Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, III Sezione civile, 12 maggio 2020, n. 8813
La vicenda traeva origine dalla decisione del padre della promessa sposa di mettere a disposizione un suo immobile alla figlia e al futuro genero, con l’impegno di quest’ultimo di ristrutturarlo a sua cura e spese, in cambio del mancato pagamento dei canoni locativi fino alla totale compensazione dei rispettivi crediti. Terminati i lavori e ordinati gli arredi, la relazione si interrompeva e il proprietario di casa decideva di cambiare la serratura dell’immobile e di venderlo, senza corrispondere nulla all’ex genero per i lavori effettuati e il mobilio acquistato. Quest’ultimo agiva in giudizio esperendo l’azione di cui all’art. 2041 c.c.. Nonostante il rigetto delle sue domande, decideva di proporre ricorso per Cassazione. Quest’ultima, accogliendo il primo motivo proposto, riteneva applicabile al caso di specie l’art. 2041 c.c sul presupposto che le controparti non avevano contestato i lavori svolti dal ricorrente.
Corte Suprema di Cassazione, IIi Sezione civile, 12 maggio 2020, n. 8813
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23056-2016 proposto da:
R.I., R.G., domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE ARNONE;
- ricorrente –
contro
S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA 10,
presso lo studio dell’avvocato ANA SALONNA, rappresentato e difeso dall’avvocato
GIOVAMBATTISTA FRAGOMENI; - controricorrente –
avverso la sentenza n. 1453/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,
depositata il 17/08/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/12/2019 dal
Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.
Svolgimento del processo
Nel 2002 I. e R.G. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bologna, S.G. ed
esposero che: 1) il convenuto, in considerazione della relazione sentimentale tra sua
figlia S. e R.G., aveva messo a disposizione della coppia un appartamento di sua
proprietà, con l’intesa che R.G. avrebbe provveduto a ristrutturarlo a sua cura e
spese a fronte della rinuncia alla percezione dei canoni locativi fino a totale
compensazione dei rispettivi crediti; 2) terminati i lavori e consegnati gli arredi, la
relazione sentimentale tra il R. e la S. si era interrotta prima dell’utilizzazione
dell’immobile in parola, del quale il S. aveva fatto cambiare la serratura; 3) il S.
aveva poi alienato l’appartamento con gli arredi, senza nulla riconoscere al R..
Tanto premesso gli attori chiesero al Tribunale adito di “accertare il venir meno e/o la
mancanza fra le parti di una qualsivoglia causa che giustifichi le prestazioni
economiche effettuate dagli… attori per i motivi di cui in narrativa,
conseguentemente, per l’effetto condannare il S.G. al pagamento della complessiva
somma di Euro 35.022, importo al netto dei ratei pagati da S.S., pari ad Euro 3.305,
o di quella somma diversa, maggiore o minore che parrà di giustizia e sarà dovuta al
termine dell’espletanda istruttoria, oltre interessi e rivalutazione monetaria, dal
dovuto al saldo definitivo, oltre il risarcimento del danno morale per appropriazione
indebita dei beni mobili di proprietà dell’attore R.G., da liquidarsi in via equitativa.
Con vittoria di spese competenze e onorari di lite”.
Si costituì il S. e chiese il rigetto della domanda, deducendo che l’immobile non
necessitava in origine di alcuna ristrutturazione sicchè ogni eventuale intervento,
posto in essere a sua insaputa, era da ricondursi a scelte discrezionali delle
controparti.
Il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 4916/09, depositata il 17/11/2009, rigettò la
domanda e compensò integralmente tra le parti le spese di lite.
Avverso tale decisione I. e R.G. proposero appello, cui resistette il S..
La Corte di appello di Bologna, con sentenza 1453/2015, pubblicata il 17/08/2015,
rigettò il gravame e compensò integralmente tra le pari le spese di quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito i soccombenti hanno proposto ricorso per
cassazione sulla base di tre motivi.
Ha resistito con controricorso S.G..
Motivi della decisione
- Il primo motivo è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c.
in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art.
