Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 9 luglio 2020, n. 14605, Uranio Impoverito – Risarcimento del danno:
Secondo la Corte di Cassazione la prova del contagio da uranio impoverito è presuntiva. Occorre dimostrare il nesso eziologico del “più probabile che non” tra l’esposizione all’uranio impoverito e la patologia riscontrata. Se non fosse così diventerebbe molto difficile per i militari, andati in missione all’estero e poi risultati malati, provare con assoluta certezza la contaminazione da uranio impoverito causata dalla frequentazione di alcune zone di guerra.
Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 9 luglio 2020, n. 14605:
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3771/2018 proposto da:
M.D., M.F., M.K.H., F.M.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ROVERETO 18, presso lo studio
dell’avvocato FELICE ANCORA, che li rappresenta e difende;
ricorrenti –
contro
MINISTERO DIFESA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
controricorrente –
avverso la sentenza n. 552/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 21/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 02/03/2020 dal Consigliere Dott. MARIO
CIGNA.
Svolgimento del processo
M.D., F.M.C., M.F. e M.K., quali rispettivamente genitori (i primi due) e fratelli, oltre che eredi, di M.V.A.,
convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari il Ministero della Difesa per sentirlo condannare al
risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza della morte di M.V.A..
A sostegno della domanda esposero: che il loro congiunto aveva prestato servizio di soccorso
internazionale in (OMISSIS) (dal (OMISSIS)) ed in (OMISSIS) (dal (OMISSIS)), dove, nel quotidiano
svolgimento del suo lavoro, era stato esposto “ad influenze ed emanazioni di riconosciuta nocività”, come
risultante da uno studiò della Dott.ssa G.A. M.; che, nonostante i rischi connessi con il servizio prestato in
zone soggette a bombardamenti con munizionamento all’uranio impoverito, non era stata adottata alcuna
misura protettiva nè i militari del contingente erano stati informati dei particolari pericoli ai quali gli stessi
venivano esposti; che il congiunto aveva contratto il “linfoma di Hodgkin”, per il quale era stato ricoverato il
(OMISSIS) in stato di coma presso l’Ospedale (OMISSIS), ove in data (OMISSIS) era deceduto.
Si costituì il Ministero, chiedendo il rigetto della domanda ed evidenziando di avere comunque corrisposto
alcune somme a titolo di intervento assistenziale e di equo indennizzo.
Con sentenza 2324/2011 l’adito Tribunale condannò il Ministero della Difesa al pagamento, in favore degli
attori, della somma di Euro 233.776,31 in favore di ciascuno dei genitori e della somma di Euro 58.444,08 in
favore di ciascuno dei fratelli.
Con sentenza 552/17 del 21-6-2017 la Corte d’Appello di Cagliari, in accoglimento del gravame proposto dal
Ministero ed in riforma dell’impugnata sentenza, ha invece rigettato la detta domanda risarcitoria; in
particolare la Corte territoriale ha innanzitutto precisato che il M., contrariamente a quanto sostenuto in
primo grado, non era mai stato impiegato in (OMISSIS) o in altri territori in cui l’utilizzo di munizionamento
all’uranio impoverito era stimo conclamato; lo stesso, invero, risultava avere prestato servizio in (OMISSIS),
come “radiofonista in sala”, dal (OMISSIS), e in (OMISSIS) dal (OMISSIS), come “impiegato nell’attività di
allestimento del campo profughi”; nello specifico, in relazione a detta ultima missione, ha escluso,
conformemente a quanto evidenziato dall’espletata CTU, ogni possibile nesso eziologico tra l’origine della
contaminazione e l’insorgenza della malattia, attesa la “breve latenza tra la potenziale esposizione durante
la missione in (OMISSIS) (circa sei mesi) e la comparsa della sintomatologia”; in relazione, poi, alla missione
in (OMISSIS) ha ritenuto che gli attori, sui quali ricadeva il relativo onere, non avevano dimostrato gli
elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c.; al riguardo, in primo luogo, ha rilevato che, a fronte della
contestazione del Ministero che i territori sui quali il M. aveva prestato servizio fossero stati interessati da
bombardamenti con munizionamento all’uranio impoverito, non era stato possibile desumere da alcun
documento agli atti che (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero territori inquinati; in secondo luogo, ha ritenuto che,
attesa la genericità delle espressioni utilizzate dal CTU in ordine al rapporto tra l’esposizione del M. ad
agenti genotossici e la patologia dallo stesso contratta, non poteva essere, nella specie, superato il vaglio
del principio del “più probabile che non”; in particolare, invero, il CTU aveva riferito: che i militari che
avevano prestato servizio nei (OMISSIS), in seguito all’uso di munizionamenti (all’uranio impoverito e
convenzionali) nelle guerre del 1995 e del 1999, si erano esposti a rischi conclamati e notevoli (era
scientificamente impossibile escludere detta esposizione); che detta esposizione era “assai plausibile” nel
caso specifico del M., atteso il rinvenimento nei suoi tessuti di “nanoparticelle metalliche”; che, pertanto,
non era possibile escludere nè l’esposizione ad agenti genotossici di M.V. durante il servizio prestato nei
(OMISSIS) nè che le patologie che lo avevano affetto potevano essere dovute a quella esposizione.
