritti ed interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione
del potere che si pongono a fondamento costituzionale delle aree conferite alla
cognizione del giudice amministrativo, riguardo ad atti e comportamenti assunti
prima dell’aggiudicazione o nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la
mancata stipula del contratto”). Da ultimo, in SSUU n. 13194/2018 si è ritenuto che i
principi fissati nelle ordinanze del 2011 non siano applicabili qualora difetti il
presupposto della sussistenza di un “provvedimento ampliativo” della sfera giuridica
del privato.
19.3. Secondo le pronunce menzionate nel paragrafo che precede, in sostanza,
quello che viene in discussione nelle vicende processuali in esame è l’agire
provvedimentale nel suo complesso; la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo si giustifica in ragione del contesto, o dell’ambiente, di stampo
pubblicistico, nel quale la complessiva condotta dell’amministrazione si colloca e che
connette tale condotta con l’esercizio del potere. - Il caso oggi all’esame del Collegio si caratterizza, al pari di quello oggetto di
SSUU n. 13194/2018, per l’assenza di un provvedimento ampliativo della sfera del
privato; la società D.C. Costruzioni, infatti, deduce di aver riposto il proprio
affidamento non in un provvedimento concessorio (pacificamente mai emesso) ma
nel comportamento dell’amministrazione municipale, la quale avrebbe protratto per
anni l’esame della pratica edilizia, in vario modo inducendo (con la comunicazione di
atti endoprocedimentali, con la formulazione di apprezzamenti positivi sul piano
dell’opera, con la divulgazione sui giornali del progetto di intervento edilizio) a
confidare ragionevolmente nel positivo esito della stessa”. - Ai fini del giudizio sul regolamento di giurisdizione si tratta quindi, in definitiva, di
stabilire se la giurisdizione del giudice ordinario, affermata dalle ordinanze nn. 6594,
6595 e 6596 del 2011 in relazione a domande di risarcimento del danno da lesione
dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un
atto amministrativo (nelle quali, come icasticamente sottolineato nella citata
ordinanza n. 17586/2015, “l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sè, ma
per l’efficacia causale del danno-evento da affidamento incolpevole di un atto
apparentemente legittimo”) debba essere affermata anche, e con maggior forza,
quando nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in
definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero un comportamento
dell’amministrazione; o se, al contrario, nel caso in cui nessun provvedimento
ampliativo sia mai venuto ad esistenza, l’affidamento riposto dal privato nella futura
emanazione di un provvedimento a lui favorevole non costituisca altro che un mero
riflesso, ininfluente sulla giurisdizione, di un’azione amministrativa – intesa come
sequela di atti intrinsecamente connessi la cui legittimità/illegittimità costituisce, in
definitiva, l’oggetto della controversia; con conseguente affermazione della
giurisdizione del giudice aimministrativo tutte le volte che si versi in una materia di
giurisdizione esclusiva del medesimo. - Per affrontare la questione delineata nel paragrafo che precede è
preliminarmente necessario tornare sulle ragioni che stanno alla base
dell’orientamento inaugurato dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011. - Dette ordinanze, come è noto, hanno marcato una discontinuità nella
giurisprudenza di legittimità, superando il precedente orientamento – ben
rappresentato dalla sentenza n. 8511/2009 – che riteneva sufficiente, al fine del
radicamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il mero
collegamento della controversia con le materie indicate dalla legge e, in tal modo,
risolveva l’operazione di riparto della giurisdizione nella mera definizione dell’area
coperta dalle materie delineate dal legislatore. - Le ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 hanno invece affermato che:
- la giurisdizione amministrativa presuppone l’esistenza di una controversia sul
legittimo esercizio di un potere autoritativo ed è preordinata ad apprestare tutela
(cautelare, cognitoria ed esecutiva) contro l’agire pubblicistico della pubblica
amministrazione; - l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di condannare l’amministrazione
al risarcimento del danno conseguente al modo in cui essa ha esercitato il potere
tende a rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti della pubblica
amministrazione, concentrando innanzi al giudice amministrativo non solo la fase del
controllo di legittimità dell’azione amministrativa, ma anche quella del risarcimento
del danno; tale attribuzione, tuttavia, non individua una nuova materia attribuita alla
giurisdizione del giudice amministrativo (quest’ultima affermazione risale, peraltro, a
C. Cost. n. 204/2005 p. 3.4.1); - l’attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria costituisce, quindi,
uno strumento ulteriore, complementare rispetto alla tradizionale tutela demolitoria,
per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione; - il presupposto perchè si possa predicare la sussistenza della giurisdizione
amministrativa, tuttavia, è che il danno di cui si chiede il risarcimento nei confronti
della pubblica amministrazione sia causalmente collegato alla illegittimità del
provvedimento amministrativo; in altri termini, che la causa petendi dell’azione di
danno sia la illegittimità del provvedimento della pubblica amministrazione; - esula, pertanto, dalla giurisdizione amministrativa la domanda con cui il destinatario
di un provvedimento illegittimo ampliativo della sua sfera giuridica chieda il
risarcimento del danno subito a causa della emanazione e del successivo
annullamento (ad opera del giudice o della stessa pubblica amministrazione, in via di
autotutela) di tale provvedimento; la causa petendi di detta domanda, infatti, non è la
illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì la lesione dell’affidamento
dell’attore nella legittimità del medesimo.
