Ordinanza, Cassazione Civile, Sezione III, 04-08-2017, n. 19520, Dichiarazioni inesatte e reticenti dell’assicurato:
In più occasioni la Suprema Corte ha affermato che in tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento negoziale quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore. Il giudizio sulla rilevanza delle dichiarazioni inesatte o sulla reticenza del contraente, implicando un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo se sussiste un vizio di motivazione. Concentrandosi sulla seconda condizione, la Corte ricorda la sentenza n. 12086/2015, la quale ha affermato che, per dolo è sufficiente la coscienza e volontà dell’assicurato di rendere una dichiarazione inesatta o reticente, mentre per colpa grave, la negligenza presupponente la coscienza dell’inesattezza della dichiarazione o della reticenza, la consapevolezza dell’importanza dell’informazione inesatta o mancata rispetto alla conclusione del contratto. Facendo riferimento ancora ad un’altra sentenza, la Corte ha affermato che le dichiarazioni inesatte o reticenti non devono necessariamente riguardare la specifica malattia che abbia poi dato luogo al sinistro, ma possono essere integrate da qualsiasi circostanza sintomatica del stato di salute del contraente che l’assicuratore ha necessità di conoscere ai fini della valutazione del rischio.
Cassazione Civile, Sezione III, 04-08-2017, n. 19520
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15292-2015 proposto da:
A.V., considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA LIGUORI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AXA MPS ASSICURAZIONI VITA SPA, in persona del Responsabile Unità Organizzativa Gestione e Liquidazioni Vita, Dott. C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 118, presso lo studio dell’avvocato FRANCOISE MARIE PLANTADE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA COLLETTI giusta procura in calce al controricorso;
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona dei suoi procuratori, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIANA 54, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CONFORTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE VETTORI giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti – avverso la sentenza n. 3719/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
Svolgimento del processo
1. A.V., in proprio e quale genitore della figlia minorenne M.M., convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Banca Toscana s.p.a. e l’Axa MPS Assicurazioni, chiedendo che fossero condannate all’adempimento del contratto sottoscritto dal defunto marito Ma.Mi. ed al conseguente pagamento del residuo debito a titolo di mutuo.
A sostegno della domanda espose che il marito aveva acquistato un immobile in data 23 gennaio 2007, stipulando contestualmente con la Banca un mutuo fondiario per la somma di Euro 250.000. Su consiglio del direttore della filiale, egli aveva stipulato anche una polizza assicurativa che lo garantiva per il caso di morte, sottoscrivendo il contratto senza ricevere alcuna informazione sulle relative condizioni. Il coniuge aveva poi saputo che la polizza era stata accettata. Purtroppo, in data (OMISSIS) il Ma. era morto a causa di una patologia tumorale e la società di assicurazione aveva rifiutato di adempiere gli obblighi di polizza.
Si costituirono in giudizio entrambe le società convenute, chiedendo il rigetto della domanda sul rilievo che l’assicurato aveva fornito, all’atto della stipulazione della polizza, notizie false e/o reticenti circa le proprie condizioni di salute.
Acquisita la documentazione di parte attrice in adempimento di un’ordinanza ai sensi dell’art. 210 c.p.c., il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di giudizio.
2. La sentenza è stata appellata dalla A. in proprio e quale genitore e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 5 giugno 2014, ha rigettato il gravame, ha confermato la sentenza del Tribunale ed ha compensato anche le ulteriori spese del grado.
Dichiarando di condividere integralmente la motivazione del Tribunale, la Corte romana ha ripercorso le tappe principali della vicenda in questione, ricordando che in data 22 dicembre 2006 il Ma. era stato sottoposto, in regime di day hospital, ad un intervento di asportazione chirurgica di un linfonodo in zona inguinale e che, all’esito dell’esame istologico, la diagnosi fu di amartoma angiomatoso del linfonodo. A tale ricovero ne era seguito un altro, in data 12 marzo 2007, per l’asportazione chirurgica di un altro linfonodo; in tale occasione era emerso dai referti istologici che quel linfonodo era sede di un adenocarcinoma metastatico. Pochi giorni dopo, ulteriori indagini avevano evidenziato la presenza di un carcinoma nella parte inferiore dell’esofago; di qui l’evoluzione sfavorevole della grave malattia, che aveva condotto il paziente alla morte in data (OMISSIS).
