Sentenza, Corte Suprema di Cassazione Sezione Unite Penale, 2 settembre 2020, n. 24990, Spaccio di lieve entità – applicabilità dell’attenuante ex art. 62 n. 4 c.p.:

Essendo stata sottoposta alle Sezioni Unite Penali la seguente questione: “Se la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità, di cui all’art. 62 c.p., n. 4, sia applicabile ai reati in materia di stupefacenti, e, in caso affermativo, se sia compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5”,esse chiariscono che: A) la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., è applicabile ai reati in materia di stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da speciale tenuità; B) la suddetta attenuante comune è compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità prevista dal , art. 73, comma 5. A sostegno di queste conclusioni, la Corte afferma che la verifica sulla lieve entità si effettua sulla condotta, modalità dell’azione, oggetto del reato mentre, quello sulla speciale tenuità attiene i motivi a delinquere, il profitto oltre che l’evento dannoso o pericoloso. Pertanto, non si valutano gli stessi elementi fattuali ai fini dell’applicazione della suddetta attenuante e dell’ art. 73, comma 5 del d.p.r n. 309 del 1990.

Corte Suprema di Cassazione Sezione Unite Penale, 2 settembre 2020, n. 24990:

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico – Presidente –
Dott. FUMU Giacomo – Consigliere –
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere –
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere –
Dott. MOGINI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –
Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.K., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/10/2018 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente MOGINI Stefano;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale PINELLI
Mario Maria Stefano, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata limitatamente al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui
all’art. 62 c.p., n. 4 udito il difensore, avvocato Davide Mosso, il quale ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenza del 21 febbraio 2018 il Tribunale di Torino in composizione
monocratica – ad esito di giudizio abbreviato conseguente alla trasformazione ex art.
452 c.p.p., comma 2, del rito direttissimo disposto nei confronti dell’imputato a
seguito del suo arresto in flagranza – ha ritenuto responsabile K.D. del reato di cui al
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, in riferimento alla cessione di 2,2
grammi di hashish per il corrispettivo di 10 Euro, condannandolo alla pena di tre
mesi di reclusione e 500 Euro di multa.
Avverso detta sentenza ha proposto appello l’imputato, tramite il suo difensore,
lamentando il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, ed il
trattamento sanzionatorio irrogato, ritenuto eccessivo; ha chiesto, pertanto, il
riconoscimento di tale attenuante e la sua applicazione sulla pena rideterminata nel
minimo edittale.
Con sentenza del 18 ottobre 2018 la Corte d’appello di Torino ha confermato la
decisione impugnata.
In relazione allo specifico aspetto del riconoscimento dell’attenuante in questione la
Corte d’appello, dando atto dell’esistenza di un orientamento contrapposto, ha
consapevolmente aderito a quello contrario all’applicabilità dell’attenuante prevista
dall’art. 62 c.p., n. 4, alla fattispecie di spaccio di stupefacente di cui all’art. 73,
comma 5, condividendo l’argomentazione, posta alla base di tale opzione
interpretativa, secondo la quale un eventuale riconoscimento dell’attenuante – che si
fonda sulla ridotta rilevanza economica della violazione – si risolverebbe in una
duplice valutazione dei medesimi elementi già considerati per l’inquadramento del
fatto nella citata ipotesi delittuosa, con conseguente indebita duplicazione dei
benefici sanzionatori.

L’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione,
deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 127 e 605 c.p.p., D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5,
e art. 62 c.p., n. 4.
Dopo aver evidenziato l’esistenza di due diversi orientamenti formatisi sul tema nella
giurisprudenza di legittimità, ha insistito sull’applicabilità dell’attenuante del lucro di
speciale tenuità al contestato reato di cessione di sostanze stupefacenti di cui al
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, avente ad oggetto una assai ridotta
quantità di droga leggera (2,2 grammi di hashish) per un corrispettivo di 10 Euro.
Ha chiesto, in subordine, l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite per dirimere il
rilevato contrasto giurisprudenziale.

La Quarta Sezione della Corte di cassazione, cui il ricorso è stato assegnato, ne
ha rimesso la trattazione alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza del segnalato
contrasto giurisprudenziale in merito alla applicabilità della circostanza attenuante
del conseguimento del lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4, al reato di
cessione di sostanze stupefacenti e alla compatibilità di detta attenuante con
l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309, art. 73, comma 5.

Con decreto del 19 novembre 2019, il Primo Presidente Aggiunto ha assegnato il
ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza.
Motivi della decisione

La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite può essere riassunta nei
seguenti termini: “se la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di
speciale tenuità, di cui all’art. 62 c.p., n. 4, sia applicabile ai reati in materia di
stupefacenti, e, in caso affermativo, se sia compatibile con l’autonoma fattispecie del
fatto di lieve entità, prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5″.

La questione prospettata nell’ordinanza della Quarta Sezione si compone di due
nuclei problematici, collegati tra loro. Il primo aspetto del problema attiene alla
applicabilità della circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale
tenuità, di cui all’art. 62 c.p., n. 4, ai reati in materia di stupefacenti. Il secondo, ed
eventualmente consequenziale, profilo della questione riguarda la compatibilità
dell’attenuante in esame con l’autonoma fattispecie “di lieve entità”, prevista dal
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5″.