- Alle suddette affermazioni è stato obiettato in dottrina che l’interesse legittimo è
una posizione tipicamente relazionale, che, cioè, esprime il rapporto tra il cittadino e
l’amministrazione nell’esercizio di un potere, cosicché l’interesse legittimo del
destinatario dell’azione amministrativa dovrebbe ritenersi leso non solo quando
l’amministrazione gli neghi illegittimamente un provvedimento favorevole, ma anche
quando tale provvedimento gli venga illegittimamente rilasciato; salvo che, in questo
secondo caso, la lesione dell’interesse legittimo non sarebbe produttiva di danno. - L’obiezione illustrata nel paragrafo che precede non può ritenersi dirimente. Il
rilievo, pur di per sè certamente condivisibile, che l’interesse legittimo consiste nella
pretesa ad un provvedimento favorevole che derivi dall’attività legittima
dell’amministrazione non significa, tuttavia, che il danno lamentato dal privato che
abbia ottenuto un determinato bene della vita mediante un provvedimento
amministrativo illegittimo, successivamente annullato, sia stato causato dall’atto
favorevole illegittimo; quest’ultimo, in quanto favorevole, non ha prodotto alcun
danno al suo destinatario, ancorchè illegittimo. La fattispecie causativa del danno
non consiste, pertanto, nella lesione dell’interesse legittimo del destinatario del
provvedimento, bensì nella lesione dell’affidamento che costui ha riposto nella
legittimità del provvedimento che gli ha attribuito il bene della vita. Ciò perchè, come
questa Corte si è fatta carico di chiarire con la già menzionata ordinanza n.
17586/2015, la scaturigine del danno costituente l’oggetto della pretesa risarcitoria
del privato non consiste nella mera illegittimità del provvedimento amministrativo,
bensì nella lesione dell’affidamento del privato sulla legittimità di tale atto; si tratta,
cioè, di una fattispecie complessa, che richiede il concorso, con tale illegittimità,
anche di ulteriori circostanze, la cui attitudine a fondare la fiducia incolpevole deve
essere valutata caso per caso (vedi pag. 26, penultimo capoverso, di detta
ordinanza: “L’adozione del provvedimento non viene in rilievo, dunque, nel suo mero
risultato sul piano dell’azione amministrativa e, quindi, dell’esercizio in concreto del
potere, bensì come elemento che deve avere avuto efficacia causativa del dannoevento rappresentato dalla determinazione dell’affidamento incolpevole e tale
efficacia causativa, lungi dall’essere automaticamente ricollegabile di per sè al modo
in cui il potere è stato esercitato e, dunque, al suo risultato, il provvedimento
illegittimo, postula l’allegazione di ulteriori elementi in concorso con i quali l’adozione
del provvedimento riveli quell’efficacia causale”).