Da tale ricostruzione storica dei fatti la Corte d’appello ha tratto la conclusione che l’assicurato, nel momento in cui aveva sottoscritto la polizza assicurativa in questione (23 gennaio 2007), “era ben consapevole di versare in una condizione sanitaria che non rientrava in quella che era stata riportata nella dichiarazione allegata e sottoscritta nella polizza”, poichè in quella data egli era stato già sottoposto al primo intervento chirurgico di asportazione di un sospetto carcinoma, sia pure in regime di day hospital. La polizza sottoscritta dal Ma. prevedeva, tra l’altro, l’espressa dichiarazione di non essere stato ricoverato in ospedale o sottoposto a terapie prolungate negli ultimi cinque anni, nonchè di non aver subito interventi chirurgici se non quelli indicati nel documento, fra i quali non rientrava l’intervento di asportazione del linfonodo. La diagnosi di amartoma linfonodale, resa al paziente già nel dicembre 2006, era tale da togliere ogni dubbio, per cui egli non avrebbe dovuto tacere quella circostanza all’assicuratore, trattandosi di una malattia insidiosa che non poteva non aver messo in allarme il paziente. Ad ulteriore conferma della decisione, infine, la Corte di merito ha rilevato che il contratto sottoscritto tra le parti informava esplicitamente il contraente del fatto che la presenza di dichiarazioni inesatte o reticenti avrebbe compromesso il diritto alla prestazione.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso A.V., in proprio e quale genitore della figlia minorenne M., con atto affidato a tre motivi.
Resistono la Banca Montepaschi di Siena s.p.a. (già Banca Toscana s.p.a.) e l’Axa MPS Assicurazioni con due separati controricorsi.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 1892 c.c..
La ricorrente rileva che, in base a consolidata giurisprudenza, la reticenza dell’assicurato può condurre all’annullamento del contratto di assicurazione in presenza di tre cumulative condizioni: che la dichiarazione sia inesatta o reticente; che sia stata resa con dolo o colpa grave; che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore. Pertanto, non ogni reticenza è causa di annullamento, ma solo quella che, ove nota all’assicuratore, avrebbe determinato costui ad una diversa decisione in ordine al contratto. Ciò premesso, il motivo sostiene che la sentenza avrebbe errato nella parte in cui ha affermato che il Ma. era consapevole di essere portatore di una patologia tumorale nel momento in cui firmò il contratto; in data 23 gennaio 2007, infatti, egli sapeva di essere in buona salute, avendo solo subito un intervento in regime di day hospital, per il quale i medici lo avevano considerato guarito senza bisogno di alcuna terapia. Solo tre mesi dopo, cioè nel marzo 2007, egli era venuto a sapere di essere malato di un carcinoma, a seguito dei referti istologici che certificavano tale malattia; per cui nella specie non doveva trovare applicazione l’art. 1892 c.c..
2. Col secondo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 112 c.p.c. per l’omessa pronuncia circa la richiesta di prova per testi e c.t.u. ribadita anche in appello.
Rileva la ricorrente che nè il Tribunale nè la Corte d’appello avevano ammesso la prova per testi da lei richiesta, volta a dimostrare che il defunto coniuge, nel momento in cui il direttore della Banca gli aveva prospettato la possibilità di stipulare un contratto di assicurazione, aveva detto di aver subito un intervento chirurgico per il quale era stato ritenuto guarito. La c.t.u., poi, sarebbe servita per dimostrare che l’adenocarcinoma metastatico non dipendeva dall’amartoma per il quale il paziente era stato operato nel dicembre 2006, bensì derivava dallo stomaco, e che nessuna diagnosi di tumore maligno era stata compiuta prima del marzo 2007.
3. Col terzo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1892 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c..
La ricorrente ribadisce che l’intervento del dicembre 2006 non aveva fatto emergere una diagnosi di tumore maligno, tanto che lo stesso direttore della Banca aveva ritenuto irrilevante la circostanza. Ciò posto, ella aggiunge che, in base all’art. 9, punto 3, della polizza, la società di assicurazione non aveva più la possibilità di contestare la validità della medesima una volta decorsi sei mesi dalla sottoscrizione, salvo il caso di verità alterata o taciuta in malafede. Mancando la malafede, non potrebbe trovare applicazione l’art. 1892 cit., per cui la polizza doveva ritenersi ormai incontestabile, essendo morto il Ma. oltre un anno dopo la stipula del contratto.
4. I tre motivi, da trattare congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione tra loro esistente, sono tutti privi di fondamento.
4.1. Pacifica giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche nell’odierno ricorso, afferma che in tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento negoziale quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore. Il giudizio sulla rilevanza delle dichiarazioni inesatte o sulla reticenza del contraente, implicando un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo se non sia sorretto da una motivazione logica, coerente e completa. (così la sentenza 30 novembre 2011, n. 25582, conforme a numerosi precedenti).