Avverso detta sentenza M.D., F.M.C., M.F. e M.K. propongono ricorso per Cassazione, affidato a sette
motivi ed illustrato anche da successiva memoria.
Resiste con controricorso il Ministero della Difesa.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si dolgono che la Corte territoriale abbia
omesso di considerare la presenza di nanoparticelle sui campioni biologici di M.V.A..
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si dolgono che la Corte territoriale
abbia omesso di considerare la volatilità delle particelle con riferimento al luogo di emissione.
Con il terzo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si dolgono che la Corte territoriale si sia limitata
a prendere in esame solo gli asserti conclusivi della espletata CTU (relazione professori A. e Z. ed
integrazione dello stesso prof. Z.), senza invece considerare alcune circostanze di fatto emerse dalla stessa
CTU; in particolare: il dato storico relativo ai conflitti bellici avvenuti nei territori dei (OMISSIS), l’utilizzo in
quantità elevate di uranio impoverito e di altri metalli pesanti negli armamenti impiegati nei predetti
conflitti; le proprietà genotossiche dell’uranio depleto; la presenza di nanoparticelle nei corpi dei militari
morti, la cui combinazione dei componenti chimici induceva a ritenere l’origine militare, e non quella da
esposizione ad altri fattori ambientali; l’inquinamento dell’ecosistema dei (OMISSIS) per effetto della
risospensione delle particelle originate dall’esplosione di munizionamenti contenenti uranio impoverito o
altri metalli pesanti.
Con il quarto motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2043 c.c., si dolgono che la Corte territoriale, con riferimento al nesso di causalità nella
responsabilità per fatto illecito, abbia ritenuto che i contributi argomentativi della relazione peritale non
superavano “il vaglio del principio del più probabile che non”; al riguardo evidenziano che i consulenti
avevano espresso le loro conclusioni in termini possibilistici perchè in tal senso era stato formulato il
quesito da parte della Corte d’Appello (che aveva infatti chiesto se la patologia in questione potesse essere
collegata circostanze esposte dagli attori), ma tanto non impediva al Giudicante una verifica sul piano della
probabilità logica.
Con il quinto motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si dolgono che la Corte territoriale, nel
riportare le conclusioni peritali in modo acritico e sterile, sia incorso in “motivazione apparente”, non
spiegando le ragioni che l’avevano indotta, pur in presenza delle circostanze di fatto indicate sub motivo 3),
ad affermare che il nesso di causalità non era stato provato secondo il principio del “più probabile che non”.
Con il sesto motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2043 c.c. e art. 116 c.p.c., sostengono che la Corte territoriale, nell’uso del prudente
apprezzamento nella valutazione delle prove acquisite, abbia errato nella ricostruzione del fatto, e quindi
nell’applicazione dei principi generali in tema di nesso causale nella responsabilità aquiliana; in particolare
si dolgono che la Corte non abbia considerato che tutti i consulenti si erano riferiti alla penisola dei
(OMISSIS) (e quindi anche alle aree albanesi e macedoni) e che comunque sussisteva un’incertezza
scientifica in ordine al periodo di latenza, sicchè erroneamente, nella valutazione del nesso causale, era
stata esclusa la missione in (OMISSIS).
