Ordinanza, Cassazione Civile, Sezione VI, 23-10-2019, n. 27040, Autotutela- Processo Tributario:
Confermando un consolidato orientamento giurisprudenziale, la Suprema Corte ha stabilito che, in tema di contenzioso tributario, l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e non è quindi impugnabile, non essendo mutata la situazione del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato in ragione della mancata impugnazione dell’avviso d’accertamento. In questi casi infatti, l’Amministrazione opera un semplice ridimensionamento del credito tributario, senza provvedere a una nuova imposizione. Tant’è vero che al contribuente non viene notificato un nuovo avviso di accertamento ma, solo la comunicazione di riduzione effettuata in autotutela. Di converso, deve ritenersi ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa.
Cassazione Civile, Sezione VI, 23-10-2019, n. 27040:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23205-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
COOPERATIVA AGRICOLA DI SAN BIAGIO SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BORGOGNONA 47, presso lo STUDIO LEGALE BRANCADORO, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO VINCENZI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 210/5/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA, depositata il 22/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ENZA LA TORRE.
Svolgimento del processo
che:
L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR dell’Emilia Romagna n. 2010/5/2017 dep. il 22 gennaio 2018, che in controversia su impugnazione di provvedimento di autotutela emesso a seguito di avviso di accertamento (per Ires Iva e Irap anno 2003, dopo verifica della GGFF nell’anno 2012, in relazione agli anni dal 2007 al 2012), ha rigettato l’appello dell’Amministrazione, confermando la decisione di primo grado che aveva ritenuto inapplicabile il raddoppio dei termini per l’accertamento. Ciò in quanto la sentenza penale riguardava le annualità 2006 e successive e non gli anni d’imposta 2003 e 2004 in contestazione, per i quali non vi era stato esercizio dell’azione penale.
La contribuente si costituisce con controricorso.
Motivi della decisione
che:
1. Col primo motivo si deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e divieto del bis in idem ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, non rientrando il diniego di autotutela fra gli atti impugnabili.
Il motivo è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità si è già espressa sul tema, con indirizzo – al quale si ritiene di dare qui continuità secondo cui: “in tema di contenzioso tributario, l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa” (Cass. 7511/16; così 25673/16). E le ragioni di tale superamento sono state condivise da Cass. 29595/2018, sul presupposto che l’esercizio in autotutela di una potestà meramente ed effettivamente riduttiva “non può comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento”(Cass. 7511/16 cit.).
L’autoannullamento non comporta infatti una ‘nuovà imposizione, bensì un semplice ridimensionamento unilaterale del credito tributario, così da ingenerare una situazione non dissimile da quella che si definisce – in ambito processuale – di mera riduzione del petitum (sempre ammissibile senza violazione del contraddittorio nè dei divieti di mutatio e novità). In tal caso, l’affermata necessità di nuovo avviso con conseguente possibilità di impugnazione da parte del contribuente sortirebbe effetto eccedente rispetto al fine, dal momento che questi sarebbe ammesso a ridiscutere in contenzioso gli elementi costitutivi, rimasti fermi, dell’originaria imposizione, nonostante l’avvenuta definitività di quest’ultima. Ciò spiega perchè questo ‘tipò di annullamento parziale non richiede la notificazione di successivo avviso di accertamento ovvero di avviso bonario, ma solo la ‘comunicazionè al contribuente di quanto disposto in autotutela (D.P.R. n. 37 del 1997, art. 4, comma 2).
2. Col secondo motivo si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3. Al momento della emissione dell’avviso di accertamento la società non aveva prodotto alcun elemento in grado di ricondurre la pretesa fiscale al di sotto delle soglie di punibilità D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 3, sicchè la rilevanza penale delle violazioni contestate sussisteva al momento della emissione dell’avviso.
Il motivo va accolto nei termini che seguono.
Trattasi di avviso di accertamento notificato prima del 2 settembre 2015, avvalendosi del raddoppio dei termini anche in assenza di formale trasmissione di denuncia all’Autorità giudiziaria. Va alla fattispecie applicata la disciplina di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, artt. 2 s.s., secondo cui il raddoppio dei termini opera in presenza di violazione che comporta obbligo di denuncia a prescindere dalla presentazione della stessa nel termine dell’accertamento.
In tal senso è conforme la giurisprudenza di questa Corte, che ha statuito che in tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’IRPEF e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA, come modificati dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass. n. 11620 del 14/05/2018).
Nelle citate pronunce questa Corte ha avuto cura di precisare: a) che “non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza”, applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che è un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario ma che deve essere accertato dal giudice; b) che tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)” (Cass. n. 16728/16, cit.); c) che su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonchè D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati come nel caso in esame, in cui gli atti impositivi risultano notificati in data 23/05/2011 – si applica la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2 (che non è stato modificato dalla successiva L. n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto;
Pertanto, con riferimento ad avviso di accertamento emesso e notificato nell’anno 2013, come nella fattispecie, è del tutto indifferente la data in cui viene effettuata la comunicazione di notizia di reato e persino l’omissione di quella comunicazione, perchè quello che invece assume rilevanza ai predetti fini è la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti;
per tale ragione il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP, posto che, “non essendo l’IRAP un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis (cfr. Cass. n. 20435/2017; n. 4775/2016 n. 26311 del 2017, n. 23629 del 2017).
Conclusivamente, il ricorso va accolto limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IVA e IRES e rigettato quanto alla ripresa a fini IRAP; la sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla competente CTR per l’esame delle questioni inerenti alle predette imposte (IVA ed IRES), e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019