26.1. Non appare dunque persuasivo l’argomento, sostenuto da una parte della
dottrina, che – poichè il provvedimento favorevole giustamente annullato è
comunque espressione del potere pubblico – la lesione che esso arreca dovrebbe
essere ricondotta, almeno nelle materie di giurisdizione esclusiva, alla cognizione del
giudice amministrativo; tale argomento, infatti, trascura la considerazione, già svolta
nel paragrafo precedente, che la lesione di cui si discute non è causata dal
provvedimento favorevole (illegittimo – e, perciò, giustamente annullato – ma non
dannoso per il suo destinatario), bensì dalla fattispecie complessa costituita
dall’emanazione dell’atto favorevole illegittimo, dall’incolpevole affidamento del
beneficiario nella sua legittimità e dal successivo (legittimo) annullamento dell’atto
stesso. La lesione, cioè, discende non dalla violazione delle regole di diritto pubblico
che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo che si estrinseca nel
provvedimento, bensì dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di
diritto privato, cui si deve uniformare il comportamento dell’amministrazione; regole
la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità;
come perspicuamente evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza
dell’Adunanza plenaria n. 5 del 2018 (p. 34), “non diversamente da quanto accade
nei rapporti tra privati, anche per la P.A. le regole di correttezza e buona fede non
sono regole di validità (del provvedimento), ma regole di responsabilità (per il
comportamento complessivamente tenuto)”. - Il Collegio ritiene altresì di confermare il rilievo, anch’esso svolto nella
menzionata ordinanza n. 17586/2015 – e, in precedenza, nell’ordinanza n. 1162/2015
- che i principi fissati nelle tre ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, rese con
riferimento alla disciplina dettata dal D.Lgs., n. 80 del 1998, non hanno perso
attualità a causa dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo di cui
al D.Lgs. n. 104 del 2010. Non incidono sulla tenuta di detti principi, infatti, nè
dell’art. 7 c.p.a., comma 1, là dove devolve “alla giurisdizione amministrativa le
controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari
materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato
esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o
comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in
essere da pubbliche amministrazioni”; nè dell’art. 30 c.p.a., comma 2, là dove
stabilisce che al giudice amministrativo, nei casi di giurisdizione esclusiva, “può
altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi”.
27.1. Quanto al disposto dell’art. 7, comma 1, c.p.a., va considerato che, anche
secondo tale disposizione, la giurisdizione amministrativa – pure quella su diritti, ove
si versi in materia di giurisdizione esclusiva – postula che sia in questione “l’esercizio
o il mancato esercizio del potere amministrativo” e che, anche quando la
controversia riguardi meri comportamenti, deve pur sempre trattarsi, secondo una
formulazione normativa ricalcata sul dispositivo della sentenza della Corte
costituzionale n. 191/2006, di comportamenti “riconducibili anche mediatamente
all’esercizio di tale potere”. Nel caso in cui – secondo la domanda dell’attore (al cui
oggetto, come già evidenziato nel p. 14, l’art. 386 c.p.c., ancora la decisione sulla
giurisdizione) – il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso
l’affidamento del privato, perchè non conforme ai canoni di correttezza e buona fede,
non sussiste alcun collegamento, nemmeno mediato, tra il comportamento
dell’amministrazione e l’esercizio del potere. Il comportamento dell’amministrazione
rilevante ai fini dell’affidamento del privato, infatti, si pone – e va valutato – su un
piano diverso rispetto da quello della scansione degli atti procedimentali che
conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere amministrativo. Detto
comportamento si colloca in una dimensione relazionale complessiva tra
l’amministrazione ed il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio
del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto (come nel caso oggetto del
presente giudizio) o, addirittura, essere legittimo, così da risultare “un frammento
legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale,
violativi dei più elementari obblighi di trasparenza, di attenzione, di diligenza, al
cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo
privatistico” (così Cons. Stato n. 5/2018, già citata, p. 33).
