Sentenza, Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite Penali, 5 giugno 2020, n. 17274, Interrogatorio di garanzia – Tribunale del Riesame:
In questa occasione, veniva rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto relativa:“….alla necessità di procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura cautelare, qualora sia stata applicata con provvedimento del tribunale in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice per le indagini preliminari….”. I giudici di legittimità, abbracciando il primo dei due orientamenti giurisprudenziali esposti, affermano che la misura cautelare non sarebbe inefficace per il mancato espletamento dell’interrogatorio di garanzia in quanto, durante il giudizio camerale di gravame, l’indagato affiancato dal suo difensore ha modo di difendersi, di partecipare all’udienza e di essere sentito per esporre la sua versione dei fatti. Di talché, in casi simili, la funzione difensiva dell’interrogatorio di garanzia è perfettamente sostituita dall’instaurazione del contraddittorio dinnanzi al Tribunale del Riesame.
Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite Penali, 5 giugno 2020, n. 17274:
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMMINO Matilde – Presidente –
Dott. MAZZEI Antonella – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Patrizia – rel. Consigliere –
Dott. SARNO Giulio – Consigliere –
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere –
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere –
Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere –
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.A., nato a (OMISSIS);
Avverso l’ordinanza del 31/10/2019 del Tribunale di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Patrizia Piccialli;
udito nella odierna udienza camerale il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato
generale Dott. Finocchi Ghersi Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ordinanza del 31 ottobre 2019 il Tribunale di Roma respingeva l’appello
proposto dall’imputato S.A. avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di
Cassino aveva rigettato l’istanza di dichiarazione di inefficacia e, in subordine, di
revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere disposta nei
suoi confronti, in relazione al reato di concussione continuata, a seguito dell’appello
del pubblico ministero contro l’ordinanza reiettiva del giudice per le indagini
preliminari.
Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il difensore
dell’imputato.
Con il primo motivo denuncia il vizio di violazione di legge e di motivazione per il
mancato esame dei rilievi mossi nell’atto di appello quanto all’inefficacia
sopravvenuta della misura cautelare, stante il mancato interrogatorio previsto
dall’art. 294 c.p.p. dopo che, il 14 giugno 2019, era stata eseguita l’ordinanza
applicativa della misura, divenuta definitiva a seguito del rigetto del ricorso per
cassazione proposto dal S., all’epoca ancora indagato. A sostegno di tale tesi, la
difesa rileva che la celebrazione dell’udienza camerale di discussione dell’appello
cautelare non equivale ad un giudizio a cognizione piena, stante il carattere limitato
sia dei diritti della difesa che del patrimonio conoscitivo del giudice; assume, inoltre,
che la norma di cui all’art. 294 c.p.p. è chiara nel richiedere l’espletamento
dell’interrogatorio all’esito dell’esecuzione di qualunque provvedimento applicativo di
una misura cautelare, senza eccezioni.
Con il secondo motivo lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione per il
mancato esame dei fatti nuovi posti a base della richiesta di revoca o sostituzione,
rilevanti ai fini della valutazione in ordine alla persistenza delle esigenze cautelari.
Con il terzo motivo contesta il vizio di violazione di legge e di motivazione per la
scelta della misura applicata, essendo stata ribadita la motivazione già svolta sul
punto in un precedente analogo provvedimento, relativo allo stato di fatto
antecedente rispetto a quanto rappresentato nell’atto di appello.
Con il quarto motivo, infine, il S. eccepisce il vizio di violazione di legge ex art. 27
Cost., comma 2 e art. 6, comma 2, CEDU e la violazione del principio della
presunzione d’innocenza stante l’omessa considerazione dello stato di
incensuratezza del prevenuto e il valore attribuito alla mera pendenza di alcuni
procedimenti penali a suo carico.
Con ordinanza del 18 dicembre 2019, la Sesta Sezione penale ha rilevato un
contrasto giurisprudenziale in merito alla necessità di procedere all’interrogatorio di
garanzia a pena di inefficacia della misura cautelare, qualora sia stata applicata con
provvedimento del tribunale in accoglimento dell’appello del pubblico ministero
avverso la decisione di rigetto del giudice per le indagini preliminari.
Con decreto in data 28 gennaio 2020 il Primo Presidente aggiunto ha assegnato il
ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza camerale.
In data 18 marzo 2020 il difensore di S.A. ha formulato istanza per la trattazione
del procedimento ai sensi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 3, lett. b).