Correttamente la Sezione rimettente ha registrato un contrasto interpretativo in
ordine a tali profili.
3.1. Secondo l’orientamento più risalente, la circostanza attenuante del
conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4, non sarebbe
applicabile ai reati in materia di stupefacenti, né sarebbe compatibile con la
fattispecie prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5.
Con riferimento al primo dei profili indicati, la Corte di cassazione (Sez. 6, n. 7830
del 30/03/1999, Chanovi, Rv. 214733) era pervenuta alla soluzione negativa sulla
base di considerazioni, rimaste peraltro isolate, secondo le quali, nonostante il
generico riferimento operato dall’art. 62 c.p., n. 4, ai “delitti determinati da motivi di
lucro”, l’evento dannoso o pericoloso di speciale tenuità deve sempre essere riferito
a fatti di reato offensivi del patrimonio, nei quali non rientrano i reati in materia di
sostanze stupefacenti, che sono invece “lesivi dei valori costituzionali attinenti alla
salute pubblica, alla sicurezza ed all’ordine pubblico, alla salvaguardia del sociale”.
Altre decisioni si inscrivono nell’indirizzo negativo seguendo un differente percorso
argomentativo. Pur ammettendo l’astratta riferibilità dell’art. 62 c.p., n. 4, anche a
reati diversi da quelli contro il patrimonio ma determinati da motivi di lucro, esse
escludono l’applicabilità dell’attenuante ai reati in materia di stupefacenti per
l’impossibilità di configurare un evento dannoso di speciale tenuità là dove i beni
tutelati abbiano rango costituzionale. Sulla premessa che, a seguito della riforma
operata dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19, per la configurabilità dell’attenuante di cui
all’art. 62 c.p., n. 4, devono concorrere i due elementi dell’aver agito per conseguire,
o l’aver comunque conseguito, un lucro di speciale tenuità e dell’essere l’evento
dannoso o pericoloso di speciale tenuità, quelle decisioni sostengono che nei reati in
materia di stupefacenti l’evento non potrebbe essere in alcun caso qualificato in
termini di “speciale tenuità”, sia perché le condotte contemplate e sanzionate dal
Testo Unico sugli stupefacenti sono lesive dei valori costituzionali attinenti alla salute
pubblica, alla salvaguardia del sociale, alla sicurezza dell’ordine pubblico, di fronte ai
quali resterebbe del tutto irrilevante la ridotta valenza del lucro conseguito, sia
perché occorre tener conto non dei soli danni immediati, ma anche di quelli non
immediati, pur sempre ricollegabili all’uso delle sostanze stupefacenti (Sez. 4, n.
3621 del 26/02/1993, Mosca, Rv. 193651; Sez. 6, n. 41758 del 13/10/2009,
Ntkaazouzt, Rv. 245019; Sez. 6, n. 23821 del 27/02/2013, Orlandi, Rv. 255663; Sez.
6, n. 9722 del 29/01/2014, D., Rv. 259071; Sez. 3, n. 36371 del 09/04/2019, Ben
Salim, Rv. 276757).
Con riferimento al secondo profilo della questione sottoposta all’esame delle Sezioni
Unite, plurime pronunce hanno poi, più particolarmente, affermato l’incompatibilità
della circostanza attenuante comune in esame con l’autonoma fattispecie di reato
prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, (Sez. 1, n. 36408 del
26/06/2013, Lassad, Rv. 255958; Sez. 3, n. 46447 del 10/10/2017, Mor, Rv. 272078;
Sez. 4, n. 32513 del 16/04/2019, Ben Mansour, Rv. 276686; Sez. 3, n. 36371 del
09/04/2019, Ben Salim, Rv. 276757). Secondo tali decisioni, al ricorrere della
speciale tenuità del lucro, perseguito o effettivamente conseguito, e dell’evento
dannoso o pericoloso, si verificherebbe sempre la coincidenza dei presupposti
fattuali dell’attenuante con quelli che determinano il riconoscimento della fattispecie
di “lieve entità” di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, sicché la
concessione dell’attenuante determìnerebbe una duplice valutazione degli stessi
elementi e una conseguente, indebita duplicazione dei benefici sanzionatori.
3.2. All’orientamento esposto se ne contrappone un altro che, invece, ammette
l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, ai reati in materia di
stupefacenti e, in particolare, ai fatti “di lieve entità” di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309, art. 73, comma 5.
L’orientamento positivo ha trovato la sua prima affermazione in Sez. 6, n. 20937 del
18/01/2011, Bagoura, Rv. 250028, che, contrapponendosi consapevolmente alla
giurisprudenza di legittimità secondo la quale l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4,
era concedibile unicamente per i reati contro il patrimonio, ha ritenuto tale attenuante
applicabile anche ai reati in materia di stupefacenti.
Con tale decisione la Corte di cassazione ha in primo luogo chiarito che, a seguito
delle modifiche recate dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19, al testo dell’art. 62 c.p., n. 4.,
l’attenuante in esame è configurabile per ogni tipo di delitto purché commesso per
motivi di lucro, a prescindere dalla natura dell’offesa prodotta e dal bene protetto
dalla norma incriminatrice. Ritenere ex lege presuntivamente esclusa tale attenuante
per alcune categorie di fattispecie criminose, quali quelle riguardanti le sostanze
stupefacenti, considerandola circoscritta ai soli reati offensivi del patrimonio, sarebbe
contrario al chiaro tenore letterale della nuova disposizione ed avrebbe di fatto
vanificato la portata della modifica normativa. Inoltre, ha affermato che l’introduzione
del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, imponeva una rimeditazione
delle decisioni della Corte di legittimità affermative di una assiomatica esclusione dei
reati in materia di stupefacenti dal possibile novero dei reati connotati da un evento
di “speciale” tenuità”, posto che proprio con la nuova previsione lo stesso legislatore
aveva ritenuto possibile qualificare in termini di “lieve entità” anche i reati in tema di
stupefacenti.
La decisione, pronunciata allorché la lieve entità dei fatti di cui al testè citato comma
5 costituiva un’attenuante speciale rispetto ai reati previsti dal D.P.R. n. 309 del
1990, art. 73 (Sez. U., n. 9148 del 31/5/1991, Parisi, Rv. 187930), ha affermato
altresì la compatibilità di detta attenuante con quella di cui all’art. 62 c.p., n. 4, posto
che la prima si riferisce all’azione e all’oggetto materiale del reato, globalmente e
unitariamente vagliati, mentre la seconda attiene unicamente al lucro e all’evento
dannoso o pericoloso che siano connotati da speciale tenuità.
La stessa sentenza ha evidenziato che l’attenuante comune ex art. 62 c.p., n. 4, era
