Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 26 maggio 2020, n. 9682, Danno patrimoniale – Vittima non produttiva di reddito:
La Corte di Cassazione, riprendendo un precedente indirizzo giurisprudenziale, ha affermato che il danno da perdita o riduzione della capacità lavorativa di un soggetto che, al momento dell’infortunio, non svolgeva alcun lavoro remunerato, va liquidato ex art. 2056 c.c. considerando: 1) se possa ritenersi che la vittima, se fosse rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo professionale; 2) se i postumi residuati all’infortunio consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo professionale della vittima.
Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 26 maggio 2020, n. 9682
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3732/2018 proposto da:
M.A., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ASSUNTA MASSARO;
ricorrente –
contro
GROUPAMA ASSICURAZIONE SPA, già NUOVA TIRRENA SPA, in persona del
Procuratore Speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO 3, presso lo
studio dell’avvocato GIUSEPPE GRAZIOSI, che la rappresenta e difende;
GROUPAMA ASSICURAZIONE SPA già NUOVA TIRRENA SPA, in persona del
Procuratore Speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO 3, presso lo
studio dell’avvocato GIUSEPPE GRAZIOSI, che la rappresenta e difende;
controricorrenti –
nonchè da:
M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PRINCIPESSA CLOTILDE N. 2,
presso lo studio dell’avvocato PIETRO SAIJA, che la rappresenta e difende;
ricorrente incidentale –
contro
NUOVA TIRRENA SPA, R.G., M.A.;
intimati –
avverso la sentenza n. 68/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il
30/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/01/2020 dal
Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.
Svolgimento del processo
Nel 1999 M.T. ed M.A. convennero dinanzi al Tribunale di Messina la società
Nuova Tirrena s.p.a. (in seguito Groupama s.p.a.), chiedendone la condanna al
risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza di un sinistro stradale
causato da R.G., assicurato con la suddetta società.
Con sentenza 8 aprile 2009 n. 748 il Tribunale accolse la domanda di risarcimento
del danno non patrimoniale; rigettò la domanda di risarcimento del danno
patrimoniale; liquidò il danno in conformità e, dal totale liquidato, sottrasse l’acconto
pagato dalla società Nuova Tirrena, senza rivalutarlo.
La sentenza fu impugnata in via principale dalla Nuova Tirrena ed in via
incidentale da ambo le attrici originarie.
Con sentenza 30 gennaio 2017 n. 68 la Corte d’appello di Messina accolse l’appello
principale e rigettò quello incidentale.
Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:
-) il Tribunale, dopo aver liquidato il danno in moneta attuale, aveva accordato alle
danneggiate gli interessi e la rivalutazione sul capitale già espresso in moneta
attuale, in tal modo rivalutando due volte il credito risarcitorio;
-) il Tribunale aveva errato nel defalcare l’acconto pagato dall’assicuratore senza
previamente rivalutarlo;
-) le attrici non avevano diritto al risarcimento del danno patrimoniale da perdita della
capacità di guadagno e da distruzione del veicolo, perchè non l’avevano provato.
La sentenza d’appello è impugnata per cassazione con due distinti ricorsi da M.A.
e M.T., ciascuno fondato su quattro motivi articolati in più censure.
La Groupama ha resistito con due distinti controricorsi.
Motivi della decisione
Il ricorso proposto da M.A., in quanto notificato per primo (22.1.2018) va
qualificato come principale, ed incidentale va detto, di conseguenza, quello proposto
da M.T..
Ciò in virtù del principio secondo cui, una volta avvenuta la notificazione della prima
impugnazione, ogni ricorso successivo al primo – in ossequio al principio dell’unicità
del processo di impugnazione contro una stessa sentenza – si converte,
indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in
ricorso incidentale (ex multis, Sez. 2 -, Sentenza n. 448 del 14/01/2020, Rv. 656830 –
01; Sez. 3, Sentenza n. 2516 del 09/02/2016, Rv. 638617 – 01; Sez. L, Sentenza n.
5695 del 20/03/2015, Rv. 634799 – 01).
Il primo motivo del ricorso principale ( M.A.). Col primo motivo la ricorrente
principale formula due censure.
Da un lato lamenta che la Corte d’appello non avrebbe esaminato il proprio motivo di
gravame col quale si doleva della mancata applicazione, da parte del giudice di
prime cure, delle tabelle diffuse dal Tribunale di Milano nell’anno 2009 per la
liquidazione del danno alla salute.
Dall’altro lamenta che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 1226 c.c., perchè, non
applicando le suddette tabelle, avrebbe sottostimato il danno non patrimoniale.
2.1. La prima delle suddette censure è fondata; la seconda ne resta assorbita.
Nel proprio atto d’appello, infatti, M.A. dedusse che il danno alla persona da lei patito
andasse liquidato applicandole tabelle orientative diffuse dal Tribunale di Milano per
l’anno 2009, in luogo di quelle – pur sempre diffuse dal Tribunale di Milano, ma
precedenti e più penalizzanti per il danneggiato – applicate dal giudice di primo
grado. Giusta o sbagliata che fosse tale deduzione, la Corte d’appello avrebbe
dovuto decidere su essa, per accoglierla o rigettarla.
