Sentenza, Corte Suprema di Cassazione, Sezione IV Penale, 1 ottobre 2020, n. 27241, art. 189, VII co., C. d. S. e 131-bis c.p.:

I giudici di legittimità, rammentando la sentenza n. 13681/2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno esteso l’applicabilità dell’art. 131 – bis c.p. al reato di omissione di assistenza ex art. 189, VII co., del Codice della Strada, dovendo il giudice valutare in concreto il fatto di reato in rapporto all’esigenza di punire il colpevole.

Corte Suprema di Cassazione, Sezione IV Penale, 1 ottobre 2020, n. 27241:

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –
Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –
Dott. CENCI Daniele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R.E., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/02/2019 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. PERELLI
Simone, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata, limitatamente al 2 motivo del ricorso.
Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Bologna, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente
R.E., con sentenza del 28/2/2019 confermava la sentenza emessa in data 1/2/2018
dal Tribunale di Tribunale di Ferrara, in composizione monocratica, che, all’esito di
giudizio ordinario, lo aveva condannato alla pena di dieci mesi di reclusione, con la
sospensione condizionale e la non menzione della stessa, con sospensione della
patente di guida per un anno per il delitto p. e p. dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 189,
commi 1 e 7 (C.d.S.) perché, percorrendo con la propria autovettura Fiat Punto tg.
(OMISSIS) Viale (OMISSIS) con direzione Via (OMISSIS), dopo il verificarsi di un
incidente stradale comunque ricollegabile al suo comportamento in quanto,
svoltando – a sinistra collideva con il velocipede condotto da O.L.A. (il quale a
seguito della caduta riportava “poli-contusioni” giudicate guaribili in giorni cinque),
che percorreva l’attraversamento ciclopedonale sulla medesima intersezione tra Via
(OMISSIS) e Viale (OMISSIS), dopo essersi fermato si allontanava velocemente,
non ottemperando all’obbligo di prestare assistenza alla persona ferita.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del
proprio difensore di fiducia, il R., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att.
c.p.p., comma 1.
Con un primo motivo si deduce errata applicazione dell’art. 189 C.d.S., comma 7 e
vizio motivazionale assumendosi che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata
con il proposto motivo di appello circa la mancanza di un’effettiva necessità di
assistenza della persona offesa.
Il ricorrente richiama in proposito, oltre che giurisprudenza di merito, le sentenze
39088/2016 e 14610/2014 di questa Corte di legittimità che costituirebbero, a suo
dire, orientamento maggioritario che esclude la sussistenza del necessario bisogno
in caso di assenza di lesioni ovvero qualora altri vi abbiano già provveduto.
Il ricorrente evidenzia in proposito come nel caso di specie, la persona offesa sia
stata immediatamente circondata da connazionali i quali ne impedivano il soccorso.
Ciò si evincerebbe sia dalla testimonianza resa dallo stesso R. nel corso del
procedimento di primo grado (il richiamo è al verbale udienza 1/02/2018 Tribunale di
Ferrara), sia soprattutto dalla comunicazione di incidente stradale prot. 0106/15
redatta dal Corpo Polizia Municipale Terre Estensi (di cui alla comunicazione di
incidente stradale prot. 0106/15). Da tale comunicazione emergerebbe chiaramente
come all’arrivo degli operanti fosse già presente un’ambulanza al cui personale
veniva impedito, da parte di numerose persone di origine africana, di soccorrere
l’infortunato.
Dagli atti, ed in particolare dalla predetta comunicazione di incidente stradale,
emergerebbe come tali persone, probabilmente nell’ottica di un possibile
risarcimento, fossero più interessate a che venissero effettuati i rilievi stradali
piuttosto che il soccorso medico per cui era giunta l’ambulanza.
La mancanza dell’effettivo bisogno di assistenza sarebbe ulteriormente comprovata
dal certificato medico del Pronto Soccorso prodotto dalla difesa durante l’udienza del
1/12/2018.