In linea con tale costante orientamento, più di recente, la sentenza 10 giugno 2015, n. 12086, ha affermato che “quanto al dolo, non è necessario che l’assicurato ponga in essere artifici o altri mezzi fraudolenti, sufficiente essendo la sua coscienza e volontà di rendere una dichiarazione inesatta o reticente; quanto alla colpa grave, occorre che la dichiarazione inesatta o reticente sia frutto di una grave negligenza presupponente la coscienza dell’inesattezza della dichiarazione o della reticenza, in una con la consapevolezza dell’importanza dell’informazione inesatta o mancata rispetto alla conclusione del contratto ed alle sue condizioni”.
La sentenza 31 luglio 2015, n. 16284, ha poi affermato, nel ricostruire la ratio dell’art. 1892 cit. che dà rilievo alle dichiarazioni inesatte o reticenti, che esse “non necessariamente presuppongono la consapevolezza, da parte del contraente, di essere affetto dalla specifica malattia che abbia poi dato luogo al sinistro, ma possono essere integrate da qualsiasi circostanza sintomatica del suo stato di salute che l’assicuratore abbia considerato potenzialmente rilevante ai fini della valutazione del rischio, domandandone di esserne informato dal contraente tramite la compilazione di un questionario (sentenza 11 giugno 2010, n. 14069)”. Quanto, poi, al punto specifico della reticenza, la sentenza ora in esame, richiamando il precedente di cui alla sentenza 19 gennaio 2001, n. 784, ha specificato che il contratto di assicurazione è annullabile, ai sensi dell’art. 1892 c.c., quando l’assicurato abbia con coscienza e volontà omesso di riferire all’assicuratore, nonostante gli sia stata rivolta apposita domanda, circostanze suscettibili di esercitare una effettiva influenza sul rischio assicurato.
4.2. Di tali principi la Corte d’appello di Roma ha fatto uso corretto.
Essa, infatti, con un accertamento di merito accuratamente motivato e privo di vizi logici e di contraddizioni, ha ricostruito le tappe della sfortunata vicenda sanitaria che aveva condotto a morte l’assicurato Ma., rilevando che egli aveva subito il primo intervento nel dicembre 2006 (con diagnosi di amartoma angiomatoso del linfonodo) e poi i successivi nel marzo 2007, all’esito dei quali la diagnosi di adenocarcinoma metastatico fu conclamata ed indiscutibile e, con essa, la prognosi infausta (come ammette anche l’odierna ricorrente).
Di conseguenza, il punto decisivo della causa che il Giudice di merito era chiamato a risolvere consisteva nello stabilire se alla data del 23 gennaio 2007, nella quale fu sottoscritta la polizza assicurativa in esame, il Ma. fosse o meno consapevole di avere una patologia tumorale. Alla luce dei principi della suindicata giurisprudenza di questa Corte, vale la regola per cui tale accertamento spetta al giudice di merito, che nella specie ha motivato in modo chiaro e completo. D’altra parte, la sentenza in esame non si è limitata alla generica affermazione per cui il Ma., in sostanza, non poteva non sapere di essere affetto da una grave malattia quando firmò il contratto, ma ha anche aggiunto che egli aveva sottoscritto una dichiarazione attestante di non aver subito interventi chirurgici nei cinque anni precedenti (cosa non vera) e che era ben consapevole del fatto che dichiarazioni false o reticenti avrebbero determinato la non operatività della garanzia, compromettendo di conseguenza il diritto al conseguimento della prestazione.
4.3. Così correttamente inquadrati i termini della vicenda, è evidente l’infondatezza del primo motivo; ma ne deriva, di conseguenza, l’infondatezza anche del terzo. Non ha senso, infatti, invocare la non contestabilità della polizza una volta decorso il termine di sei mesi dalla sua entrata in vigore – come previsto dall’art. 9 del contratto, richiamato nel ricorso – perchè il presupposto di tale incontestabilità è l’assenza di un’alterazione della verità e di una reticenza dell’assicurato, sollecitato a rendere apposita dichiarazione sul punto; presupposto che la Corte di merito ha ritenuto mancante nel caso in esame.
Ne segue l’infondatezza anche del secondo motivo, perchè la prova testimoniale chiesta dall’odierna ricorrente insieme alla sollecitazione alla svolgimento di una c.t.u. sono state ritenute dalla Corte di merito entrambe ininfluenti sulla base dei presupposti di fatto sopra delineati.
5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017