Con il settimo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2043 c.c. e art. 116 c.p.c., si dolgono che la Corte territoriale abbia fondato la sua decisione sulla
mancata prova, da parte degli attori, dell’inquinamento dei territori di (OMISSIS) e (OMISSIS), quando
invece la stessa CTU (di natura percipiente) aveva accertato che i (OMISSIS) (quindi (OMISSIS) ed (OMISSIS))
erano territorio a rischio contaminazione per effetto di bombardamenti e operazioni belliche avvenute con
uranio impoverito o altri metalli pesanti.
I motivi, da valutare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono fondati.
Costituisce consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per
mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa,
ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta
motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente
incomprensibili (Cass. sez. unite 8053 e 8054/2014).
Nella specie la motivazione della Corte territoriale si estrinseca in argomentazioni insanabilmente
contradditorie, ed è quindi da considerarsi mancante.
La Corte di merito, infatti, in espressa adesione a quanto affermato dalla CTU disposta in grado d’appello,
ha, da una parte, in genere, ritenuto “conclamati e notevoli” i rischi da esposizione ad uranio impoverito (e
ad altri metalli pesanti e non) di tutti militari che avevano prestato servizio nei (OMISSIS) in seguito all’uso
di munizionamenti (all’uranio impoverito e “convenzionali”) nelle guerre del 1995 e del 1999; in particolare
era “impossibile” escludere detti rischi; nello specifico, poi, in considerazione della presenza, nei tessuti del
militare M.V., di nanoparticelle metalliche del tipo di quelle riscontrate dalla studiosa G.A., ha ritenuto
questa esposizione “assai plausibile”; al riguardo va ribadito che, come esposto nella stessa sentenza
impugnata, la dottoressa G. aveva ritrovato nello sperma e nella neoformazione sopraclaveare del M.
alcuni detriti, e cioè alcuni corpi estranei, microdimensionati, di chimiche diverse, non biodegradabili e non
biocompatibili, potenzialmente tossici sia fisicamente che chimicamente (in particolare un detrito di circa 2
micron di ferro-croma, di forma perfettamente sferica, dovuta all’ottenimento del detrito ad alta
temperatura).
La stessa Corte, poi, dall’altra parte, pur avendo la detta CTU concluso che non era possibile escludere
l’esposizione del M. ad agenti genotossici durante il servizio prestato nei (OMISSIS) e che, attesa la presenza
delle dette nanoparticelle nei tessuti del M., era plausibile la relazione causa-effetto tra l’esposizione e le
patologie riscontrate nel M., ha invece escluso, in insanabile contraddizione con quanto prima evidenziato,
sia l’utilizzazione in (OMISSIS) e (OMISSIS) di munizioni all’uranio impoverito sia la sussistenza del nesso
eziologico per mancato superamento del vaglio del principio del “più probabile che non”.
In tal modo la Corte di merito non ha considerato: che, nello specifico caso del M., come da essa stessa in
precedenza rilevato, il rischio era “assai plausibile”, con evidente riferimento al criterio, pur non
formalmente richiamato, del “più probabile che non”; che la risposta in chiave meramente possibilistica
nelle conclusioni della CTU era determinato dall’impossibilità scientifica di esprimere un giudizio di assoluta
certezza, ed era inoltre consequenziale al quesito richiesto, concernente appunto la possibilità di
collegamento tra le circostanze esposte dall’attore e le patologie riscontrate; che la stessa CTU, alla quale la
Corte territoriale ha aderito, ai fini dell’inquinamento dell’ecosistema dei (OMISSIS), ha ritenuto di
particolare importanza la “formazione di polveri fini ed ultrafini, il cui trasporto e deposito può avvenire
anche a grandi distanze dal punto del rilascio”.
La complessiva motivazione della Corte, incorrendo nelle dette insanabili contraddizioni e nell’omesso
esame dei su esposti fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, è da ritenersi (come detto) mancante,
con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza.
In conclusione, quindi, va accolto il ricorso e cassata l’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di
Cagliari, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Cagliari, in diversa
composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2020