27.2. Quanto al disposto dell’art. 30, comma 2, c.p.a., va sottolineato che la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nasce per concentrare la tutela
davanti ad un unico giudice, quello amministrativo, in particolari materie, indicate
dalla legge, caratterizzate per lo stretto intreccio che si determina, a fronte dei
provvedimenti autoritativi della pubblica amministrazione, tra interessi legittimi e
diritti soggettivi. Se, dunque, come ha sottolineato la Corte costituzionale, il sistema
della giustizia amministrativa si è complessivamente evoluto nel senso che esso “da
giurisdizione sull’atto, sempre più spesso si configura quale giurisdizione sul
rapporto amministrativo” (Corte Cost. n. 179/2016, p. 3.1), va tuttavia ribadito che,
anche nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la
giurisdizione amministrativa su diritti presuppone che questi ultimi risultino coinvolti
nell’esplicazione della funzione pubblica, esercitata mediante provvedimenti o
mediante accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento. Ciò è stato chiarito dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004, p. 3.4.2, là dove, con riferimento
alla materia dei pubblici servizi, si giudica costituzionalmente illegittimo il riferimento
a “tutte le controversie”, sul rilievo che la “materia” così individuata “prescinde del
tutto dalla natura delle situazioni soggettive in essa coinvolte: sicchè,
inammissibilmente, la giurisdizione esclusiva si radica sul dato, puramente oggettivo,
del normale coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico interesse
che è naturaliter presente nel settore dei pubblici servizi”; per poi concludere che
tale materia “può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo
ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in
sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia,
presuppone l’esistenza del potere autoritativo: della L. n. 241 del 1990, art. 11)”. In
continuità con tale affermazione la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n.
191/2006, ha ritenuto conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti”
collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, definendo tali
comportamenti come quelli che “costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti
amministrativi… e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere
dell’amministrazione”. Perchè sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, in
definitiva, è necessario, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, che la
controversia inerisca ad una situazione di potere dell’amministrazione. E’ necessario,
cioè, che la causa petendi si radichi nelle modalità di esercizio del potere
amministrativo. Ciò non accade quando la causa del danno di cui il privato chiede il
risarcimento risieda non nel cattivo esercizio del potere amministrativo, bensì, come
già accennato nel paragrafo precedente, in un comportamento (nel cui ambito l’atto
di esercizio del potere amministrativo – provvedimentale o adottato secondo moduli
convenzionali – rileva come mero fatto storico) la cui illiceità venga dedotta
prescindendo dal modo in cui il potere è stato (o non è stato) esercitato e venga
prospettata come violazione di regole comportamentali di buona fede e correttezza
alla cui osservanza è tenuto qualunque soggetto, sia esso pubblico o privato Deve
quindi concludersi, riprendendo ancora una volta l’insegnamento della Corte
costituzionale, che per radicare la giurisdizione, anche esclusiva, del giudice
amministrativo “è richiesto che l’amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti (le
“particolare materie” devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
n.d.r.), come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi che
possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante
moduli consensuali ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi), sia infine mediante comportamenti, purchè questi ultimi siano posti in
essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri
comportamenti materiali avulsi da tale esercizio. In tale ultimo caso, infatti, la
cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla
giurisdizione del giudice ordinario” (così C.Cost. n. 35/2010 p. 2.2).
- Prima di concludere l’esame dei principi espressi nelle ordinanze nn. 6594, 6595
e 6596 del 2011 va svolta ancora una precisazione sulla esatta identificazione della
situazione soggettiva, l’affidamento, la cui lesione ha dato origine alle controversie
che dette ordinanze hanno attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario.
28.1 Come sottolineato da avvertita dottrina, la nozione di affidamento che rileva
nella prospettiva delle suddette pronunce non è quella, generalmente definita come
“affidamento legittimo”, la cui forma tipizzata di tutela si rinviene nella disciplina
dell’annullamento di ufficio del provvedimento amministrativo illegittimo dettata dalla
L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies. Quest’ultimo modello di tutela prescinde da
considerazioni legate all’elemento soggettivo della condotta dell’amministrazione e
delle parti private (colpa, diligenza, buona fede etc.) e si risolve nella verifica della
legittimità degli atti formali attraverso cui si esprime il potere discrezionale
dell’amministrazione di ponderare l’interesse pubblico alla rimozione di un atto
illegittimo con gli interessi privati del beneficiario di tale atto e degli eventuali
controinteressati.
28.2. L’affidamento a cui si fa riferimento nelle tre ripetute ordinanze del 2011, e
nelle successive pronunce che alle stesse si sono uniformate, per contro, è una
situazione autonoma, tutelata in sè, e non nel suo collegamento con l’interesse
pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia,
secondo una felice sintesi dottrinale, nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel
danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in
sostanza, di un’aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento
dell’amministrazione fondata sulla buone fede. E’ propriamente in questa prospettiva
che, come sopra sottolineato nel p. 26, il provvedimento favorevole, unito alle
specifiche circostanze che abbiano dato fondamento alla fiducia nella legittimità e
nella stabilità del medesimo, viene in considerazione quale elemento di una
situazione che chiede protezione contro le conseguenze dannose della fiducia mal
riposta.