stata ritenuta compatibile con le attenuanti speciali da “particolare tenuità del fatto” di
cui all’art. 648 c.p., comma 2, (Sez. 4, n. 25321 del 6/5/2004, Cascalisci, Rv. 228932;
Sez. 2, 16.10.2007 n. 43046, Ferri, Rv. 238508) e 323-bis c.p. – relative, al pari della
diminuente prevista al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, a reati non
annoverabili tra quelli posti a tutela del patrimonio (Sez. 6, n. 2620 del 9/12/1996,
Basile, Rv. 208675).
Ha poi sottolineato che quelle attenuanti speciali si riferiscono al fatto di reato nella
sua globalità – e quindi ai tradizionali elementi della condotta, dell’elemento
psicologico e dell’evento, complessivamente considerati – mentre la prima attiene
unicamente agli elementi del lucro e del danno, ciascuno dei quali deve essere
connotato da speciale tenuità.
I principi affermati nella sentenza Bagoura in merito alla generale compatibilità tra
l’attenuante ex art. 62 c.p., n. 4 e i delitti in materia di stupefacenti sono stati ripresi
da una successiva sentenza della Sesta Sezione che, agli argomenti già spesi a
supporto della tesi affermativa, affianca nuove argomentazioni desunte dal mutato
quadro normativo di riferimento (Sez. 6, n. 5812 del 24/11/2016, dep. 2017,
Samateh, Rv. 269032). Questa decisione contesta in primo luogo l’argomentazione,
posta a base dell’opposto indirizzo interpretativo, secondo cui in caso di violazione
della disciplina penale degli stupefacenti sarebbe impossibile il verificarsi di un
evento dannoso o pericoloso “tenue”. Questo enunciato, “predicato in maniera tanto
assoluta quanto apodittica”, sarebbe infatti “normativamente contraddetto dal chiaro
disposto del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, il quale riconosce
espressamente la possibilità che un fatto punibile ai sensi del citato art. 73 sia
caratterizzato da minima offensività dei beni protetti, pure certamente primari e
costituzionalmente garantiti”. sicché il contrario indirizzo giurisprudenziale “si
porrebbe (…) in contrasto non solo col chiaro tenore letterale dell’art. 62 c.p., n. 4,
seconda parte, il quale prevede l’applicabilità dell’attenuante in questione a tutti i
delitti determinati da motivi di lucro, ma anche col citato art. 73, comma 5″.
La Sesta Sezione osserva poi che l’assoluta impossibilità di un evento dannoso o
pericoloso di lieve entità per i reati in materia di stupefacenti “si rivela (…) vieppiù
insostenibile a seguito dell’introduzione della generale causa di esclusione della
punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p.. Posto infatti che la
pena edittale prevista per l’ipotesi lieve di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art.
73, comma 5, rientra nei limiti di cui all’art. 131-bis, comma 1 e che gli elementi
oggettivi di esclusione della particolare tenuità dell’offesa sono specificamente (e
tassativamente) descritti nel comma 2 della medesima disposizione senza che tra
essi figuri un qualsivoglia riferimento alla “categoria” dei delitti in tema di
stupefacenti, deve ritenersi che la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.,
possa applicarsi alle condotte rientranti nella fattispecie di lieve entità. sicché anche
per tale via risulta confermata la possibilità che i delitti in materia di stupefacenti di
cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, siano caratterizzati da minima offensività, tale
da determinare alternativamente, previa scrupolosa verifica degli elementi indicati
nelle norme testè citate, la qualificazione del fatto in termini di lieve entità D.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, ovvero la sua non punibilità ex art. 131 bis
c.p.”. In definitiva, nell’attuale assetto normativo, totalmente differente da quello in
cui iniziò ad affermarsi la tesi negativa, i delitti in materia di stupefacenti di cui al
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, non solo possono essere caratterizzati da
minima offensività, tale da determinare la qualificazione del fatto in termini di lieve
entità ex art. 73, comma 5, ma potrebbero risultare addirittura non punibili in ragione
della particolare tenuità del fatto.
né, secondo la sentenza in esame, può essere condiviso “l’argomento secondo il
quale il riconoscimento dell’attenuante del lucro di speciale tenuità prevista all’art. 62
c.p., n. 4, seconda parte, comporterebbe, in caso di condanna per il delitto di cui al
D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, un’ingiustificata duplicazione di
benefici sanzionatori. La trasformazione dell’attenuante speciale prevista dal testo
originario del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, in autonoma
fattispecie di reato, operata dal D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con
modifiche dalla L. n. 10 del 2014, fa sì che a tale autonoma fattispecie delittuosa
corrisponda ora una specifica cornice edittale. Deve pertanto escludersi che
l’attenuante comune in esame, destinata ad incidere sull’ordinario trattamento
punitivo riservato a quelle condotte, possa determinare un’indebita duplicazione di
benefici sanzionatori. E ciò è tanto più vero in quanto quell’attenuante richiede per la
sua applicazione l’esistenza di un elemento ulteriore rispetto alla tenuità dell’offesa
(comune alle due norme considerate) e come tale specializzante rispetto al “fatto
lieve” di cui all’art. 73, comma 5. Elemento consistente nell’essere il delitto
determinato da motivi di lucro e nell’avere l’agente perseguito, o effettivamente
conseguito, un lucro di speciale tenuità”.
Tale prospettiva ermeneutica si discosta significativamente dalla giurisprudenza
innanzi esaminata, giacché fonda la proposta soluzione positiva principalmente sulla
trasformazione dell’attenuante speciale prevista dal D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309,
art. 73, comma 5, in fattispecie autonoma di reato. La presenza nell’attenuante di cui
all’art. 62 c.p., n. 4, dell’elemento specializzante relativo alla “speciale tenuità” del
lucro e del danno, diviene pertanto argomento secondario e rafforzativo di quello
principale.
Plurime decisioni hanno totalmente condiviso il filone interpretativo da ultimo
descritto (tra le altre, Sez. 6, n. 24533 del 15/03/2017, Petrosino, n. m.; Sez. 6, n.
36868 del 23/06/2017, Taboui, Rv. 270671; Sez. 6, n. 11363 del 31/01/2018, Ben
Mohamed, Rv. 272519; Sez. 4, n. 5031 del 15/01/2019, Caruso, Rv. 275265; Sez. 4,
n. 38381 del 21/05/2019, Bajinka Ebrima, Rv. 277186; Sez. 2, n. 51174 del
01/10/2019, Lascari, n. m.).