La stessa sentenza della Corte d’Appello di Bologna, del resto, richiamava tale
certificato, nella parte in cui viene dato atto di una “piccola ferita sanguinante” per la
quale veniva formulata una prognosi di soli 5 giorni (v.si pag. 5 sentenza).
La Corte d’Appello tuttavia ometteva di considerare come la persona offesa non sia
stata sottoposta ad alcun trattamento specifico per la cura di tale piccola ferita,
considerata pertanto di lievissima entità anche dagli operatori del Pronto Soccorso.
Non essendosi resa necessaria alcuna cura, pertanto, apparirebbe poco plausibile la
tesi secondo cui l’investito si trovasse in una situazione effettiva di bisogno di
assistenza e soprattutto che l’imputato potesse rendersene conto.
Non bisogna dimenticare infatti – prosegue il ricorso – che la piccolissima ferita alla
tibia (di cui al certificato pronto soccorso) era evidentemente occultata dai pantaloni
che la parte offesa naturalmente indossava al momento dell’incidente verificatosi nel
mese di (OMISSIS).
Alla luce di tali osservazioni appare evidente per il ricorrente che nella situazione in
esame non possa dirsi sussistente uno degli elementi costitutivi del reato contestato.
Ma la fattispecie di cui all’art. 189 C.d.S., comma 7, in relazione al caso in oggetto,
non appare integrata, secondo la tesi proposta in ricorso, nemmeno sotto il profilo
dell’elemento soggettivo.
Viene ricordato come lo stesso Pubblico Ministero, nel primo grado di giudizio,
avesse chiesto l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non costituiva reato per
mancanza di tale elemento soggettivo.
Ciò in quanto il reato di omissione di assistenza è punibile esclusivamente a titolo di
dolo, nel cui oggetto deve rientrare dunque anche il bisogno di assistenza delle
persone offese (il richiamo è al precedente di questa Sez. 4 n. 14610/2014).
Secondo la Corte d’Appello di Bologna l’ipotesi che l’imputato non si sia reso conto
che la persona offesa necessitasse di assistenza non è credibile, senza tuttavia che
tale assunto venisse supportato da alcuna motivazione (v.si pag. 5 sentenza).
Uno degli elementi su cui la Corte d’Appello si basava al fine di affermare la penale
responsabilità dell’odierno ricorrente consisteva nel fatto che la vettura del R.
presentava un’ammaccatura riconducibile al sinistro. Ma apparirebbe assolutamente
illogico il ragionamento della Corte d’Appello (v.si pag. 4 sentenza), secondo la quale
l’ammaccatura riportata dalla vettura del ricorrente sarebbe da imputare ad un
contatto diretto con la persona offesa e che in conseguenza di ciò quest’ultima abbia
riportato solamente una piccola ferita ad una gamba.
Risulterebbe certamente maggiormente verosimile che il piccolo danno
all’autovettura sia stato causato dall’impatto con la bicicletta dell’investito.
Tra l’altro, dalla sopramenzionata comunicazione di incidente stradale redatta dal
Corpo Polizia Municipale Terre Estensi, emerge che non è stato possibile stabilire se
la persona offesa conducesse la bicicletta a mano oppure se circolasse in sella.
A seguito di una ricostruzione logica, basata soprattutto sul referto del Pronto
Soccorso, appare evidente come l’imputato, avendo urtato la bicicletta della persona
offesa e non vedendo alcuna ferita, possa ragionevolmente aver ritenuto di non aver
causato alcun danno all’investito.
L’incidente infatti non presentava caratteristiche di gravità tali da poter indurre il R. a
ritenere sussistente in capo alla persona un effettivo bisogno di assistenza.
