Ordinanza, Suprema Corte Di Cassazione, Sezione VI-1 Civile, 15 luglio – 14 settembre 2020, N. 19077, mantenimento figlio maggiorenne – contratto a tempo determinato
La vicenda sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione traeva origine dalla richiesta di revoca dell’assegno di mantenimento versato dal padre alla figlia maggiorenne, la quale intratteneva rapporti di lavoro a tempo determinato. Valorizzando l’istruttoria, i giudici di legittimità stabilivano che i contratti di lavoro a tempo determinato sono inidonei a garantire la stabilità e la sicurezza economica. In questi casi, pertanto, è necessario il sostegno economico dei genitori al fine di garantire al figlio un tenore di vita pari a quello precedente alla separazione.
Suprema Corte Di Cassazione, Sezione VI-1 Civile, 15 luglio – 14 settembre 2020, N. 19077:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7126-2019 proposto da: E.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR
presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO
PERRELLA;
ricorrente –
contro
V.L., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE FOLLARO;
controricorrente –
avverso la sentenza n. 5095/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2020 dal
Consigliere Relatore Dott. PARISE CLOTILDE.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza n. 1035/2015 il Tribunale di Cassino rigettava la domanda di riconoscimento
dell’assegno divorzile proposta da V.L. nei confronti di E.N. e riduceva a Euro180 mensili il
contributo di mantenimento dovuto da quest’ultimo a titolo di concorso al mantenimento della
figlia A., nata nel 1993.
Con sentenza n. 5095/2018 depositata il 20-7-2018 la Corte d’appello di Roma, in parziale
riforma della citata sentenza del Tribunale di Cassino, ha rideterminato il contributo paterno per la
figlia in Euro 300, respingendo l’appello incidentale proposto dall’ E. e compensando le spese di
lite.
Avverso la citata sentenza E.N. propone ricorso affidato a tre motivi, a cui resiste con
controricorso V.L.. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 345 c.p.c., assumendo la novità della domanda proposta in
appello dalla V. relativa al contributo di mantenimento della figlia, di cui aveva chiesto l’aumento
(Euro 400 in luogo di Euro 180 stabiliti nella sentenza di primo grado), poichè non era stato
allegato alcun riferimento a fatti sopravvenuti, o alla svalutazione monetaria, oppure alle
accresciute esigenze della figlia.
4.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la
violazione o falsa applicazione dell’art. 147 c.p.c., rilevando che dall’istruttoria espletata in primo
grado e dalle stesse dichiarazioni della figlia A. era emerso che la stessa si era avviata al lavoro,
seppure con contratti a termine e a tempo parziale, ed aveva pertanto raggiunto l’autosufficienza
economica. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale non ha fatto applicazione dei principi
affermati da questa Corte in tema di obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni.
4.2. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso
esame di fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, omessa ammissione
delle prove richieste e conseguente omissione di motivazione, nonchè omessa pronuncia sulle
domande avanzate in relazione alla posizione del figlio M.. Si duole della mancata ammissione
della prova per testi, sui capitoli che riporta nel ricorso, e delle richieste istruttorie finalizzate a
dimostrare la reale condizione economica della V. e la convivenza della stessa con altro uomo,
nonchè della mancata audizione del figlio M. su detta ultima circostanza. Lamenta altresì che la
Corte d’appello non abbia ordinato l’esibizione di tutte le buste paga e delle dichiarazioni dei
redditi della figlia A., ai fini dell’accertamento dell’entità del reddito lavorativo effettivo della
stessa, non potendo reputarsi sufficiente quanto risultante dalle quattro buste paga depositate,
relative ai mesi di dicembre 2017 e di gennaio, febbraio ed aprile 2018.
Il primo motivo è infondato.
5.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte (tra le tante Cass. n. 25055/2017 e Cass. n.
