Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 13 maggio 2020, n. 8894, Claims Made- Nullità ai sensi degli artt. 1341, 2965, 1322, I co., c.c.
Nel caso di specie, l’ospedale convenuto concludeva con l’assicuratore un contratto contenente una clausola claims made, la quale stabiliva che la manleva della compagnia assicuratrice dipendesse dalla denuncia del sinistro entro 12 mesi dalla scadenza del contratto. Tale previsione poneva l’assicurato in una posizione di svantaggio, potendo godere della copertura assicurativa solo in caso di tempestiva richiesta di risarcimento danni del danneggiato. Rendendo tale clausola difficile l’esercizio del diritto dell’assicurato, deve considerarsi contraria agli artt. 2965, 1341, 1322, I co., c.c.
Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 13 maggio 2020, n. 8894
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15578/2018 proposto da:
OSPEDALE (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI, 21, presso lo
studio dell’avvocato ANTONELLO PIERRO, che lo rappresenta e difende;
ricorrente –
contro
C.M., G.T., GENERALI BUSINESS SOLUTIONS SCPA;
intimati –
avverso la sentenza n. 7322/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il
21/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/02/2020 dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
Svolgimento del processo
L’Ospedale (OMISSIS) è stato convenuto in giudizio dai genitori del bambino C.L.
per il risarcimento di danni subiti da quest’ultimo nel corso di un ricovero presso il
detto Ospedale.
La struttura sanitaria è stata condannata al risarcimento, ma, sin dal momento della
sua costituzione in giudizio, aveva chiesto di essere manlevata dalla compagnia di
assicurazione, le Generali Italia spa, la quale ha tuttavia eccepito che il contratto
conteneva una clausola claims made, che impone di denunciare il sinistro entro
dodici mesi dalla cessazione di efficacia, e che quel termine era in realtà inutilmente
trascorso.
Il giudice di primo grado ha ritenuto tale clausola non vessatoria, e dunque legittimo
il rifiuto da parte della società Generali spa di tenere indenne l’Ospedale.
Il Giudice di appello ha confermato questo giudizio, aggiungendo che, oltre a non
essere vessatoria, la clausola claims made cosi inserita, perseguiva interessi
meritevoli di considerazione, meglio, non rendeva il contratto immeritevole di tutela.
Questa decisione è impugnata dall’Ospedale con tre motivi, cui si oppone la società
Generali spa con controricorso.
Motivi della decisione
1.- La ratio della decisione impugnata.
La Corte di appello fa applicazione della decisione a sezioni unite di questa Corte,
secondo cui la clausola claims made non è di per sè vessatoria, ma può diventare
non meritevole di tutela quando comporti un significativo squilibrio tra le parti ai
danni di una di esse, e questo accertamento è rimesso in concreto alla
discrezionalità del giudice di merito (Cass. Sez. u. 9140/2016).
Ritiene poi la corte che questo accertamento è stato effettuato correttamente dal
giudice di primo grado, anche se costui ha discusso di vessatorietà, ma in realtà
intendeva riferirsi alla meritevolezza, e che comunque valutata quest’ultima alla
stregua dei canoni indicati dalle sezioni unite, doveva affermarsi la piena validità
della clausola.
Merita ricordare che la clausola in questione prevedeva l’obbligo dell’assicuratore di
tenere indenne l’assicurato solo dei sinistri dipendenti da condotte tenute tra il
(OMISSIS) ed il (OMISSIS), ma a condizione che: a) vi fosse stata richiesta di
risarcimento da parte del terzo danneggiato entro quel periodo; b) che ricevuta
richiesta di risarcimento, entro 12 mesi dalla cessazione del contratto, l’assicurato
avesse denunciato il sinistro alla compagnia.
2.- L’Ospedale ricorrente propone tre motivi.
2.1.- I primi due attengono alla medesima questione e possono trattarsi
congiuntamente.
Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 99, 112, e 113 c.p.c.. Secondo il
ricorrente, il giudice di primo grado avrebbe compiuto una valutazione diversa da
quella sottopostagli dalla difesa dell’Ospedale. Avrebbe, cioè, fatto questione di
vessatorietà, quando invece gli veniva chiesto di verificare la meritevolezza della
clausola.