Le Sezioni Unite ritengono condivisibile la soluzione prospettata dall’indirizzo
giurisprudenziale più recente, secondo il quale la circostanza attenuante del
conseguimento di un lucro di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4 è applicabile
ai reati in materia di stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso
connotato anch’esso da speciale tenuità, ed è compatibile con l’autonoma fattispecie
del fatto di lieve entità, prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Sull’applicabilità dell’attenuante in esame anche ai reati in materia di stupefacenti
convergono dati testuali, teleologici e sistematici.

Prima dell’entrata in vigore della L. 7 febbraio 1990, n. 19, l’attenuante comune di
cui all’art. 62 c.p., n. 4, era prevista nel caso di speciale tenuità del danno cagionato
alla persona offesa ed era applicabile solo ai delitti contro il patrimonio o che
comunque offendono il patrimonio.
La novella testè citata ha aggiunto nella medesima disposizione un’ulteriore
diminuente, applicabile a tutti i delitti determinati da motivi di lucro alla duplice
condizione che sia il lucro perseguito od effettivamente conseguito dal reo, sia
l’evento dannoso o pericoloso siano caratterizzati da speciale tenuità.
La Relazione illustrativa del disegno di legge dal quale origina il descritto intervento
normativo, presentato dal Ministro della Giustizia alla Camera dei Deputati il 19
ottobre 1987 e rubricato “Modifiche in tema di circostanze attenuanti, sospensione
condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti”, espressamente
riporta la nuova attenuante alla opportunità, per motivi di equità, di riformulare l’art.
62 c.p., n. 4, in modo simmetrico all’art. 61 c.p., n. 7, che già prevedeva l’aggravante
del danno patrimoniale di rilevante gravità non solo per i reati contro il patrimonio,
ma anche per quelli determinati da motivi di lucro. Nel proporre tale allineamento, il
Governo segnalava che “peraltro, attribuendosi rilievo ai motivi del reato, non è
parso congruo eccepire, come delimitazione oggettiva dell’operatività dell’attenuante,
il parametro del danno patrimoniale di speciale tenuità arrecato alla persona offesa,
che ne avrebbe contenuto la portata in margini eccessivamente ristretti e
generalmente riferibili ai soli delitti che tutelano, esclusivamente o in via cumulativa,
il patrimonio”, e fosse invece opportuno “prevedere che il danno (o il pericolo) di
speciale tenuità che viene in rilievo non è quello patrimoniale bensì quello criminale”,
sicché, “così delineata, la diminuente viene a costituire un valido elemento a
disposizione del giudice per una più equa correlazione della pena alla effettiva
lesività della condotta criminosa”.
In definitiva, per consentire la piena attuazione del principio di proporzionalità della
pena, alla struttura dell’attenuante di nuovo conio – riferita tanto al perseguimento o
all’effettivo conseguimento di un lucro di speciale tenuità che alla produzione di un
danno criminale (e non solo patrimoniale) di pari intensità e grado – non si
accompagna – a differenza di quella preesistente, relativa ai soli delitti contro il
patrimonio o che comunque offendono il patrimonio – alcuna selezione di categorie di
reati operata in via astratta in relazione al bene giuridico protetto e senza
considerare le specifiche caratteristiche del caso concreto.