Il ricorrente evidenzia come l’imputato, a seguito dell’impatto con la bicicletta della
persona offesa, si sia immediatamente fermato al fine di verificare le condizioni
dell’investito. E soltanto dopo avere appurato l’assenza di lesioni e notato l’arrivo di
diversi connazionali della persona offesa, il ricorrente si recava presso l’abitazione
della propria compagna sita a poche centinaia di metri dal luogo dell’incidente. Ciò
emergerebbe – prosegue il ricorso – non solo dall’esame del R., ma anche dalle
dichiarazioni della stessa parte offesa nonché da quelle del suo connazionale
( A.N.O.) acquisite con il consenso della difesa al fascicolo per il dibattimento.
Da tali dichiarazioni risulterebbe chiaramente come, a seguito dell’impatto, l’imputato
si fosse fermato per verificare le condizioni dell’investito.
Lo stesso R. spiegava che il suo successivo allontanamento si giustificava sia per il
fatto che non apparivano presenti segni di lesioni sia in quanto erano sopraggiunti
con atteggiamento aggressivo numerosi connazionali della parte offesa così come
confermato, si ribadisce, nella comunicazione di incidente redatta dal Corpo Polizia
Municipale.
In conseguenza di ciò non apparirebbe integrato l’elemento soggettivo richiesto al
fine della sussistenza del reato.
Con un secondo motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 131 bis c.p., nonché
mancanza ed illogicità della motivazione essendo completamente assente la
motivazione circa il mancato accoglimento del secondo motivo proposto dalla
scrivente difesa nell’atto d’appello, con il quale veniva richiesta l’esclusione della
punibilità per particolare tenuità del fatto.
Viene ricordato che questa Corte si è espressa favorevolmente all’applicazione
dell’art. 131 bis c.p., in relazione a casi di omissione di assistenza ex art. 189 C.d.S.,
comma 7 (il richiamo è a questa Sez. 4 n. 54809/2017), richiamando la precedente
sentenza delle Sezioni Unite n. 13681/2016 ed affermando che “la nuova normativa
non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione
del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del
contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena”.
In quel caso la Suprema Corte considerava una prognosi di 10 giorni indicativa della
lieve entità delle lesioni patite dalla persona offesa e, in ragione di ciò, applicava
l’art. 131 bis c.p., dichiarando di conseguenza l’esclusione della punibilità.
Ebbene, diverso ed ancor meno grave sarebbe il fatto imputato al R., la cui
imputazione contemplava una prognosi di soli 5 giorni a carico della parte offesa.
La lieve entità del danno subito dalla persona offesa non costituirebbe, peraltro,
l’unico elemento da valutarsi nel caso di specie al fine dell’applicazione dell’istituto di
cui all’art. 131 bis c.p., rileva anche il comportamento post-delictum dell’agente (il
richiamo è a Sez. 4, n. 29744/2017).
In tale ottica andrebbe considerato che l’imputato si allontanava dal luogo
dell’incidente solamente dopo essersi fermato, aver appurato che l’investito non
aveva riportato ferite o lesioni ed aver notato che quest’ultimo era stato prontamente
raggiunto da connazionali i quali tra l’altro, ribadisce il ricorrente, tenevano nei
confronti del R. un atteggiamento particolarmente aggressivo.
Ulteriore elemento che viene ritenuto rilevante è il comportamento della persona
offesa.
Nella sopracitata sentenza Sez. 4, n. 54809/2017, viene ricordato che questa Corte
riteneva la mancata costituzione di parte civile un elemento significativo al fine
dell’assoluzione per particolare tenuità del fatto.
Nel caso in esame non solo la parte offesa non si è costituita parte civile, ma
addirittura si è resa irreperibile successivamente al risarcimento da parte
dell’assicurazione del R. che, come documentato in giudizio (attestazione di
pagamento – all’udienza del 1/2/2018), provvedeva a corrispondere la somma di 370
Euro a completo ristoro dei danni patiti.
Con un terzo motivo si lamenta erronea applicazione dell’art. 133 c.p., nonché
mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione laddove il giudice del
gravame del merito ha erroneamente confermato la sentenza del Tribunale di
Ferrara in merito alla quantificazione della pena.
