Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 10 giugno 2020, n. 11112, Consenso informato – Risarcimento del danno:

Nonostante l’esecuzione di un intervento chirurgico rispettoso della lege artis, l’inadempimento all’obbligo di recepire il consenso informato dal paziente rappresenta una condotta plurioffensiva, idonea a ledere il diritto all’autodeterminazione terapeutica e il diritto alla salute del paziente. In casi del genere la Corte di Cassazione chiarisce che, al fine di ottenere il risarcimento del danno alla salute, il paziente deve provare che, se fosse stato adeguatamente informato, esso non si sarebbe sottoposto all’intervento. Qualora tale onere probatorio non fosse stato adempiuto, il paziente può chiedere solo il risarcimento del diritto all’autodeterminazione terapeutica, da valutarsi in via equitativa. Mentre la quantificazione del danno alla salute, ove fosse provato, deve essere effettuato in via differenziale, sottraendo al maggior danno biologico derivante dall’intervento l’invalidità preesistente all’illecito, fatto salvo l’intervento integrativo o correttivo del giudice volto a valorizzare le circostanze del caso concreto.

Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 10 giugno 2020, n. 11112, Consenso informato – Risarcimento del danno:

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 507-2018 proposto da:
QBE INSURANCE (EUROPE) LIMITED, in persona della Rappresentante Generale
per l’Italia Dott.ssa R.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PAISIELLO
40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la rappresenta e difende;

ricorrente – contro
M.G. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI BATTISTADE ROSSI 32,
presso lo studio dell’avvocato ANNA SISTOPAOLI che lo rappresenta e difende;
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore pro tempore Dott.
F.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. COSTANZA 27, presso lo studio
dell’avvocato LUCIA MARINI che la rappresenta e difende;
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, in persona del Rettore e legale
rappresentante pro tempore Prof. A.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.
PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la
rappresenta e difende;

controricorrenticontro
B.A., D.R., UNIPOLSAI ASS. SPA, ALLIANZ SPA;

intimati – Nonchè da:
B.A., D.R., entrambi in proprio e quali genitori esercenti la genitorialità su D.G.,
domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati ROBERTO D’AMICO, FABRIZIO
FILIPPUCCI;

ricorrenti incidentali – contro
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE in persona del Rettore e legale
rappresentante pro tempore Prof. A.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.
PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la
rappresenta e difende;
QBE INSURANCE (EUROPE) LIMITED in persona della Rappresentante Generale
per l’Italia Dott.ssa R.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PAISIELLO
40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la rappresenta e difende;
M.G. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI BATTISTADE ROSSI 32,
presso lo studio dell’avvocato ANNA SISTOPAOLI che lo rappresenta e difende;

controricorrenti all’incidentale – e contro
M.G., UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, ALLIANZ SPA;