L’inquadramento sistematico della disposizione in esame offre ulteriori conferme
all’analisi testuale e teleologica.
Che ogni violazione della disciplina penale degli stupefacenti – cagionando la lesione
o la messa in pericolo di beni giuridici di primaria importanza e costituzionalmente
protetti, quali la salute della persona e la sicurezza pubblica – comporti
necessariamente, per sua natura, un evento dannoso o pericoloso, diretto o
mediato, di cui sia impossibile la qualificazione in termini di tenuità è, prim’ancora
che affermazione indimostrata, un assunto smentito da plurimi indici normativi.
Viene in primo luogo in rilievo il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 il quale
prevede che una condotta punibile ai sensi dello stesso articolo possa connotarsi
quale fatto “di lieve entità”. Infatti, ove la semplice individuazione del coacervo dei
beni giuridici protetti dalle disposizioni penali in tema di stupefacenti fosse
sufficiente, sempre e comunque, ad escludere la lieve entità dell’offesa in concreto
ad essi arrecata nel caso di specie, quell’ipotesi delittuosa non sarebbe mai
suscettibile di integrazione. L’esistenza di quella fattispecie dimostra, al contrario –
tanto sulla base della pertinente disciplina giuridica che della quotidiana esperienza
giudiziaria – che anche per i delitti in materia di stupefacenti è senz’altro configurabile
una lesione o messa in pericolo dei beni giuridici protetti caratterizzata da lieve
entità.

Questa conclusione trova ulteriori riscontri sistematici nell’art. 131-bis c.p., che
prevede la “non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per
l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, comma 1, l’offesa è
di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
Infatti, l’istituto della non punibilità per particolare tenuità dell’offesa non connette alla
mera individuazione del bene giuridico protetto alcun rilievo ai fini del giudizio
sull’utilità e necessità della pena. Al contrario, il legislatore ha affidato la selezione
delle fattispecie alle quali è applicabile quella causa di non punibilità alla
considerazione della gravità del reato, desunta dalla pena edittale, e della non
abitualità del comportamento; mentre nessuno degli altri indicatori idonei ad
escludere la particolare tenuità dell’offesa elencati al comma 2 dello stesso art. 131-
bis ha diretto e generale riguardo al tipo di bene giuridico protetto.
Ebbene, poiché la fattispecie delittuosa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73,
comma 5, rientra nei limiti di applicabilità dell’art. 131-bis c.p., appare evidente che il
legislatore ha ritenuto la violazione di quel precetto penale suscettibile di produrre
un’offesa ai beni giuridici tutelati qualificabile in termini di particolare tenuità,
andando essa, in tal caso, esente da pena. Conseguentemente, risulta smentito,
sotto ulteriore e autonomo profilo, l’assunto – posto a base dell’orientamento che
nega l’applicabilità ai reati in materia di stupefacenti dell’attenuante del lucro e
dell’offesa di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4, – secondo cui ogni violazione
della disciplina penale degli stupefacenti comporti necessariamente un evento
dannoso o pericoloso di cui sia impossibile la qualificazione in termini di tenuità.