28.3. La precisazione svolta nel paragrafo precedente impone, peraltro, una ulteriore
puntualizzazione. Ritiene, infatti, il Collegio di non poter dare seguito
all’affermazione, che si rinviene in molti dei precedenti citati nel paragrafo 19.1, che
individua la situazione soggettiva del privato lesa dalla delusione delle aspettative
generate dal comportamento della pubblica amministrazione nel “diritto soggettivo
alla conservazione dell’integrità del patrimonio”. Il patrimonio di un soggetto, infatti, è
l’insieme di tutte le situazioni soggettive, aventi valore economico, che al medesimo
fanno capo. La conservazione dell’integrità del patrimonio, pertanto, altro non è che
la conservazione di ciascuno dei diritti, e delle altre situazioni soggettive attive, che
lo compongono. La nozione di “diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio”
risulta dunque, in definitiva, priva di consistenza autonoma, risolvendosi in una
formula descrittiva che unifica in una sintesi verbale la pluralità delle situazioni
soggettive attive che fanno capo ad un soggetto. Va invece ribadito che la situazione
soggettiva lesa a cui si riferiscono i principi affermati nelle ordinanze nn. 6594, 6595
e 6596 del 2011 e in quelle successive conformi – a cui queste Sezioni Unite
intendono dare conferma e seguito – si identifica nell’affidamento della parte privata
nella correttezza della condotta della pubblica amministrazione. - La tutela dell’affidamento rientra tra i principi dell’ordinamento comunitario (ai
quali l’attività amministrativa deve uniformarsi ai sensi della L. n. 241 del 1990, art.
1), come la Corte di giustizia ha dichiarato fin dalla sentenza CGUE 3 maggio 1978,
C-12/77, Topfer, dove si affermò che “il principio della tutela del legittimo
affidamento…. fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario e la sua inosservanza
costituirebbe, ai sensi del predetto articolo, “una violazione del Trattato o di qualsiasi
regola di diritto relativa alla sua applicazione”” (p.p. 18 e 19). Secondo la Corte di
Lussemburgo tale principio costituisce un corollario del principio della certezza del
diritto (CGUE, 20 dicembre 2017, C-322/16, Global Starnet, p. 46). Osserva al
riguardo il Collegio che, se è innegabile che tra il principio di affidamento e quello
della certezza del diritto esistano ampi margini di sovrapposizione, la distinzione tra
tali principi può essere tuttavia tracciata in relazione ai loro rispettivi contenuti,
giacchè, come sottolineato da attenta dottrina, nella tutela dell’affidamento appare
centrale la dimensione soggettiva, che è rappresentata dalla pretesa di un soggetto
qualificata dalla previsione di una regola (generale o speciale) precedente, mentre
rispetto alla certezza del diritto si impone una dimensione oggettiva, che attinge alla
identità del diritto e coinvolge, in ultima analisi, un valore intrinseco alla giuridicità.