2697 c.c. e art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e 4); omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.
Con tale mezzo i ricorrenti – dopo aver precisato che, nel motivo di gravame riportato
a p. 17 dell’atto di appello, avevano ribadito che la difesa di controparte non si era
mai incentrata sulla contestazione circa la effettiva realizzazione dei lavori in
questione nè della congruità della spesa, bensì sulla non debenza di tali somme, in
difetto dei presupposti di cui agli artt. 1808 e 1592 c.c., invocati ex adverso –
sostengono che la Corte d’Appello avrebbe errato nel rigettare l’appello da loro
proposto perchè il S. non aveva contestato nè l’effettiva esecuzione dei lavori nel
suo appartamento da parte della ditta MG idraulica nè la circostanza che il costo
degli stessi fosse stato sostenuto da R.I. nè avrebbe contestato il documento firmato
da MG Idraulica prodotto dagli attori in primo grado. Ad avviso dei R., ciò avrebbe
dovuto obbligare il giudice del merito a ritenere provate le suddette circostanze,
decisive per il giudizio.
In particolare, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver la Corte
territoriale omesso di considerare fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di
discussione tra le parti e cioè: 1) avrebbe omesso di considerare che il documento
da ultimo menzionato contiene in sè la quietanza di pagamento dei detti lavori da
parte di R.I.; 2) avrebbe omesso di considerare che la concreta esecuzione dei lavori
di ristrutturazione dell’immobile di proprietà di S.G., effettuati a cura e spese di R.I.,
non è mai stata contestata nel giudizio di primo grado dal S., evidenziando di aver
dettagliatamente indicato, già nell’atto di citazione del primo grado, le circostanze
relative all’effettuazione dei lavori e alle modalità di corresponsione, da parte di R.I.,
del corrispettivo dovuto per gli stessi all’impresa che li aveva eseguiti.
Quindi, non avendo la controparte mai contestato i lavori e le spese sostenute dai
ricorrenti ma avendo solo eccepito la mancata prova dell’esistenza e dell’entità
dell’incremento di valore, nel rigettare il motivo principale di appello del R., ritenendo
che “Scartato subito il principale argomento di R.I., e cioè che nè nel processo nè in
precedenza, controparte avesse mai mosso contestazioni circa l’effettiva esecuzione
dei lavori, posto che l’enunciato criterio di liquidazione, quello dell’effettiva perdita
patrimoniale, richiede la prova, più ampia, della precisa entità dei costi affrontati, si
tratta di riesaminare il materiale probatorio… “, la Corte di merito avrebbe violato il
principio di non contestazione.
Inoltre, quella Corte, non negando l’avvenuta esecuzione dei lavori ma ritenendo non
dimostrato l’esatto costo delle opere eseguite, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe
incorsa nel vizio di falsa applicazione della disposizione di cui all’art. 2041 c.c.,
avendo l’azione generale di arricchimento come presupposto la locupletazione di un
soggetto a danno di un altro senza giusta causa e tale situazione si sarebbe
verificata, secondo i ricorrenti, nel caso all’esame non essendo mai stata essa in
discussione l’avvenuta realizzazione delle opere di ristrutturazione da parte dei
ricorrenti.
1.1. Il motivo è fondato, per l’assorbente rilievo che non può condividersi
l’affermazione della Corte di merito – nè la stessa risulta conforme ad alcun principio
di diritto affermato da questa Corte -, specificamente censurata dai ricorrenti e
secondo cui va “Scartato subito il principale argomento di R.I., e cioè che nè nel
processo nè in precedenza, controparte avesse mai mosso contestazioni circa
l’effettiva esecuzione dei lavori, posto che l’enunciato criterio di liquidazione, quello
dell’effettiva perdita patrimoniale, richiede la prova, più ampia, della precisa entità
dei costi affrontati, si tratta di riesaminare il materiale probatorio… “.
Si rileva, infatti, che la Corte di merito, con siffatta affermazione, e con la statuizione
adottata sul presupposto della stessa, è incorsa nella denunciata violazione dell’art.