intimati – avverso la sentenza n. 3279/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 18/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2020 dal
Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
Svolgimento del processo
con sentenza resa in data 18/5/2017, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento
dell’appello proposto da D.R. e B.A., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la
responsabilità sulla figlia minore D.G., in parziale riforma della decisione di primo
grado, tra le restanti statuizioni, ha condannato M.G. e l’Università Cattolica del
Sacro Cuore, Policlinico Universitario “(OMISSIS)”, in solido tra loro, al risarcimento
dei danni subiti dagli attori a seguito di un intervento chirurgico eseguito dal M. sulla
persona di B.A. presso la struttura sanitaria dell’Università convenuta;
con la medesima sentenza, la corte territoriale ha condannato la QBE Insurance
(Europe) Limited a tenere indenne l’Università Cattolica del Sacro Cuore dagli effetti
della condanna pronunciata nei relativi confronti anche in relazione all’operato del
dipendente M.G.;
a fondamento della decisione assunta, la corte d’appello ha evidenziato come,
nonostante l’intervento chirurgico eseguito dal M. fosse stato condotto nel pieno
rispetto delle leges artis, senza possibilità di riscontro di alcuna responsabilità delle
parti convenute, detto intervento era stato, tuttavia, eseguito senza che fosse stato in
precedenza correttamente acquisito il consenso informato della paziente, non
avendo quest’ultima ricevuto tutte le necessarie informazioni in ordine alla natura
dell’intervento praticato, alle complicanze prevedibili e non prevenibili e alle
alternative terapeutiche concretamente praticabili;
conseguentemente, per effetto di tale inadempimento, i convenuti dovevano ritenersi
responsabili dei corrispondenti danni subiti, tanto dalla B., quanto dal coniuge di
questa e dalla loro figlia;
avverso la sentenza d’appello, la QBE Insurance (Europe) Limited propone ricorso
per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione, illustrati da successiva
memoria;
B.A. e D.R., entrambi in proprio e nella qualità di genitori esercenti la responsabilità
sulla figlia minore D.G., resistono con controricorso, proponendo, a loro volta, ricorso
incidentale sulla base di due motivi d’impugnazione;
l’Università Cattolica del Sacro Cuore e M.G. hanno depositato due controricorsi
ciascuno in relazione a entrambi i ricorsi proposti;
la UnipolSai Assicurazioni s.p.a. (già chiamata in giudizio a fini di manleva) ha
depositato controricorso in relazione al ricorso proposto in via principale;
la QBE Insurance (Europe) Limited ha depositato controricorso in relazione al ricorso
incidentale;
nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;
con atto in data 20/12/2019 la Reliance National Insurance Company (Europe)
Limited ha dichiarato di spiegare intervento nel giudizio per l’avvenuta successione a
titolo particolare della QBE Insurance (Europe) Limited, invocando l’estromissione di
quest’ultima;
l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha depositato comparsa di costituzione di
nuovo difensore.
Motivi della decisione
di dover preliminarmente dichiarare l’inammissibilità dell’intervento spiegato dalla
Reliance National Insurance Company (Europe) Limited;
al riguardo, rileva il Collegio come, al caso di specie, trovi applicazione il consolidato
insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (qui integralmente condiviso e
ribadito al fine di assicurarne continuità), ai sensi del quale nel giudizio di
cassazione, mancando un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di
prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l’intervento di soggetti
che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il
successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve
essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa
(Sez. 3, Ordinanza n. 25423 del 10/10/2019, Rv. 655272 – 01);
nella specie, essendosi costituita nel presente giudizio la QBE Insurance (Europe)
Limited (che ha financo depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c.), l’intervento della
Reliance National Insurance Company (Europe) Limited deve ritenersi
irrimediabilmente inammissibile;
considerato, inoltre, che:
con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso
esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per
avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inadeguate le informazioni fornite
alla paziente in previsione dell’intervento chirurgico programmato, trascurando di
procedere all’esame dell’effettivo contenuto del consenso informato prestato dalla B.,
così come risultante dalla dichiarazione formale di consenso acquisita agli atti del
giudizio, nonchè da tutte le circostanze pacifiche o comunque giudizialmente
accertate in via definitiva;
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso
esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per
avere la corte territoriale erroneamente ritenuto insufficiente l’insieme delle
informazioni fornite alla paziente in previsione dell’intervento chirurgico, trascurando
di considerare che la stessa B. ebbe ad ammettere l’avvenuta prospettazione, nei
relativi riguardi, di due trattamenti possibili della propria patologia, con l’espressa
indicazione dell’intervento più opportuno (quello effettivamente eseguito), senza
considerare l’avvenuto accertamento della circostanza per cui la paziente aveva
comunque valutato concretamente la scelta terapeutica alternativa non praticata;
entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono
inammissibili;
al riguardo, osserva il Collegio come la corte territoriale abbia espressamente
riportato, in motivazione (pp. 15-16), l’integrale contenuto del modulo contenente
l’espressione del consenso informato della paziente (da quest’ultima debitamente
sottoscritto), giungendo, ad esito di una puntuale ed accurata interpretazione di detta
documentazione (unitamente alla considerazione delle restanti evidenze istruttorie
acquisite nel corso del giudizio), alla conclusione della sostanziale incompletezza
delle informazioni complessivamente trasmesse alla B., e della relativa specifica
inidoneità a porre la paziente nell’effettiva condizione di apprendere con
compiutezza la peculiare natura dell’intervento che sarebbe stato eseguito, i rischi e
le complicanze che si sarebbero potuti correre, anche in rapporto ai benefici
comunque conseguibili, sottolineando altresì come la struttura sanitaria trascurò
irragionevolmente di lasciare alla paziente un lasso temporale adeguato a maturare
e raggiungere una consapevole scelta (cfr. pp. 18-21);
a fronte di tali premesse, varrà rilevare come, attraverso i motivi di doglianza in
esame, l’odierna società ricorrente abbia integralmente trascurato di articolare, in
termini adeguati, le ragioni della sicura decisività delle ulteriori circostanze di fatto
genericamente dedotte in ricorso, omettendo di sottolineare in quale modo, alla luce
delle argomentazioni fatte proprie dalla corte d’appello, l’eventuale considerazione
delle circostanze pretesamente omesse (peraltro, in larga misura estranee al tema
dell’informazione immediata della paziente in diretta connessione all’intervento)
avrebbe certamente condotto a una diversa valutazione circa l’effettiva adeguatezza
delle informazioni trasmesse alla paziente ai fini del consenso all’intervento, con la
conseguente risoluzione degli odierni motivi di censura nella sostanziale
rivendicazione di un riesame nel merito dei fatti di causa, come tale inammissibile in
sede di legittimità;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame
di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la
corte territoriale erroneamente assunto, a base di calcolo del danno risarcibile per la
presunta lesione del diritto all’autodeterminazione della paziente, non già l’eventuale
aggravamento delle condizioni a seguito dell’intervento oggetto di giudizio, ma
l’invalidità complessiva della B., nonchè l’intero danno patrimoniale derivante dalla
perdita della relativa capacità lavorativa, senza tenere in alcuna considerazione le
pregresse condizioni patologiche della paziente;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli
artt. 1223 e 1226 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte
territoriale erroneamente riconosciuto, in favore della paziente, un importo a titolo di
personalizzazione del presunto danno derivante dalla lesione del diritto
all’autodeterminazione, in misura addirittura superiore all’importo base di tale danno;
il terzo e il quarto motivo sono fondati nei termini che seguono;
sul punto, rileva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della
giurisprudenza di questa Corte, in materia di responsabilità sanitaria,
l’inadempimento all’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume
diversa rilevanza causale, a seconda che sia dedotta la violazione del diritto
all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute, posto che, se nel primo
caso l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione
causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei
rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l’incidenza eziologica del
deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente
eseguito dipende dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato
adeguatamente informato, ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso;
con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale eventuale scelta
costituisce parte integrante dell’onere della prova (che, in applicazione del criterio
generale di cui all’art. 2697 c.c., grava sul danneggiato) del nesso eziologico tra
inadempimento ed evento dannoso (Sez. 3, Ordinanza n. 19199 del 19/07/2018 (Rv.
649949 – 01);
con particolare riguardo alla determinazione dell’importo liquidabile a titolo
risarcitorio per l’inadempimento all’obbligo di acquisire il consenso informato del
paziente, fermo il riconoscimento del danno dovuto alla lesione del diritto
all’autodeterminazione terapeutica (necessariamente liquidabile in via equitativa),
ove l’atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis,
non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i
suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto (anche)
il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze, ma solo
ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se
correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento, ovvero
avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena
predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze) (Sez. 3,
Ordinanza n. 2369 del 31/01/2018, Rv. 647593 – 01);
ciò posto, converrà preliminarmente considerare che, nel caso di specie, il giudice a
quo ha espressamente affermato come la B. avesse unicamente maturato i
presupposti per il riconoscimento, in proprio favore, del diritto al risarcimento del
(solo) danno non patrimoniale per la lesione della libertà di autodeterminazione
terapeutica (vedi p. 25); e tanto, al netto dell’erronea affermazione (rimasta, peraltro,