Al R. infatti, nonostante l’applicazione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p.,
non veniva tuttavia riconosciuto il minimo edittale, il che per il ricorrente appare in
contraddizione con l’esiguità del danno patito dalla persona offesa, con l’intervenuto
risarcimento da parte della compagnia assicuratrice e con la ridotta intensità del dolo
(la cui sussistenza il ricorrente, peraltro, contesta in toto).
Quanto alla personalità dell’imputato, la Corte territoriale non ha poi tenuto in alcuna
considerazione il fatto che quest’ultimo ha sempre collaborato con l’Autorità,
confermando fin dal principio il suo coinvolgimento nell’incidente nonché
sottoponendosi ad esame durante il dibattimento durante il quale forniva la propria
versione dei fatti.
La valutazione complessiva degli elementi non può che confermare la minima
gravità della condotta posta in essere dall’imputato e pertanto di ciò si sarebbe
dovuto tenere conto nella sentenza della Corte d’Appello.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

In data 2/2/2020, a fronte dell’originaria fissazione della presente procedura
dinanzi alla Settima Sezione Penale di questa Corte, il difensore del R. depositava
memoria ex art. 611 c.p.p., insistendo sui motivi del ricorso e sull’ammissibilità dello
stesso.
All’udienza del 12/2/2020, ritenuti i motivi proposti non manifestamente infondati, la
Settima Sezione Penale di questa Corte rimetteva il fascicolo a questa Quarta
Sezione Penale.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto viene riproposta la tesi difensiva in
punto di carenza dell’elemento soggettivo del reato, che è stata disattese da
entrambi i giudici di merito e che non può in questa sede essere riproposta tout court
adducendosi la violazione di norma processuale o del vizio di motivazione, avendo in
particolare il giudice di appello opportunamente chiarito che le condotte contestate
nel capo d’imputazione hanno trovato ampio riscontro nelle dichiarazioni della
persona offesa e del teste A.N.O., che era riuscito ad annotare il numero di targa
dell’auto allontanatasi, e nei danni all’auto, oltre che nell’ammissione dell’imputato
circa il suo coinvolgimento nell’incidente.
La sentenza impugnata offre sul punto una motivazione logica e congrua, oltre che
corretta in punto di diritto, e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità, nel
confutare la linea difensiva secondo cui l’imputato non si sarebbe reso conto che la
persona offesa necessitasse di assistenza e cure.
Pur dato atto della circostanza che effettivamente un gruppo di connazionali della
persona offesa intervenuti in suo soccorso avesse impedito che la stessa venisse
soccorsa dal personale del 118 intervenuto con l’ambulanza prima dei rilievi da parte
della polizia i giudici del gravame del merito hanno dato atto logicamente che il
comportamento del R. non può essere ritenuto necessitato in quanto lo stesso ben
avrebbe potuto allontanarsi di non molto dal luogo dell’incidente ed attendere l’arrivo
della pattuglia, oppure mettersi in contatto con la polizia per telefono o recandosi al
comando per spiegare l’accaduto, mentre non ha riferito a nessuno dell’incidente fino
a che non è stato rintracciato dagli agenti in tarda serata dopo lunghe ricerche,
grazie al numero di targa annotato dal teste.
La pronuncia, sul punto, si colloca, pertanto, nell’alveo del consolidato orientamento
di questa Corte di legittimità secondo cui l’elemento soggettivo del reato previsto
dall’art. 189 C.d.S., comma 7, è integrato anche in presenza del dolo eventuale,
ravvisabile in capo all’utente della strada il quale, in caso di incidente comunque
ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in
termini di immediatezza la concreta eventualità che dall’incidente sia derivato danno
alle persone, non ottemperi all’obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti.
In altre parole, per la punibilità è necessario che ogni componente del fatto tipico
(segnatamente il danno alle persone e l’esservi persone ferite, necessitanti di
assistenza) sia conosciuta e voluta dall’agente. A tal fine, è però sufficiente anche il
dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma
che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente
rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo
comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa
che, rispetto alla verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato
all’incidente, è sufficiente che, per le modalità di verificazione di questo e per le
complessive circostanze della vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o
anche la semplice possibilità – che dall’incidente sia derivato un danno alle persone
e che queste necessitino di assistenza e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta
di fermarsi (Sez. 4, n. 6904 del 20/11/2013, dep. 2014, Richichi, n. m.; Sez. 4, n.