115 c.p.c. e art. 2041 c.c., non essendo previsto, in relazione all’azione ex art. 2041
c.c. un regime probatorio “speciale” che non contempli, in particolare, anche il
ricorso al principio della non contestazione, osservandosi che tale principio, prima
che fosse riformato l’art. 115 c.p.c., è stato ritenuto comunque già applicabile e
fondato sulla lettera dell’art. 167 c.p.c., che impone al convenuto di prendere
posizione in comparsa di risposta sui fatti posti dall’attore (Cass. 6/10/2015, n.
19896), che l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i
documenti prodotti (Cass. 21/06/2016, n. 12748; Cass. 22/09/2017, n. 22055) e che
l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero di una non
contestazione, rientra nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza
dell’atto della parte, ed è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito (Cass.
1/02/2019, n. 3126). - L’accoglimento del primo motivo di ricorso assorbe l’esame del secondo motivo,
rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. in
relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art.
132 c.p.c., n. 4 nullità della sentenza per mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto
materiale e grafico, per motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente
incomprensibile in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5″, e con il quale si
sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe omessa, apparente,
perplessa ed obiettivamente incomprensibile in relazione alla valutazione delle
prove. - Con il terzo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. in
relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione
all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4); omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5)”, si impugna il rigetto della domanda di R.G., relativa alle spese
sostenute per l’acquisto degli arredi.
Con il mezzo all’esame si sostiene che la Corte di merito avrebbe omesso di
verificare una circostanza di fatto pacifica, ossia che non esiste alcun preciso
accordo fra le parti circa la restituzione, da parte della S., a rate del costo affrontato
per l’acquisto dei mobili, e peraltro, non avendo mai i ricorrenti preteso
l’adempimento di un tale presunto accordo nei confronti della S., la sentenza
impugnata violerebbe pure l’art. 112 c.p.c..
Si deduce, inoltre, che, in difetto di alcun rapporto contrattuale al riguardo tra S.S. e
R.G., quest’ultimo non avrebbe la possibilità di esperire azione contrattuale nei
confronti della predetta, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale.
Infine, si lamenta che la Corte di merito non abbia considerato che l’appartamento in
questione è stato venduto con gli arredi acquistati da R.G., sicchè anche in relazione
alle spese per tali arredi avrebbe dovuto applicarsi l’art. 2041 c.c., con la
precisazione che l’azione di cui alla richiamata norma ben potrebbe proporsi anche
nei confronti del beneficiario indiretto.
3.1. Il motivo è infondato.
Ed invero la Corte di merito ha confermato il rigetto della domanda in parola,
ritenendo, sulla base della stessa prospettazione attorea, che la S. “si era impegnata
a pagare a rate il costo affrontato per l’acquisto dei mobili, giungendo a versare
complessivamente E 6.400.000″, sicchè R.G. ben potrebbe proporre azione
contrattuale nei confronti della predetta.
La decisione sul punto della Corte di merito risulta immune da censure, trovando
supporto nel brano dell’atto di citazione testualmente riportato in controricorso a p.
13 ed evidenziandosi che presupposto per proporre l’azione di ingiustificato
arricchimento è la mancanza, accertabile anche di ufficio, di un’azione tipica, tale
dovendo intendersi non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma
esclusivamente quella derivante da un contratto o prevista dalla legge con
riferimento ad una fattispecie determinata, pur se proponibile contro soggetti diversi
dall’arricchito, pertanto non rileva, nella specie, la questione, pure proposta dal
ricorrente, dell’esperibilità o meno dell’azione ex art. 2041 c.c. da parte del cd.
beneficiario indiretto. - Conclusivamente, va accolto il primo motivo del ricorso, va dichiarato assorbito
l’esame del secondo e va rigettato il terzo motivo; la sentenza impugnata va cassata
in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata, anche per le spese del presente
giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione. - Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012,
n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in
misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito l’esame del
secondo e rigetta il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di
legittimità, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della
Corte Suprema di Cassazione, il 6 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2020