L’irrilevanza dell’astratta valutazione del tipo di bene protetto ai fini del
riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto consente
tuttavia ulteriori, e più generali, valutazioni.
Le Sezioni Unite hanno più volte richiamato la costituzionalizzazione del principio di
offensività, operata attraverso la lettura integrata di diverse norme della legge
fondamentale, ribadendo che l’interprete delle norme penali ha l’obbligo di adattarle
alla Costituzione in via ermeneutica, rendendole applicabili solo ai fatti
concretamente, e apprezzabilmente, offensivi (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013,
Sciuscio, Rv. 255974; Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266589).
In tale prospettiva, “i beni giuridici e la loro offesa costituiscono la chiave per una
interpretazione teleologica dei fatti che renda visibile la specifica offesa già
contenuta nel tipo legale del fatto” (Sez. U, Tushaj, cit.), sicché tipicità e offensività
convergono sul piano ermeneutico, dovendosi considerare fuori del tipo di fatto
incriminato i comportamenti non effettivamente offensivi dell’interesse protetto.
Sulla scia di tali rilievi, le Sezioni Unite hanno altresì affermato che ai fini della
configurabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità dell’offesa – pure
per sua natura riferita a fatti certamente offensivi e perciò pienamente riconducibili
alla fattispecie legale – “non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica”, ma
“è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore” (Sez. U., Tushaj,
cit.).
In definitiva, mentre l’esistenza nel caso concreto di un’effettiva, specifica offesa del
bene giuridico protetto – qualunque esso sia – rappresenta condizione indefettibile
per l’applicazione della fattispecie astratta, l’intensità e il grado di quell’offesa
costituiscono il presupposto del giudizio di utilità e necessità della relativa pena, a
prescindere dalla natura dell’interesse tutelato.
In entrambi i casi, dunque, seppure a fini diversi, assume decisivo rilievo la
connotazione storica del fatto e l’accertamento, nel caso concreto, dell’esistenza, o
meno, di un’apprezzabile offesa del bene giuridico protetto, che sia eventualmente
caratterizzata da particolare tenuità.
Pertanto, non si dà tipologia di reato in cui sia inibita ontologicamente l’applicazione
dell’istituto di cui al citato art. 131-bis (Sez. U., Tushaj, cit.).
Di più, il legislatore ha espressamente, e significativamente, disposto che tale istituto
trova applicazione anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o
del pericolo come circostanza attenuante (art. 131-bis c.p., comma 3). Dunque,
anche in presenza di un danno di speciale tenuità, l’applicazione dell’art. 131-bis è
pur sempre legata anche alla considerazione degli ulteriori indicatori a quello scopo
rilevanti, afferenti alla condotta ed alla colpevolezza. E, per converso, quando ha
voluto evitare che la graduazione del reato espressa in una circostanza aggravante
ragguagliata all’entità della lesione sia travolta da elementi di giudizio di segno
opposto afferenti agli altri indicatori previsti dalla legge, il legislatore lo ha fatto
esplicitamente: l’offesa non può essere ritenuta connotata da particolare tenuità
quando la condotta ha cagionato, quale conseguenza non voluta, la morte o lesioni
gravissime (art. 131-bis c.p., comma 2).
Come rileva conclusivamente la sentenza Tushaj, risulta così accolta “in tutto e per
tutto” la concezione gradualistica del reato nitidamente scolpita nell’insegnamento
della risalente, ma sempre autorevole dottrina secondo cui: “nella ricerca sul grado
si esamina un fatto nelle eccezionali accidentalità del suo concreto modo di essere e
nella individualità criminosa nella quale si estrinseca”; e, nel rispetto della legge, tale
giudizio non può che essere rimesso al magistrato “perché l’uomo deve essere
condannato secondo la verità e non secondo le presunzioni”.
Da una parte, quindi, la tenuità del danno o del pericolo cagionati al bene giuridico
protetto può – e deve – essere considerata – se, come nell’art. 62 c.p., n. 4,
normativamente previsto – sia per attenuare la pena, che, eventualmente, ai sensi ed
alle condizioni dell’art. 131-bis c.p., per escluderne la necessità. Dall’altra, la relativa
verifica dovrà avere ad oggetto, in entrambi i casi, non già l’astratta considerazione
della natura giuridica del bene protetto, bensì il grado di effettiva offensività del fatto
nel caso concreto.
Trova così conferma, in termini rinnovati e più estesi, la giurisprudenza di legittimità
secondo la quale, a seguito della nuova formulazione dell’art. 62 c.p., n. 4, recata
dalla L. 7 febbraio 1990, n. 19, art. 2, la circostanza attenuante del danno di speciale
tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro,
indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, purché la
speciale tenuità riguardi congiuntamente l’entità del lucro (conseguendo o
conseguito) e dell’evento dannoso o pericoloso (ex multis, con riferimento a diverse
fattispecie delittuose e categorie di delitti, Sez. 6, n. 7905 del 20/05/1997, dep. 1998,
Maniscale, Rv. 211378; Sez. 5, n. 43342 del 19/10/2005, Sorbo, Rv. 232851; Sez. 3,
n. 2685 del 12/10/2011, Konteye, Rv. 251888; Sez. 5, n. 26807 del 19/03/2013,
Ngom, Rv. 257545; Sez. 5, n. 44829 del 12/06/2014, Fabbri, Rv. 262193; Sez. 5, n.
36790 del 22/06/2015, Palermo, Rv. 264745; Sez. 5, n. 27874 del 27/01/2016,
Rapicano, Rv. 267357).
Come l’offensività della condotta costituisce un presupposto generale per la
rilevanza penale del fatto qualunque sia il reato ascritto all’imputato, così la
circostanza attenuante in esame attraversa tutti i reati commessi a scopo di lucro.
sicché, una volta verificato che il delitto è stato commesso a fini di lucro, il giudice di
merito deve valutare, in concreto, la ricorrenza, o meno, della speciale tenuità riferita
sia al lucro perseguito o conseguito dall’autore del reato, sia all’evento dannoso o
pericoloso causato nel caso di specie.
Teorizzare in via generale la non applicabilità dell’attenuante a categorie di reati
individuate in ragione dell’astratta riferibilità a un dato bene giuridico, affermando
che, anche ad ipotizzare la speciale tenuità del lucro conseguibile dall’imputato, “non
sarebbe comunque mai soddisfatta la seconda condizione prevista dall’art. 62 c.p.,
n. 4, e cioè la speciale tenuità del danno o del pericolo conseguente all’azione”,
comporta null’altro che la generalizzata esclusione – sempre e comunque –
dell’applicabilità dell’attenuante in esame, sulla base di considerazioni sganciate
dalla concreta connotazione storica del fatto e in contrasto con la rilevata finalità del
legislatore di estendere l’applicabilità dell’attenuante a tutti i delitti determinati da
motivi di lucro. Potendo in concreto verificarsi che l’evento dannoso o pericoloso
conseguente a un delitto commesso per motivi di lucro – indipendentemente dalla
natura giuridica del bene protetto, e quindi anche, come del resto normativamente
previsto, in materia di stupefacenti presenti una gradualità non necessariamente
superiore alla soglia della “speciale tenuità”, tanto da essere generalmente
ipotizzabile, in disparte dell’oggetto giuridico tutelato, l’esenzione da pena
conseguente, ex art. 131-bis c.p., alla particolare tenuità del fatto.
Resta peraltro fermo, in ossequio al tenore letterale dell’art. 62 c.p., n. 4, che
l’attenuante in parola è applicabile solo ai delitti, essendo essa incompatibile con le
fattispecie di natura contravvenzionale (Sez. 3, n. 3199 del 02/10/2014, dep. 2015,
Verbicaro, Rv. 262005; Sez. 3, n. 23872 del 08/04/2009, Santoro, Rv. 244081).