Nella stessa giurisprudenza di Lussemburgo, peraltro, non mancano espliciti
riferimenti alla dimensione “soggettiva” dell’affidamento; nella sentenza CGUE 14
marzo 2013 C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle, per esempio – dopo le
affermazioni, corredate dai richiami ai pertinenti precedenti, che “secondo una
giurisprudenza consolidata della Corte, il principio della tutela del legittimo
affidamento rientra fra i principi fondamentali dell’Unione” (p. 23) e che “il diritto di
avvalersi del suddetto principio si estende ad ogni soggetto nel quale un’istituzione
dell’Unione ha fatto sorgere fondate speranze” (p. 24) si enuncia il principio secondo
il quale “costituiscono un esempio di assicurazioni idonee a far nascere fondate
aspettative, a prescindere dalla forma in cui vengono comunicate, informazioni
precise, incondizionate e concordanti che promanano da fonti autorizzate ed
affidabili” (p. 25). Negli stessi termini, da ultimo, CGUE 23 gennaio 2019 C-419/17,
Deza a.s. (p. 70). - Nell’ordinamento nazionale, peraltro, il principio della tutela dell’affidamento nei
confronti della condotta della pubblica amministrazione risulta specificato, rispetto
alle regole civilistiche generali, da numerose disposizioni che disciplinano
direttamente l’attività amministrativa, la cui violazione inficia la stessa legittimità
dell’atte amministrativo: si pensi alla previsione dell’indennizzo nel caso della revoca
di un provvedimento che rechi pregiudizio agli interessati (L. n. 241 del 1990, art. 21
quinquies); ai limiti cronologici del potere di annullamento di ufficio dei provvedimenti
illegittimi e al dovere di tener conto, nell’esercizio di tale potere, degli interessi dei
destinatari del provvedimento e dei contro interessati (L. n. 241 del 1990, art. 21
nonies); all’obbligo delle pubbliche amministrazioni (e dei privati preposti all’esercizio
di attività amministrative) di risarcire il danno ingiusto cagionato in conseguenza
dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento,
previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 2 bis, comma 1; disposizione, quest’ultima, che
configura un danno da ritardo che prescinde dalla spettanza del bene della vita
oggetto del provvedimento adottato in violazione del termine e che, come
sottolineato dal Consiglio di Stato, “deriva dalla lesione del diritto soggettivo di
autodeterminazione negoziale: il ritardo nell’adozione del provvedimento genera,
infatti, una situazione di incertezza in capo al privato e può, dunque, indurlo a scelte
negoziali (a loro volta fonte di perdite patrimoniali o mancati guadagni) che non
avrebbe compiuto se avesse tempestivamente ricevuto, con l’adozione del
provvedimento nel termine previsto, la risposta dell’amministrazione” (ancora sent. n.
5/2018, p. 42).
30.1. Le disposizioni della L. n. 241 del 1990, richiamate nel paragrafo che precede
disciplinano direttamente, come sopra sottolineato, l’esercizio del potere
amministrativo, cosicché la relativa violazione determina l’illegittimità dell’atto di
esercizio di tale potere, aprendo la strada alla tutela demolitoria e risarcitoria davanti
al giudice amministrativo. Esse, pertanto, non rilevano direttamente ai fini del
discorso che qui si va conducendo, che, come evidenziato nel paragrafo 26.1,
concerne le ipotesi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto
pubblico che disciplinano l’esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione
delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la pubblica
amministrazione si deve uniformare come qualunque altro soggetto.
30.2. Le suddette disposizioni della L. n. 241 del 1990, tuttavia, interessano in
questa sede per il loro rilievo di carattere sistematico, in quanto – al pari di altre
disposizioni emergenti da settori specifici del diritto pubblico, quale, ad esempio,
l’art. 10 dello Statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000), introduttivo del “principio
della collaborazione e della buona fede” nei rapporti tra contribuente e
amministrazione finanziaria – rappresentano un indice del progressivo orientamento
del nostro ordinamento verso un’idea di “diritto amministrativo paritario”, per usare
una celebre formula dottrinaria di quasi mezzo secolo fa, coerente con i principi di
buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione fissati dall’art. 97 Cost..
Un’idea del diritto amministrativo che postula un modello di pubblica
amministrazione permeato dai principi di correttezza e buona amministrazione,
consapevole dell’impatto che l’azione amministrativa produce sempre sulla sfera dei
cittadini e delle imprese (cfr. Cons. Stato n. 1457/2018, p. 9.2) ed orientato al
confronto leale e rispettoso della libertà di determinazione negoziale dei privati.
30.3. Al modello di pubblica amministrazione così delineato non possono,
evidentemente, non attagliarsi anche quei doveri generali di correttezza e buona
fede di matrice civilistica la cui violazione fonda una responsabilità da lesione
dell’affidamento del privato che prescinde dalla valutazione di legittimità o illegittimità
(ed anche dalla stessa esistenza) di un atto di esercizio del potere amministrativo. - E’ ancora necessario, da ultimo, mettere a fuoco con precisione la natura della
responsabilità che sorge in capo alla pubblica amministrazione per effetto della
lesione dell’affidamento del privato.