Successivamente è pervenuta in cancelleria la comunicazione che la misura degli
arresti domiciliari in capo al S., che aveva sostituito quella della custodia in carcere,
era stata a sua volta sostituita con quella dell’obbligo di dimora con ordinanza del
Tribunale di Cassino del 13 marzo 2020.
In data 25 marzo 2020, il difensore ha dichiarato la persistenza dell’interesse alla
decisione, in quanto dall’eventuale accoglimento del ricorso sarebbe conseguito
l’annullamento della misura in atto.
Motivi della decisione
La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite, sul
rilievo di un persistente contrasto di giurisprudenza, è la seguente: “se, in caso di
applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale, in
accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del
giudice per le indagini preliminari, sia o no necessario procedere all’interrogatorio di
garanzia a pena d’inefficacia della misura cautelare”.
Secondo un primo orientamento, a cui si è conformato il provvedimento
impugnato, qualora il tribunale del riesame, in accoglimento dell’appello del pubblico
ministero avverso la decisione di rigetto del Giudice per le indagini preliminari,
applichi una misura cautelare coercitiva, non è necessario procedere
all’interrogatorio di garanzia, in quanto il provvedimento emesso in sede di appello
cautelare è preceduto dall’instaurazione di un contraddittorio pieno, finalizzato ad
approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare anche attraverso i
contributi forniti dalla difesa (Sez. 6, n. 50768 del 12/11/2013, Cocuzza, Rv.261538).
A fondamento di tale interpretazione si è evidenziato come la ratio sottesa
all’esigenza di procedere, nei tempi stringenti imposti dal relativo dato normativo,
all’interrogatorio di garanzia in esito alla emissione della misura cautelare appaia
correlata alla necessità di garantire all’indagato, tramite l’immediato immediato
contatto con il giudice, la possibilità di fornire gli elementi, in fatto e diritto, volti a
scalfire la gravità indiziaria e riesaminare le originarie motivazioni sottese
all’intervento cautelativo, così da consentire al decidente di rivalutare la perduranza
delle ragioni sottese alla misura in esito a siffatto contatto chiarificatore, imposto
dalla instaurazione ex post del contraddittorio con il destinatario dell’intervento
cautelare.
Si è quindi rilevato come siffatta esigenza risulti, di contro, assorbita allorchè, per la
specifica dinamica processuale che ha portato al provvedimento cautelare,
l’interrogatorio abbia perso il ruolo di imprescindibile prerogativa difensiva.
Situazione che sussiste, per esplicita indicazione normativa, quando la misura sia
stata applicata una volta aperto il dibattimento, giacchè il contraddittorio pieno
assorbe in toto e rende indifferenti gli spazi difensivi che giustificano l’interrogatorio
sotto qualsivoglia versante dell’intervento cautelare. Si è quindi aggiunto che la
superfluità dell’interrogatorio è stata riscontrata dalla giurisprudenza nei casi di
rinnovazione della misura cautelare a seguito di caducazione per ragioni meramente
formali e di rito di un precedente provvedimento coercitivo in relazione agli stessi
fatti, con pregressa rituale celebrazione dell’interrogatorio.
2.1. Alla luce di tali considerazioni, si è dunque ritenuta insussistente l’esigenza di
disporre l’interrogatorio di garanzia allorquando il provvedimento applicativo di una
misura cautelare sia emesso, sempre nel corso delle indagini preliminari, non
secondo l’ordinaria ipotesi del contraddittorio differito, bensì dal giudice dell’appello
cautelare ex art. 310 c.p.p. avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta cautelare da
parte del giudice per le indagini preliminari: ipotesi nella quale il provvedimento è per
forza di cose anticipato dalla instaurazione del contraddittorio, finalizzato ad
approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare consentendo
preventivamente, nella sua massima estensione, l’apporto difensivo in punto di
legittimità complessiva dello status custodiale che, su appello dalla parte pubblica, si
intende instaurare. Si è quindi notato che, in questa situazione processuale, la
finalità dell’interrogatorio appare pienamente anticipata dalla trattazione, nel
contraddittorio, della pretesa cautelare, sicchè imporre l’atto dopo la misura finirebbe
per assumere il significato della superfetazione difensiva, ascrivendo all’incombente
le connotazioni tipiche di una formalità superflua, ampiamente assorbita dalla
dinamica dell’attività processuale che la precede.
Il principio di diritto è stato ribadito con la sentenza della Sez. 2, n. 38828 del
25/05/2017, Savina, Rv. 271135.