La questione della immeritevolezza, ritenuta come questione diversa dalla
vessatorietà, era stata riproposta con un motivo d’appello, e la corte di secondo
grado, ritornando sulla motivazione del primo, avrebbe continuato a discutere di
vessatorietà, trascurando ancora una volta la vera domanda posta dall’Ospedale,
ossia quella volta ad affermare che la clausola non solo e non tanto era vessatoria,
quanto soprattutto ed anche immeritevole.
Con il secondo motivo si fa questione subordinata. Ossia: ove si ritenesse che
invece la corte di appello si è pronunciata anche sulla meritevolezza della clausola,
allora la decisione sarebbe nulla per difetto di motivazione (si denuncia dunque
violazione dell’art. 132 c.p.c.).
2.2. Entrambi questi motivi sono infondati.
Infatti la corte di merito prende atto che il ricorrente Ospedale pone una questione di
meritevolezza della clausola (e non solo di vessatoreità), e conseguentemente la
affronta, cosi che non incorre in omessa pronuncia, in quanto, da un lato, osserva
come le considerazioni fatte dal giudice di primo grado quanto alla vessatorietà
possono ben considerarsi come relative anche, nella ratio di quella decisione, alla
meritevolezza, e dall’altro lato, affronta la questione direttamente nel merito,
sostenendo che la clausola non è immeritevole di tutela alla luce di quanto statuito
da Cass. Sez. un 9140/2016.
3.- Con il terzo motivo il ricorrente invece lamenta violazione degli artt. 1322 e 1362
c.c..
Sostiene che ha errato la corte di merito nel ritenere meritevole la clausola, anche
alla luce di quanto deciso dalla citata decisione delle Sezioni Unite.
Infatti, è ben vero che in questo caso la clausola non impone di denunciare il sinistro
entro il termine di scadenza del contratto, bensì concede dodici mesi da quella
scadenza, ma, pur cosi facendo, pone l’assicurato in una condizione di difficoltà e
debolezza, in quanto la denuncia del sinistro all’assicurazione (entro i dodici mesi
dalla scadenza) presuppone che l’assicurato abbia ricevuto una tempestiva richiesta
di risarcimento dal danneggiato, o meglio, che l’abbia ricevuta tra il (OMISSIS) ed il
(OMISSIS).
Più precisamente, la clausola claims made fa dipendere la prestazione
dell’assicurazione non solo dall’evento dedotto in contratto, ma altresì da un ulteriore
evento incerto, quale è la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato: se questa
ultima non è tempestiva, non potrà esserlo neanche quella dell’assicurato.
La copertura assicurativa, infatti, decade se il terzo danneggiato decide di formulare
la richiesta di risarcimento trascorsi dodici mesi dalla scadenza del contratto. Ossia:
la tempestività della richiesta di manleva, dipende dalla tempestività della richiesta di
risarcimento da parte del terzo, e questa dipendenza pone l’assicurato in una
condizione di ingiustificato svantaggio nei confronti dell’assicuratore, creando una
decadenza che il contraente non può evitare.
3.1.- Questo motivo è fondato.
La Sezioni Unite sono ritornate sulla questione, a seguito di due ordinanze di
rimessione che ritenevano insoddisfacente la soluzione proposta dalla decisione n.
9140 del 2016.
Con sentenza 22437 del 2018 hanno riconsiderato la questione della clausola claims
made (e di clausole simili) sotto un profilo qui rilevante: hanno cioè ritenuto che
l’inserimento in un contratto di assicurazione di una clausola del tipo claims made
non stravolge il tipo contrattuale, comportandone l’atipicità, e dunque non si applica
dell’art. 1322 c.c., comma 2, che, quanto ai contratti atipici, richiede che ne sia
valutata la meritevolezza.
Piuttosto, l’inserimento nel contratto di assicurazione di una clausola siffatta
mantiene inalterato il tipo negoziale, ampliandone semmai il contenuto o
comportandone un adattamento agli interessi delle parti, cosi che non si tratterà di
valutarne la meritevolezza funzionale (astratta o concreta che sia) bensì di valutare
se la determinazione del contenuto contrattuale è avvenuta nei limiti della legge (art.
1322 c.c., comma 1).
La tesi che si ricava dalla decisione delle Sezioni Unite è semplice: un contratto può
dirsi atipico quando non presenta alcun carattere che differenzia un tipo dall’altro, o
che identifica un tipo piuttosto che un altro.