Ritengono le Sezioni Unite che detta responsabilità vada ricondotta al paradigma
della responsabilità da contatto sociale qualificato. - Il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede rappresenta, infatti,
una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale, che trova il suo
principale fondamento nell’art. 2 Cost. e grava reciprocamente su tutti i membri della
collettività. Tale dovere si intensifica e si rafforza, trasformandosi in dovere di
correttezza e di protezione, quando tra i consociati si instaurano momenti relazionali
socialmente o giuridicamente qualificati, tali da generare, unilateralmente o, talvolta,
anche reciprocamente, ragionevoli affidamenti sull’altrui condotta corretta e
protettiva. Deve quindi riconoscersi l’esistenza di una proporzionalità diretta tra
l’ambito e il contenuto dei doveri di protezione e correttezza, da un lato, e il grado di
intensità del momento relazionale e del conseguente affidamento da questo
ingenerato, dall’altro; cosicché, come persuasivamente affermato dal Consiglio di
Stato nella più volte citata sentenza n. 5 del 2018, “da chi esercita, ad esempio,
un’attività professionale “protetta” (ancor di più se essa costituisce anche un servizio
pubblico o un servizio di pubblica necessità) e, a maggior ragione, da chi esercita
una funzione amministrativa, costituzionalmente sottoposta ai principi di imparzialità
e di buon andamento (art. 97 Cost.), il cittadino si aspetta uno sforzo maggiore, in
termini di correttezza, lealtà, protezione e tutela dell’affidamento, rispetto a quello
che si attenderebbe dal quisque de populo” (p. 24). Vi è quindi un quid pluris rispetto
al generale precetto del neminem laedere; non si tratta della generica “responsabilità
del passante”, ma della responsabilità che sorge tra soggetti che si conoscono
reciprocamente già prima che si verifichi un danno; danno che consegue non alla
violazione di un dovere di prestazione ma alla violazione di un dovere di protezione,
il quale sorge non da un contratto ma dalla relazione che si instaura tra
l’amministrazione ed il cittadino nel momento in cui quest’ultimo entra in contatto con
la prima. - Sulla scorta dei rilievi sviluppati nel paragrafo che precede le Sezioni Unite
ritengono di dover valorizzare – generalizzandone gli esiti oltre il mero ambito
dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione l’orientamento che connota la
responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la
pubblica amministrazione come responsabilità da contatto sociale qualificato dallo
status della pubblica amministrazione quale soggetto tenuto all’osservanza della
legge come fonte della legittimità dei propri atti. Il contatto, o, per meglio dire, il
rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione deve essere inteso come il fatto
idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173
c.c.) dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione, bensì
reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta l’art. 1175
c.c. (correttezza), art. 1176 c.c. (diligenza) e art. 1337 c.c.(buona fede).
33.1. Del suddetto orientamento si trova traccia nella giurisprudenza di questa
Suprema Corte fin dalla sentenza n. 157 del 2003, dove già si affermava (pagg.
31-33) che “con la L. 7 agosto 1990, n. 241, i principi di efficienza e di economicità
dell’azione amministrativa e, insieme, di partecipazione del privato al procedimento
amministrativo, sono diventati criteri giuridici positivi. La nuova concezione
dell’attività amministrativa non può non avere riflessi sull’impostazione del problema
della responsabilità della pubblica amministrazione. Il modello della responsabilità
aquiliana appare il più congeniale al principio di autorità, laddove la violazione del
diritto soggettivo si verifica in presenza di un’attività materiale (comportamento
senza potere dell’amministrazione) che abbia leso l’interesse al bene della vita di un
qualsiasi soggetto, al di fuori di un rapporto…. Il contatto del cittadino con
l’amministrazione è oggi caratterizzato da uno specifico dovere di comportamento
nell’ambito di un rapporto che, in virtù delle garanzie che assistono l’interlocutore
dell’attività procedimentale, diviene specifico e dfferenziato. Dall’inizio del
procedimento l’interessato, non più destinatario passivo dell’azione amministrativa,
diviene il beneficiario di obblighi che la stessa sentenza 500/99/SU identifica nelle
“regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio
della funzione pubblica deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in
quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità”. La formula della
responsabilità da contatto nei rapporti tra privato e pubblica amministrazione è stata
poi ripresa nella sentenza n. 24382/2010 e, nello specifico settore dell’attività