La sentenza d’appello, invece, tace sull’argomento: palese dunque la violazione
dell’art. 112 c.p.c..
Il secondo motivo del ricorso principale ( M.A.). Col secondo motivo, articolato in
più censure, M.A. si duole del rigetto della sua domanda di risarcimento del danno
patrimoniale da perdita della capacità lavorativa.
Deduce che il consulente tecnico d’ufficio aveva accertato essere residuati del
sinistro postumi permanenti nella misura del 65%; che al momento del sinistro stava
per conseguire la laurea in architettura; che anche a voler ritenere che non vi fosse
la prova del presumibile futuro svolgimento della professione di architetto da parte
della vittima se questa fosse rimasta sana, in ogni caso l’invalidità sofferta le
impediva finanche lo svolgimento del lavoro domestico, ed anche questo pregiudizio
era comunque un danno suscettibile di valutazione patrimoniale.
Aggiunge che la Corte d’appello ha rigettato la domanda di risarcimento del danno
patrimoniale con una motivazione illogica, e che comunque il rigetto di tale domanda
costituisce di per sè violazione dell’art. 2043 c.c.; che, infine, il giudice di merito ha
omesso di valutare alcuni fatti decisivi, rappresentati dalla gravità dei postumi da lei
patiti.
3.1. Il primo profilo della complessa censura contenuta nel secondo motivo di
ricorso, ed illustrato alle pagine 14-15 di quest’ultimo, va qualificato ex officio come
denuncia del vizio di nullità della sentenza per carenza di una adeguata motivazione,
ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
La ricorrente, infatti, sostiene che nella sentenza d’appello “non vi è alcuna
indicazione dei principi di diritto” su cui la decisione si fonda, nè vi è alcuna
conseguenza logica tra premesse e conclusioni, per quanto riguarda il punto
concernente il danno patrimoniale.
3.2. Ciò posto, il motivo è fondato.
Va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che gli unici vizi
motivazionali ancora censurabili in sede di legittimità, dopo la riforma dell’art. 360
c.p.c., n. 5, sono quelli che consistono in una “anomalia motivazionale che si tramuta
in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza
della motivazione in sè (…). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di
motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel
“contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv.
629830).
Nel caso di specie, ricorre la seconda delle suddette ipotesi, e cioè quella della
motivazione apparente.
La Corte d’appello, infatti, era chiamata a stimare il danno patrimoniale da perdita
della capacità di guadagno patito da un soggetto non lavoratore al momento
dell’infortunio, e che aveva subito una rilevante invalidità.
Quando il danno alla capacità di lavoro sia lamentato da un soggetto in atto non
percettore di redditi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, al giudice di merito è
richiesta una duplice valutazione:
-) da un lato deve stabilire se la vittima, qualora fosse rimasta sana, avrebbe
verosimilmente svolto un lavoro redditizio;
-) dall’altro deve stabilire se i postumi precludono o no la possibilità di svolgere in
futuro un lavoro e ritrarne un reddito.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha rigettato la domanda con due motivazioni:
-) la prima è che la vittima “non aveva fornito alcuna prova di contrazione dei propri
redditi”;
-) la seconda è che “non esiste alcuna presunzione” del fatto che “le pur gravissime
lesioni” subite dall’attrice “non le avrebbero consentito di esercitare la professione di
architetto, atteso che all’epoca dei fatti la stessa non era neanche laureata”.
Ambedue queste motivazioni si collocano al di sotto del “minimo costituzionale”
richiesto dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza più sopra ricordata.
In primo luogo, infatti, è impossibile pretendere da un soggetto non percettore di
reddito “la prova di contrazione del proprio reddito”. In secondo luogo, non vi è
alcuna conseguenzialità logica tra l’affermazione che la vittima dell’infortunio non era
laureata, e la conclusione che tale circostanza escludeva che negli anni a venire
avrebbe potuto svolgere la professione di architetto.
Infatti, essendo chiamato a liquidare un danno futuro, il giudice di merito non doveva
accertare se la vittima fosse laureata, ma doveva accertare se fosse verosimile che,
rimanendo sana, avrebbe conseguito la laurea.
In terzo luogo, essendo la vittima un soggetto non percettore di reddito, la Corte
d’appello non poteva limitarsi a negare l’esistenza del danno sol perchè non poteva
ritenersi che la vittima avrebbe svolto, se fosse rimasta sana, la professione di
architetto.
La Corte d’appello avrebbe dovuto invece accertare se i postumi residuati
all’infortunio erano compatibili con lo svolgimento delle attività lavorative, ivi
compreso il lavoro domestico, confacenti alle abilità ed al grado di istruzione della
vittima.