Nel caso del contratto di assicurazione il carattere che fonda la tipicità attiene alla
obbligazione di tenere indenne l’assicurato, posta a carico dell’assicuratore, e
subordinata ad un evento incerto.
La circostanza di prevedere che l’avverarsi di tale evento va denunciato in un certo
termine non attribuisce al contratto una caratteristica diversa da quelle che fonda la
tipicità dell’assicurazione (alea, prestazione subordinata ad evento incerto).
Se la premessa è questa, cosi astratta, era di conseguenza ovvio affermare che “Il
modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made
basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917 c.c., comma 1, consentita dall’art.
1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è
soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., comma 2, ma alla
verifica, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 1, della rispondenza della conformazione
del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla
legge”. (Cass. Sez. Un 22437/ 2018).
Questa ricostruzione va riferita dunque al caso concreto.
E’ noto che l’elemento che caratterizza l’assicurazione contro i danni è quello
descritto dell’art. 1917 c.c., comma 1, ossia che l’assicuratore “è obbligato a tenere
indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il
tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo”.
L’obbligo di tenere indenne dal peso economico dei fatti accaduti durante il tempo
dell’assicurazione è l’elemento che caratterizza il tipo, ossia che fonda la tipicità del
contratto di assicurazione.
Ciò non comporta ovviamente che la clausola “a richiesta fatta” (claims made)
costituisca una deroga, ammissibile, a quel comma 1, ossia alla previsione per cui
l’assicuratore è tenuto a mantenere indenne l’assicurato, deroga che trasforma il
tipo, rendendo il contratto diverso da quello di assicurazione (Cass. 5624/2005).
Il che non teneva conto del fatto che la clausola claims made non incide sulla
caratteristica tipica del contratto di assicurazione (scambio di prezzo contro obbligo
di tenere indenne), ma regola semmai il diverso ruolo della richiesta risarcitoria
rispetto al fatto oggetto di assicurazione.
Da qui la precisazione da parte della citata decisione delle sezioni unite, che, come
detto, ha riferito alla disciplina dell’art. 1322 c.c., comma 1, l’esercizio di autonomia
privata svolto da quella clausola.
Ora, qui non è il caso di entrare nella questione di come si valuti la meritevolezza: se
attenga al tipo o alla causa, se possa farsene applicazione ai contratti tipici in
aggiunta al criterio della illiceità (art. 1343 c.c.).
E’ noto che le soluzioni prospettabili sono due: quella che ritiene che per
meritevolezza debba intendersi nient’altro che illiceità, cosi che la norma sarebbe
meramente ricognitiva dei divieti di legge, e quella che, invece, intende la
meritevolezza come una clausola generale che abilita l’interprete ad un controllo
sulle attività private (sulla conclusione di contratti atipici) secondo criteri diversi dalla
illiceità tipizzata dall’art. 1343 c.c. (contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico
ed al buon costume), ed il cui contenuto varia a seconda degli interpreti: a volte
meritevolezza significa utilità sociale, altre volte immeritevole è il contratto che
impedisca lo sviluppo della persona e via dicendo.
Possiamo in un certo senso prescindere da questa disputa, in quanto il contratto di
assicurazione cui sia apposta la clausola in esame non diventa, per via di tale
inserimento, un contratto atipico, e dunque sfugge, come ricordato dalle Sezioni
Unite del 2018, sopra citate, alla disciplina dell’art. 1322 c.c., comma 2.
Restando un contratto tipico, cui le parti hanno aggiunto ulteriore contenuto,
ricordano le citate Sezioni Unite, si fa riferimento dell’art. 1322 c.c., comma 1, il
quale prevede in tal caso che l’autonomia delle parti, quando si esercita all’interno
del tipo negoziale, senza alterarlo e trasformarlo in un contratto atipico, deve
mantenersi nei limiti imposti dalla legge.
E qui il richiamo a tali limiti altro non è che il richiamo all’art. 1343 c.c.: si tratta pur
sempre di un contratto tipico, salva l’aggiunta di contenuto ulteriore ad opera delle
parti, e dunque di un contratto la cui liceità è misurata con il criterio dell’art. 1343
c.c..
Ciò posto è forse eccessivo allora ricordare che ogni volta che le parti realizzano un
assetto di interessi diverso da quello astrattamente descritto dal legislatore va
verificata la causa concreta, ossia lo scopo economico individuale.