sostanzialmente irrilevante nell’economia complessiva del discorso motivazionale,
stante l’assenza, in ogni caso, di alcuna adeguata dimostrazione, da parte della B.,
dell’eventuale sicuro dissenso all’intervento, in caso di corretta informazione
preventiva) dell’incombenza, in capo ai convenuti (danneggianti), dell’onere (nella
specie non assolto) di provare che la paziente si sarebbe comunque sottoposta
all’intervento presso il Policlinico (OMISSIS), senza valutare la possibilità di rivolgersi
ad altre strutture pur se utilmente informata delle ipotizzabili conseguenze (cfr. pag.
22);
ferme tali premesse, una volta limitata la fondatezza della pretesa risarcitoria della
paziente alle sole conseguenze dannose derivate dalla lesione della libertà di
autodeterminazione terapeutica (e non anche le conseguenze derivate dal danno
alla salute), la corte territoriale ha ritenuto di ancorare la liquidazione equitativa del
danno riconosciuto utilizzando, quale parametro oggettivo di riferimento, gli importi
che la paziente avrebbe avuto diritto a conseguire ove fosse stato liquidabile, in suo
favore, un risarcimento per le conseguenze dannose subite a carico della salute (cfr.
pag. 25), ritenendo tuttavia di correggere l’entità di detti importi-parametro con una
riduzione al 20%, giustificata proprio in ragione della differenza che intercorre tra il
danno alla salute e il danno derivante dalla (sola) violazione del diritto
all’autodeterminazione sanitaria (pag. 28);
nella successiva specifica determinazione delle poste risarcitorie, la corte territoriale
ha inoltre dichiarato di voler (dover) considerare la preesistente patologia sofferta
dalla B., ai fini della determinazione del (l’ipotetico) danno alla salute dalla stessa
concretamente subito, attraverso l’ulteriore riduzione al 20% del danno biologico e
del danno patrimoniale permanente accertato a carico della paziente (v. pag. 30),
senza peraltro toccare quella che la corte d’appello ha definito la “personalizzazione”
del danno non patrimoniale che, secondo quanto espressamente indicato nella
stessa motivazione (v. pag. 30), vale a corrispondere al danno morale soggettivo,
ossia al pregiudizio patito dalla B. sul piano della sofferenza interiore
soggettivamente determinata dalla lesione del proprio diritto ad autodeterminarsi
liberamente nelle scelte relative al proprio corpo;
al riguardo, è incidentalmente appena il caso di rilevare come, secondo
l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (diversamente da quanto
operato dal giudice a quo nel caso si specie) la liquidazione del c.d. danno
differenziale (ossia l’effettivo e concreto danno alla salute subito da chi fosse già
stato affetto, al momento dell’illecito, da una preesistenza invalidante) va operata
stimando, prima, in punti percentuali, l’invalidità complessiva (risultante cioè dalla
menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito) e, poi, quella
preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di
denaro, con la precisazione che in tutti quei casi in cui le patologie pregresse non
impedivano al danneggiato di condurre una vita normale, lo stato di validità anteriore
al sinistro dovrà essere considerato pari al cento per cento; procedendo infine a
sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata quello
corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l’esercizio del
potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la c.d.
equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso
concreto (v., da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 28986 del 11/11/2019, Rv. 656174 – 02);
rispetto a tale rilievo, tuttavia, la società ricorrente ha del tutto trascurato di
sviluppare con precisione il calcolo regolato sul criterio corretto, in tal modo
impedendo alla corte di legittimità la verifica dell’effettiva eventuale maggiore entità
dell’importo stabilito dalla corte territoriale e il concreto interesse della stessa società
ricorrente a dolersi dei calcoli operati dal giudice a quo sul punto in esame;
in ogni caso, dopo aver applicato la riduzione al 20% del danno biologico, giustificata
dalla necessità di tener conto delle patologie preesistenti della B. (calcolando il 20%
dell’importo totale di Euro 976.996,00 quale danno biologico al 100%), nonchè la
riduzione al 20% del danno patrimoniale (sempre allo scopo di tener conto delle
preesistenti patologie del paziente), la corte territoriale ha poi omesso di praticare
l’ulteriore programmata riduzione al 20% quale abbattimento già ritenuto necessario
al fine di valorizzare la differenza tra il danno alla salute (considerato non risarcibile)
e il danno al diritto all’autodeterminazione terapeutica (viceversa ritenuto risarcibile),
finendo così per assorbire il secondo abbattimento del 20% (motivato dalla necessità
di tener conto della ridetta differenza tra danno alla salute e danno
all’autodeterminazione) nel primo abbattimento (viceversa imposto dalla necessità di
tener conto delle preesistenti patologie della paziente), con la conseguenza che
l’importo definitivo liquidato a titolo di risarcimento del danno da lesione del diritto
all’autodeterminazione terapeutica ha finito col coincidere (almeno parzialmente) con
l’importo totale astrattamente dovuto a titolo di danno biologico e a titolo di danno
patrimoniale, ossia con l’importo che sarebbe spettato alla danneggiata a titolo di
lesione del diritto alla salute;
ciò premesso, rilevata la fondatezza, nei termini indicati, delle censure in esame,
dev’essere disposta la corrispondente cassazione della sentenza impugnata, con