3.3. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di
Messina, la quale nel riesaminare il gravame applicherà il seguente principio di
diritto:
“il danno da perdita o riduzione della capacità lavorativa di un soggetto adulto
che, al momento dell’infortunio, non svolgeva alcun lavoro remunerato, va
liquidato stabilendo (con equo apprezzamento delle circostanze del caso, ex
art. 2056 c.c.): (a) in primo luogo, se possa ritenersi che la vittima, se fosse
rimasta sana, avrebbe cercato e trovato un lavoro confacente al proprio profilo
professionale; (b) in secondo luogo, se i postumi residuati all’infortunio
consentano o meno lo svolgimento di un lavoro confacente al profilo
professionale della vittima”.
Il terzo motivo del ricorso principale ( M.A.). Col terzo motivo la ricorrente lamenta,
ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il vizio di violazione di legge, nonchè la “omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione” della sentenza d’appello, nella parte in cui
ha accolto il gravame proposto dalla Nuova Tirrena.
Deduce che la Corte d’appello ha errato nel ritenere che il Tribunale avesse
accordato gli interessi e la rivalutazione su una somma già rivalutata.
Sostiene, in contrario, che il Tribunale aveva stimato il danno in moneta dell’epoca
del sinistro, e che di conseguenza correttamente ne aveva disposta la rivalutazione.
4.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi del ricorso
principale.
Il giudice del rinvio, infatti, provvederà a determinare ex novo il risarcimento dovuto
all’odierna ricorrente, e di conseguenza determinerà la relativa aestimatio e taxatio.
Il quarto motivo del ricorso principale.
Col quarto motivo la ricorrente principale censura la regolazione delle spese, ed
anche questo motivo resta assorbito dall’accoglimento dei primi due.
Il ricorso incidentale ( M.T.).
Il ricorso incidentale di M.T. è coincidente in tutto e per tutto con quella principale,
salvo che per il terzo motivo di ricorso, col quale M.T. si duole del rigetto della
domanda di risarcimento del danno patrimoniale da distruzione del suo autoveicolo.
Sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel rigettare la domanda perchè non
ha esaminato i documenti e non ha correttamente valutato la prova offerta.
6.1. Il ricorso è inammissibile perchè tardivo.
La sentenza d’appello è stata infatti depositata il 30.1.2017, mentre il ricorso di M.T.
è stato notificato il 20.3.2018, ben oltre lo spirare del termine di cui all’art. 327 c.p.c.
(nella specie, spirato il 2.3.2018).
Nè potrebbe invocare la ricorrente incidentale il disposto dell’art. 334 c.p.c., nella
parte in cui consente l’impugnazione incidentale tardiva. L’impugnazione incidentale
tardiva, infatti, è consentita dall’art. 334 c.p.c., solo nei seguenti casi:
a) quando sia proposta contro l’impugnante principale, anche se investa capi della
sentenza diversi da quelli investiti dall’impugnazione principale (Sez. U, Sentenza n.
4640 del 07/11/1989, Rv. 464074-01);
b) quando sia proposta contro soggetti diversi dall’impugnante principale, ma in
questo caso a condizione che l’impugnazione principale, se accolta,
pregiudicherebbe l’assetto degli interessi dell’impugnante incidentale, dando luogo
ad una soccombenza totale, oppure ad una soccombenza più grave di quella
stabilita dalla sentenza impugnata. Sez. U, Sentenza n. 24627 del 27/11/2007, Rv.
600589 – 01).
Nessuna di queste due ipotesi ricorre nel caso di specie.
M.T., infatti, non avrebbe subito alcun pregiudizio in conseguenza del rigetto o
dell’accoglimento del ricorso principale, dal momento che questo aveva ad oggetto
la sola posizione creditoria di M.A..
L’interesse di M.A. sia ad aderire all’impugnazione principale, sia a proporre una
impugnazione autonoma, non è dunque sorto dalla proposizione del ricorso
principale, e di conseguenza sfugge alla possibilità di invocare la rimessione in
termini prevista ope legis dall’art. 334 c.p.c. (così, ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n.
24155 del 13/10/2017, Rv. 645538 – 02; Sez. 5, Sentenza n. 21990 del 28/10/2015,
Rv. 637187 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 20040 del 07/10/2015, Rv. 636840 – 01).
Le spese.
Rispetto alla posizione di M.T., le spese del presente giudizio di legittimità vanno a
poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate
nel dispositivo.
Rispetto alla posizione di M.A., le spese del presente giudizio di legittimità saranno
liquidate dal giudice del rinvio.
7.1. La dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto da M.T. costituisce il
presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a
carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art.
13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17).
P.Q.M.
la Corte di Cassazione:
(-) accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale; dichiara
assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e
rinvia la causa alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, cui
demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
(-) dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
(-) condanna M.T. alla rifusione in favore di Groupama Assicurazioni s.p.a.
delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di
Euro 2.650, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese
forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n.
115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di M.T. di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della
Corte di Cassazione, il 16 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2020