5883/2018), peraltro richiamato anche in ricorso (pag. n. 15), in tema di separazione personale tra
coniugi e di divorzio il criterio fondamentale cui devono ispirarsi i provvedimenti relativi ai figli è
rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale dei figli stessi (previsto in passato
dall’art. 155 c.c. e ora dall’art. 337 ter c.c.), con la conseguenza che il giudice non è vincolato alle
richieste avanzate ed agli accordi intercorsi tra le parti e può quindi pronunciarsi anche ultra
petitum. Il suddetto fondamentale criterio ispiratore trova applicazione anche nell’ipotesi in cui i
figli siano maggiorenni (così nella fattispecie scrutinata da Cass. n. 5883/2018), non essendovi
ragione per differenziare la posizione di questi ultimi da quella dei figli minori, ricorrendo in
entrambe le ipotesi la stessa esigenza di tutela, connotata, per i figli maggiorenni, dal concorrente
ed accertando requisito della mancanza di autosufficienza economica, che è, invece, in re ipsa se il
figlio è minore di età. Alla stregua di detti principi, non si pone questione di ius novorum, neppure
con riguardo al giudizio di appello e, peraltro, nel caso di specie, la Corte territoriale ha valorizzato
circostanze riconducibili temporalmente a periodo successivo all’anno 2015 (pag. n. 3 sentenza
impugnata), ossia a periodo successivo a quello in cui è stata emessa la sentenza del Tribunale, e,
quindi, fatti sopravvenuti.
Il secondo motivo è inammissibile.
6.1. Questa Corte ha ripetutamente chiarito che il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie
astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema
interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge
e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di
legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi –
violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie
normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria
ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non
anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n.
24054/2017).
6.2. Nel caso di specie, il ricorrente, nel dolersi della violazione dell’art. 147 c.c., in riferimento
all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., censura, in realtà, la ricostruzione fattuale. Infatti la violazione di
legge denunciata viene prospettata dal ricorrente sulla base dell’assunto, imprescindibile, che sia
provata l’autosufficienza economica della figlia maggiorenne ed è, dunque, mediata dalla
valutazione delle risultanze processuali, presupponendo una diversa ricostruzione, in fatto, della
fattispecie concreta.
La Corte territoriale, con adeguata motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), ha esaminato i fatti
allegati dal padre a sostegno della richiesta di revoca del contributo di mantenimento in favore
della figlia ed ha ritenuto, in base alle risultanze istruttorie (buste paga, residenza anagrafica della
figlia presso la casa materna, natura e compenso del rapporto lavorativo documentato e
cessazione di quello precedente svolto in Svizzera), che la ragazza non avesse raggiunto in pieno
l’autonomia economica, rimarcando il suo diritto a mantenere un tenore di vita corrispondente
alle risorse economiche della famiglia e, per quanto possibile, analogo a quello goduto in
precedenza.
Il convincimento dei Giudici di merito è stato, quindi, fondato su un accertamento di fatto
insindacabile in sede di legittimità, al di fuori delle ipotesi, non denunciate con il secondo motivo,
di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la relativa indagine è stata condotta secondo i criteri e
parametri costantemente indicati da questa Corte (tra le tante Cass. n. 17089/2013),
confrontando le situazioni patrimoniali e reddituali di ciascuno dei genitori.
Anche il terzo motivo è inammissibile.
6.1. Le doglianze, formulate sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si risolvono
in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Corte territoriale,
censurando il ricorrente, inammissibilmente, la scelta delle risultanze idonee a sorreggere la
motivazione, che è invece apprezzamento di fatto devoluto al Giudice di merito e non sindacabile
in sede di legittimità, ove, come nella specie, siano adeguatamente indicate le ragioni del
convincimento espresso, senza che vi sia necessità di discutere ogni singolo elemento e di
confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e
circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la
decisione adottata (Cass. n. 16056/2016).
6.2. Neppure ricorre il vizio di omesso esame di fatti decisivi, atteso che, secondo il costante
indirizzo di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora i fatti storici,
rilevanti in causa (nella specie la condizione lavorativa della figlia A. e la situazione economica
della madre), siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non
abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. n. 27415 del 2018). Peraltro il
ricorrente si duole della mancata ammissione dei mezzi istruttori anche in relazione al contributo
di mantenimento del figlio M. (pag. n. 21 ricorso), che non è stato riconosciuto dai giudici di
merito.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore del difensore della
controricorrente, dichiaratosi antistatatario.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art.
13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle
parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.900, di cui Euro 100 per esborsi, oltre spese generali
ed accessori come per legge, con distrazione in favore del difensore della controricorrente,
dichiaratosi antistatario.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello
stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti
e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020.