rinvio alla Corte d’appello di Roma affinchè la stessa provveda a una corretta
rideterminazione del danno effettivamente derivato, a carico della B., a seguito della
lesione del proprio diritto ad autodeterminarsi liberamente nelle scelte relative al
proprio corpo;
con il quinto motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per
violazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere
la corte territoriale erroneamente liquidato, in favore dei congiunti della B., un
importo a titolo di danno non patrimoniale per lo sconvolgimento dell’assetto
familiare derivante dalle condizioni della paziente, nonostante tali condizioni non
fossero imputabili ai sanitari, essendo stato liquidato, in favore della paziente, il solo
danno derivante dalla lesione del proprio diritto all’autodeterminazione;
il motivo è fondato;
osserva il Collegio come la considerazione del danno alla compromissione dei
rapporti parentali (nelle forme dello sconvolgimento dell’assetto familiare)
conseguente alla lesione dell’integrità psicofisica (così come al decesso) di uno dei
componenti la comunità affettiva, in tanto assume una sua giuridica consistenza, sul
piano risarcitorio, in quanto il comportamento dei responsabili dell’omessa (o
carente) informazione sanitaria sia causalmente connesso alla lesione della salute
del familiare; ossia nel solo caso in cui il danneggiato (o i danneggiati) abbiano
ritualmente provveduto alla dimostrazione che la paziente, ove correttamente
informata, si sarebbe sottratta all’intervento;
nella specie, non avendo i danneggiati provveduto a fornire la provata di tale ultima
circostanza (essendo rimasta comprovata la sola lesione del diritto
all’autodeterminazione sanitaria della B.), dev’essere segnalato l’errore della
sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto il diritto dei familiari della
paziente al risarcimento dei danni pretesamente subiti per effetto della lesione
all’integrità dei propri rapporti parentali;
con il primo motivo del ricorso incidentale, B.A. e D.R., entrambi in proprio e nella
qualità spiegata, censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1218 e
2697 c.c., nonchè dell’art. 116 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la
corte territoriale erroneamente utilizzato, quale fonte oggettiva di prova
dell’accertamento negativo della responsabilità medico-sanitaria in ordine alla
correttezza della diagnosi, della terapia e del gesto operatorio eseguito sulla persona
della B., una consulenza tecnica d’ufficio illogica, incongruente e non dirimente ai fini
della lite, attesa l’irriducibile incompletezza degli elementi documentali indispensabili
ai fini della corretta identificazione (e dunque dell’esclusione) dell’inadempimento
contrattuale della struttura sanitaria in relazione all’esecuzione dei propri obblighi;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia avuto cura di sottolineare in modo
espresso e specifico la totale irrilevanza delle lacune documentali in questa sede
denunciate dai ricorrenti incidentali (lacune, peraltro, apertamente considerate e
riconosciute dagli stessi consulenti tecnici d’appello), evidenziando come dette
lacune non avessero spiegato alcuna concreta o rilevabile incidenza determinante
sulla possibilità di esprimere una compiuta valutazione circa la correttezza della
diagnosi, della terapia e del gesto operatorio eseguito sulla persona della B. (v. pag.
11);
ciò posto, la censura qui considerata si risolve nella conseguente rivendicazione di
una rilettura nel merito dei fatti di causa (complessivamente esaminati e valutati nella
sentenza impugnata) come tale irriducibilmente inammissibile in questa sede di
legittimità;
con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per
violazione degli artt. 1218, 1226, 2056 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c., per
avere la corte territoriale illegittimamente, immotivatamente e arbitrariamente ridotto
alla misura del 20% sul totale calcolato, il danno patrimoniale e non patrimoniale
complessivamente subito (anche di riflesso) dagli originari attori, sull’erroneo
presupposto delle pregresse gravi condizioni di invalidità della B.;
il motivo, nella misura in cui invita a considerare criticamente la motivazione dettata
dal giudice a quo a fondamento della liquidazione dei danni effettivamente subiti
dagli attori, deve ritenersi integralmente assorbito dal disposto, pregresso
accoglimento del terzo, del quarto e del quinto motivo del ricorso principale;
sulla base delle considerazioni che precedono, rilevata la fondatezza del terzo, del
quarto e del quinto motivo del ricorso principale (e l’inammissibilità del primo e del
secondo motivo), nonchè l’inammissibilità del primo motivo del ricorso incidentale
(assorbito il secondo), in accoglimento del terzo, del quarto e del quinto motivo del
ricorso principale, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, in
relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Roma, in
diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle
spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale; dichiara
inammissibile il primo e il secondo motivo del medesimo ricorso; dichiara
inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbito il
secondo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in
relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa
composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese
del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte
Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020