Va data risposta affermativa anche al secondo quesito oggetto di contrasto,
relativo alla compatibilità della circostanza attenuante in esame con l’autonoma
fattispecie del fatto di lieve entità prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma
5.
Non può essere infatti condiviso l’argomento secondo il quale il riconoscimento
dell’attenuante del lucro e dell’offesa di speciale tenuità prevista all’art. 62 c.p., n. 4,
seconda parte, comporterebbe, in caso di condanna per il delitto di cui al D.P.R. n.
309 del 1990, art. 73, comma 5, la duplice valutazione del medesimo elemento e,
conseguentemente, un’ingiustificata duplicazione di benefici sanzionatori.

Inizialmente catalogato dalla giurisprudenza di legittimità come circostanza
attenuante (Sez. U, n. 9148 del 31/5/1991, Parisi, Rv. 187930; Sez. U, n. 35737 del
24/06/2010, Rico, Rv. 247910), l’istituto previsto dal testo originario del D.P.R. n. 309
del 1990, art. 73, comma 5, è stato trasformato in autonoma fattispecie di reato dal
D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modifiche dalla L. 21 febbraio 2014, n.
10 (in questo senso, tra le altre, da ultimo, Sez. 6, n. 9892 del 28/01/2014, Bassetti,
Rv. 259352; Sez. 4, n. 36078 del 06/07/2017, Dubini, Rv. 270806; Sez. 7, n. 22398
del 26/01/2018, Allali, Rv. 272997).
Tale novella rispondeva peraltro all’esigenza, da più parti segnalata, di riconoscere,
a fronte del severo regime sanzionatorio previsto dalle altre norme incriminatrici
contenute nel citato art. 73, diverse tipologie di condotte caratterizzate da specifiche
e più adeguate previsioni edittali in funzione della loro ridotta offensività, nella
consapevolezza del carattere variegato e mutevole del corrispondente fenomeno
criminale e nella prospettiva di rendere il sistema repressivo in materia di
stupefacenti maggiormente rispondente al principio costituzionale di proporzionalità
della pena, evitando automatismi decisori nell’adeguamento della pena al fatto (vedi,
Corte Cost., sentenza n. 251 del 15/11/2012, che prima del descritto intervento
normativo aveva dichiarato incostituzionale l’art. 69 c.p., comma 4, nella parte in cui
prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309
del 1990, art. 73, comma 5, sulla recidiva reiterata descritta all’art. 99 c.p., comma
4).

Tenuto conto del contesto normativo appena descritto, le Sezioni Unite ritengono
in primo luogo fondato il rilievo – espresso nelle argomentazioni più recentemente
portate a sostegno dell’orientamento giurisprudenziale che ammette la compatibilità
dell’attenuante del lucro e dell’offesa di speciale tenuità coll’ipotesi delittuosa del
fatto di lieve entità – secondo il quale la trasformazione dell’attenuante speciale
originariamente prevista al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, in ipotesi di
reato autonomo, come tale dotata di specifica cornice edittale, fa sì che l’attenuante
comune in esame sia ormai destinata ad incidere sull’ordinario trattamento punitivo
riservato a quelle condotte, sicché in tal caso non si verifica, come paventato
dall’opposto indirizzo interpretativo, alcun cumulo di benefici sanzionatori tra loro
concorrenti.

Tale conclusione appare del resto perfettamente in linea con la ratio dell’operata
trasformazione normativa, espressamente volta a dare consistenza ai principi
costituzionali di proporzionalità e adeguatezza della pena in materia di stupefacenti,
conformando il sistema penale di settore alla multiforme varietà delle relative
condotte e del loro effettivo disvalore ed emancipando il giudice, in tale ambito, da
rigidi meccanismi di determinazione del trattamento sanzionatorio. L’accoglimento
della opposta tesi, preclusiva dell’applicazione dell’attenuante, comporterebbe infatti
un rigido limite nella modulazione della pena al fatto storico, e comporterebbe che,
anche in presenza di un lucro e di un’offesa di speciale tenuità, l’imputato non possa
beneficiare di un eventuale e specificamente motivato – giudizio di bilanciamento con
le aggravanti che fossero state contestate in relazione alla fattispecie di cui al citato
art. 73, comma 5.

A ciò deve aggiungersi che ove il legislatore ha voluto affermare l’incompatibilità
di una specifica attenuante con la nuova fattispecie delittuosa lo ha fatto con
espressa disposizione.
In sede di conversione del D.L. n. 146 del 2013, la L. n. 10 del 2014 ha infatti
modificato l’art. 19, comma 5, delle disposizioni sul processo penale a carico di
imputati minorenni, di cui al D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, stabilendo che la
diminuente della minore età non opera per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990,
art. 73, comma 5, ai fini della determinazione del limite di pena rilevante in ordine
all’applicazione delle misure cautelari diverse dalla custodia in carcere nei confronti
degli imputati minorenni. Al contrario, al momento della trasformazione
dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5 in fattispecie autonoma di reato, non è
stata espressamente esclusa la compatibilità con la nuova ipotesi delittuosa
dell’attenuante comune di cui all’art. 62 c.p., n. 4, risultando anche per questa via
confermata, in applicazione della regola ermeneutica condensata nel brocardo “ubi
lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, la preclusione dell’interpretazione restrittiva.