A volte è più semplicemente questione di verifica di liceità (ai sensi dell’art. 1343
c.c.) anche della singola clausola.
Ed è il caso che ci occupa: le parti hanno arricchito il tipo contrattuale (assicurazione
contro i danni) con la previsione di una decadenza a carico dell’assicurato, nei
termini che si sono sopra ricordati.
Non è necessario postulare che questa clausola giustifica l’intera operazione
negoziale (nei termini della causa concreta), è sufficiente chiedersi se sia lecita in sè
e per sè, alla luce del criterio di cui art. 1322, comma 1, ossia se si mantenga nei
limiti imposti dalla legge.
La clausola, come ricordato, pone una decadenza a carico dell’assicurato non
dipendente da una sua condotta: l’assicurato può fare denuncia dell’evento nei 12
mesi dalla cessazione del contratto solo se abbia ricevuto in quei termini temporali la
richiesta di risarcimento del danno, condizione che ovviamente dipende
esclusivamente dal terzo danneggiato.
In tali termini essa contrasta con disposizioni imperative di legge, non solo con l’art.
1341 c.c., che vieta, se non sottoscritte, le clausole vessatorie, e che tra queste
annovera espressamente quelle che impongono decadenze, ma altresì con l’art.
2965 c.c., che commina la nullità dei patti con cui si stabiliscono decadenze che
rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto.
Ed invero, il termine apposto alla escussione dell’assicurazione, ossia al diritto di far
valere la prestazione assicurativa a carico dell’assicuratore, è un termine di
decadenza, che è nullo proprio perchè rende, nella fattispecie, eccessivamente
difficile l’esercizio del diritto dell’assicurato. La difficoltà di esercitare il diritto non è
ovviamente, come ritenuto dal giudice di merito, da valutarsi in termini temporali, nel
senso che dodici mesi sono sufficienti per denunciare il sinistro all’assicurazione, ma
va intesa anche nei termini della concreta possibilità di evitare la decadenza
attraverso una propria condotta, possibilità che è del tutto esclusa o comunque assai
ridotta se l’assicurato può fare denuncia di sinistro solo in dipendenza dalla condotta
del terzo, sulla quale ovviamente non può influire. Altro è prevedere una decadenza
nel termine di dodici mesi dalla richiesta di risarcimento da parte del terzo
danneggiato, altro è fissare la scadenza di dodici mesi a partire dalla scadenza del
contratto, prescindendo dunque dalla circostanza che in tale lasso di tempo può non
pervenire alcuna richiesta di risarcimento, che è il presupposto perchè l’assicurato si
rivolga all’assicuratore, ed estendendo peraltro la decadenza al caso in cui una
richiesta di risarcimento pervenga all’assicurato, ma oltre il termine di efficacia del
contratto. Cosi che l’assicurato può evitare la decadenza a condizione non tanto che
il terzo danneggiato faccia richiesta di risarcimento entro dodici mesi dalla
cessazione degli effetti del contratto, ma che la faccia prima che si verifichi tale
cessazione.
In conclusione, le clausole che rendono difficile l’esercizio del diritto (art. 2965 c.c.)
sono anche quelle che prescindono dalla diligenza della parte, e che fanno
dipendere quell’esercizio da una condotta del terzo, autonoma e non calcolabile.
Nella fattispecie, poichè la denuncia del “sinistro” dipende dalla richiesta di
risarcimento avanzata dal danneggiato verso l’assicurato, prima del quale
quest’ultimo non ha interesse ad avvisare la sua assicurazione, il medesimo
assicurato ha un onere (derivante dalla polizza) cui può adempiere solo se ha
ricevuto in tempo una richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato, ossia
se ha ricevuto la richiesta non solo entro 12 mesi dalla scadenza del contratto, ma
nell’arco temporale dell’anno di sua validità.
Con conseguente violazione di legge della relativa clausola, di cui all’art. 1322 c.c..
Il ricorso va accolto, con compensazione delle spese, a causa della sopravvenienza
della decisione a sezioni unite che ha espresso diverso orientamento rispetto a
quella applicata dai giudici di merito a suo tempo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta primo e secondo e, decidendo nel
merito, accoglie la domanda iniziale. Compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020