36270 del 24/05/2012, Bosco, n. m.; Sez. 4, n. 33294 del 14/05/2008, Curia, Rv.
242113; SeZ. 4 n. 54809 del 18/10/2017, Conti, n. m.; Sez. 4, n. 33772 del
15/06/2017, Dentice, Rv. 271046).
Sempre con riguardo al primo motivo di ricorso, va rilevato che, diversamente da
quanto opina il ricorrente, il reato di omissione di assistenza, di cui all’art. 189 C.d.S.,
comma 7, presuppone quale antefatto non punibile un incidente stradale da cui
sorge l’obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico,
essendo sufficiente lo stato di difficoltà indicativo del pericolo che dal ritardato
soccorso può derivare per la vita o l’integrità fisica della persona (Sez. 4, n. 21049
del 6/4/2018, Barbieri, Rv. 273255).
Inoltre, va ribadito che la sussistenza o meno di un effettivo bisogno di aiuto da parte
della persona infortunata non è elemento costitutivo del reato, che è integrato dal
semplice fatto che in caso d’incidente stradale con danni alle persone non si
ottemperi all’obbligo di prestare assistenza. E costituisce ius receptum che tale
condotta, va tenuta a prescindere dall’intervento di terzi, poiché si tratta di un dovere
che grava su chi si trova coinvolto nell’incidente medesimo (cfr. ex multis questa
Sez. 4, n. 8626 del 7/2/2008, Rv. 238973).

Il secondo motivo di ricorso è fondato.
Come riconosce la Corte di Appello a pag. 3, e come risulta dall’atto di appello del
14/3/2018 a firma dell’Avv. Marcello Rambaldi ed effettivamente vi era un secondo
motivo di gravame (pag. 6-8) sul 131bis. ma poi – circostanza costituente il secondo
motivo dell’odierno ricorso – non c’è un rigo di risposta in motivazione.
Va ricordato che, secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez.
Un. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, in motivazione), “la nuova normativa non si
interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del
comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del
contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena. Insomma, si è
qui entro la distinzione tra fatto legale, tipico, e fatto storico, situazione reale ed
irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente”.
A tali elementi il giudice di merito deve porre attenzione nel valutare la sussumibilità
del fatto nell’ipotesi normativa.
Ebbene, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dei concreti elementi riferibili
alla realtà processuale ed alle emergenze istruttorie, desumibili dalle sentenze di
merito dai quali si evinca la particolare tenuità del fatto, dei quali il giudice di
legittimità può oggi tenere conto alla luce del novellato art. 620 c.p.p., lett. l).
In particolare, non è stato attribuito il dovuto rilievo alla natura delle minime lesioni
riportate dalla persona offesa e alla non evidente visibilità delle stesse, alla presenza
comunque di persone che si erano radunate intorno al loro connazionale, alla
mancata costituzione di parte civile, all’avvenuto risarcimento da parte
dell’assicurazione del R. e al fatto che l’imputato si sia comunque fermato prima di
allontanarsi e che, comunque, una volta rintracciato non abbia mai negato il suo
coinvolgimento nell’incidente.
Elementi che inducono il Collegio a ritenere che il fatto sia sussumibile, senza
necessità di ulteriori accertamenti, nella previsione dell’art. 131 bis c.p..
Il terzo motivo di ricorso è assorbito.

Conseguentemente, il provvedimento impugnato deve essere annullato senza
rinvio per l’accoglimento dell’istanza di applicazione dell’art. 131 bis c.p. (cfr. Sez. 4
n. 54809 del 18/10/2017, Conti, n. m.).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato non è punibile per
la particolare tenuità del fatto.
Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2020

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