Che il riconoscimento dell’attenuante del lucro e dell’offesa di speciale tenuità
comporti, in caso di condanna per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73,
comma 5, la duplice valutazione del medesimo elemento costituisce del resto
assunto smentito dalla diversità dei presupposti necessari per l’integrazione del fatto
di lieve entità rispetto a quelli conformativi dell’attenuante comune in esame.
Infatti, mentre la valutazione della “lieve entità” del fatto ai sensi del D.P.R. n. 309 del
1990, art. 73, comma 5, è relativa alla condotta – avuto riguardo ai mezzi, alla
modalità e alle circostanze dell’azione – e all’oggetto materiale del reato – in relazione
alla qualità e quantità delle sostanze -, la verifica della “speciale tenuità” rilevante
per il riconoscimento dell’attenuante di cui alla seconda parte dell’art. 62 c.p., n. 4,
attiene ai motivi a delinquere (lucro perseguito), al profitto (lucro conseguito) e
all’evento (dannoso o pericoloso) del reato.
Si tratta quindi, contrariamente all’asserzione posta a fondamento della tesi
restrittiva, di valutazioni focalizzate su elementi tra loro ontologicamente distinti,
ancorchè in astratto suscettibili di convergere nell’accertamento del complessivo
disvalore del fatto storico.
Si tratta, inoltre, in ogni caso, di valutazioni di diversa natura e diverso grado: la
prima, attinente alla “lieve entità del fatto”, è unitaria e complessiva, non scandita da
un ordine gerarchico degli elementi allo scopo rilevanti, per ciascuno dei quali è
possibile un giudizio di parziale o totale compensazione (così, da ultimo, con
riferimento alla nuova fattispecie autonoma di reato, Sez. U, n. 51063 del
27/09/2018, Murolo, Rv. 274076); la seconda, relativa alla “speciale tenuità” del lucro
e dell’offesa, indica due temi specifici e distinti, suscettibili di opposte conclusioni nel
medesimo caso di specie e ancorati ad un parametro di maggiore intensità e
pregnanza rispetto a quello rilevante per l’integrazione della fattispecie “lieve”.
sicché, anche sotto questo profilo, trova conferma l’indirizzo interpretativo secondo
cui l’attenuante “richiede per la sua applicazione l’esistenza di un elemento ulteriore
rispetto alla tenuità dell’offesa (comune alle due norme considerate) e come tale
specializzante rispetto al “fatto lieve” di cui all’art. 73, comma 5. Elemento
consistente nell’essere il delitto determinato da motivi di lucro e nell’avere l’agente
perseguito, o effettivamente conseguito, un lucro di speciale tenuità”.

Esclusa l’incompatibilità logica e normativa tra la fattispecie di cui al D.P.R. n.
309 del 1990, art. 73, comma 5, e l’attenuante del lucro/offesa di speciale tenuità, il
riconoscimento di tale attenuante nel caso concreto resta tuttavia affidato ad una
puntuale ed esaustiva verifica, della quale il giudice di merito deve offrire adeguata
giustificazione, che dia consistenza sia all’entità del lucro perseguito o effettivamente
conseguito dall’agente, che alla gravità dell’evento dannoso o pericoloso prodotto
dalla condotta considerata.
Dovendosi tale ultimo elemento riferire alla nozione di evento in senso giuridico,
esso è infatti idoneo a comprendere qualsiasi offesa penalmente rilevante, purché
essa, come concretamente accertata, si riveli di tale particolare modestia da risultare
“proporzionata” alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l’autore del fatto si
proponeva di conseguire o ha in effetti conseguito.

In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto: “La circostanza
attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità è applicabile,
indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni
tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, compresi i delitti in materia di
stupefacenti, ed è compatibile con la fattispecie di lieve entità prevista dal
D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5″.

Alla luce delle precedenti considerazioni, si rende pertanto necessario
l’annullamento della sentenza impugnata, che ha negato al ricorrente il
riconoscimento dell’invocata attenuante sulla base di una predicata, ma invero non
esistente, generale incompatibilità con la fattispecie di lieve entità prevista dal D.P.R.
n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, ed in assenza di qualsivoglia verifica in ordine
alla eventuale ricorrenza, nel caso concreto, di un lucro e di un evento dannoso o
pericoloso di speciale tenuità, con specifico riferimento ai connotati del fatto
accertato, relativo alla cessione di 2,2 grammi di hashish per un corrispettivo di 10
Euro.
L’annullamento va disposto con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di
Torino affinché, in coerente applicazione del principio di diritto sopra enunciato, e
ferme le statuizioni non oggetto di ricorso, ormai definitive, proceda a nuovo esame
sul punto e sui profili critici segnalati, colmando – nella piena autonomia dei relativi
apprezzamenti di merito – le rilevate lacune della motivazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione
della Corte di appello di Torino.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020