contrattuale della pubblica amministrazione, nella sentenza n. 24438 del 2011, dove
si afferma che la responsabilità che deriva dalla lesione dell’affidamento reciproco
dei contraenti nella correttezza dei comportamenti della controparte “non è
sicuramente contrattuale… nè attiene ad una ipotesi tout court di ingiusta lesione di
un diritto da terzi, ai sensi dell’art. 2043 c.c., avendo invece a fondamento il
“contatto” tra le parti del futuro contratto” (pag. 16); con la precisazione che detta
responsabilità, pur non qualificabile come contrattuale, a quest’ultima “si avvicina,
perchè consegue al “contatto” tra le future parti per la stipula del contratto e alle
scorrettezze del committente, con rilievo ai fini della disciplina della prova applicabile
che è quella dell’art. 1218 c.c.” (pag. 18). Di sicuro rilievo, in questa prospettiva, è
anche la sentenza n. 9636/2015, nella quale si valorizza quella giurisprudenza
amministrativa che ha talora valutato la colpa della pubblica amministrazione con
riferimento al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista
di cui all’art. 2236 c.c. (Cons. Stato, n. 1300/2007, Cons. Stato, n. 5500/2004). I
principi di cui si tratta sono stati infine portati a compiuta maturazione, pur sempre
nello specifico settore dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione, nella
sentenza n. 14188/2016, nella quale all’esito di un’approfondita disamina del tema
della responsabilità di tipo contrattuale in assenza di contratto, si è condivisibilmente
affermato (p. 12.1) che “l’elemento qualificante di quella che può ormai denominarsi
culpa in contrahendo solo di nome, non è più la colpa, bensì la violazione della
buona fede che, sulla base dell’affidamento, fa sorgere obblighi di protezione
reciproca tra le parti”.
33.2. Alla stregua dei principi enunciati in Cass. 14188/16 (successivamente ripresi
anche da Cass. 25644/2017), che queste Sezioni Unite ritengono di confermare,
deve quindi conclusivamente affermarsi che la responsabilità che grava sulla
pubblica amministrazione per il danno prodotto al privato a causa delle violazione
dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa
non sorge in assenza di rapporto, come la responsabilità aquiliana, ma sorge da un
rapporto tra soggetti – la pubblica amministrazione e il privato che con questa sia
entrato in relazione – che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il
privato non può non fare affidamento nella correttezza della pubblica
amministrazione. Si tratta, allora, di una responsabilità che prende la forma dalla
violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo
schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato, da
inquadrare nell’ambito della responsabilità contrattuale; con l’avvertenza che tale
inquadramento, come segnalato da autorevole dottrina, non si riferisce al contratto
come atto ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un
contratto. - Può quindi ora pervenirsi, in conclusione, a sciogliere il dilemma prospettato nel
paragrafo 21. Deve pertanto affermarsi che i principi enunciati dalle ordinanze nn.
6594, 6595 e 6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di
risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal
successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun
provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato
abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell’amministrazione.
In questo caso, infatti, i detti principi valgono con maggior forza, perchè,
l’amministrazione non ha posto in essere alcun atto di esercizio del potere
amministrativo; il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca, allora, interamente sul
piano del comportamento (quella “dimensione relazionale complessiva tra
l’amministrazione ed il privato” a cui si è fatto riferimento nell’ultima parte del
paragrafo 27.1), nemmeno esistendo un provvedimento a cui astrattamente imputare
la lesione di un interesse legittimo. - In definitiva, poichè il presente giudizio ha ad oggetto una pretesa risarcitoria
fondata sulla deduzione di una lesione dell’affidamento della società D.C.
Costruzioni nella correttezza del comportamento della pubblica amministrazione,
causata da una condotta del Comune di Lignano Sabbiadoro che l’attrice assume
difforme dai canoni di correttezza e buona fede, priva di collegamento, anche solo
mediato, con l’esercizio (mai attuato) del potere amministrativo, il proposto
regolamento di giurisdizione va definito con l’affermazione della giurisdizione
dell’autorità giudiziaria ordinaria. - Le spese del presente regolamento saranno regolate in sede di merito.
P.Q.M.
La Corte regola la giurisdizione dichiarando la giurisdizione dell’autorità
giudiziaria ordinaria.
Spese al merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2020