A tale pronuncia si contrappone una successiva decisione di segno contrario – non
massimata -, nella quale la stessa Sezione Sesta penale ha affermato, con
riferimento alla medesima ipotesi, che non si può prescindere dall’interrogatorio di
garanzia della persona sottoposta a misura, salvo che non sia iniziato il dibattimento,
di tal che, in caso di mancata o tardiva celebrazione dell’incombente processuale, la
misura cautelare perde efficacia (Sez. 6, n. 6088 del 20/11/2014, dep. 2015, Lo
Nardo).
3.1. Tale orientamento, cui aderisce l’ordinanza di rimessione, fa leva innanzitutto sul
quadro normativo di riferimento.
In tal senso si sottolinea che l’art. 294 c.p.p., comma 1, dispone che: “fino alla
dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice che ha deciso in ordine
all’applicazione della misura cautelare, se non vi ha proceduto nel corso dell’udienza
di convalida dell’arresto o del fermo di indiziato di delitto, procede all’interrogatorio
della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque
non oltre cinque giorni dall’inizio dell’esecuzione della custodia, salvo il caso in cui
essa sia assolutamente impedita”.
Il successivo comma 1-bis della stessa norma prevede che “se la persona è
sottoposta ad altra misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva, l’interrogatorio
deve avvenire non oltre dieci giorni dalla esecuzione del provvedimento o dalla sua
notificazione”; ed il comma 1-ter recita che “l’interrogatorio della persona in stato di
custodia cautelare deve avvenire entro il termine di quarantotto ore se il pubblico
ministero ne fa istanza nella richiesta di custodia cautelare”.
Si evidenzia, altresì, la stretta correlazione di tale norma con l’art. 302 c.p.p., comma
1, prima parte, alla stregua del quale la custodia cautelare disposta nel corso delle
indagini preliminari perde immediatamente efficacia se il giudice non procede
all’interrogatorio entro il termine previsto dall’art. 294.
Dal complesso di tali disposizioni codicistiche si evincerebbe, secondo tale
orientamento, che il giudice che abbia emesso un provvedimento limitativo della
libertà personale è tenuto ad interrogare la persona sottoposta alla misura cautelare
e che l’incombente processuale è doveroso e sanzionato a pena di inefficacia della
misura, salvo che, giusta le espresse clausole di riserva, il decidente abbia già
provveduto all’interrogatorio all’atto della convalida del provvedimento pre-cautelare
ovvero abbia già preso avvio la fase dibattimentale, nell’ambito della quale l’imputato
ha facoltà di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, nel pieno contraddittorio
fra le parti.
Si è rimarcato che nessuna eccezione è prevista per l’ipotesi in cui l’ordinanza di
custodia cautelare sia stata emessa dal tribunale a seguito di appello del pubblico
ministero avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di rigetto
della richiesta ex art. 291 c.p.p., sicchè in tal caso, salvo che il giudice non abbia
rigettato la richiesta di emissione del provvedimento coercitivo dopo avere proceduto
all’interrogatorio in udienza di convalida dell’arresto o del fermo, ovvero che sia già
stata dichiarata l’apertura del dibattimento (cioè, salvo che non si versi in taluno dei
casi eccezionali contemplati dalle sopra ricordate clausole di riserva delineate
nell’art. 294), non può che valere la regola generale secondo la quale l’interrogatorio
di garanzia è doveroso a pena di inefficacia della misura cautelare.
Si è poi osservato che sulla stessa linea si pone il disposto dell’art. 302 c.p.p.,
comma 1, seconda parte, là dove impone, in caso di caducazione della misura
cautelare per omesso o intempestivo interrogatorio di garanzia, la rinnovazione
dell’interrogatorio a piede libero, a conferma dell’assoluta inderogabilità
dell’incombente processuale, pena l’inapplicabilità del provvedimento coercitivo.
3.2. A supporto della tesi privilegiata da questo secondo orientamento, si è inoltre
posto in risalto come l’interrogatorio di garanzia costituisca un momento processuale
assolutamente imprescindibile al fine di consentire al soggetto sottoposto a
limitazione della libertà personale di rendere la propria versione dei fatti innanzi al
giudice e dunque di svolgere appieno la propria difesa. Momento processuale non
surrogabile dalla previsione della facoltà della persona di rendere dichiarazioni
spontanee nell’ambito dell’udienza camerale di discussione dell’appello cautelare,
vuoi per il carattere meramente eventuale dell’esercizio di detta facoltà, vuoi per la
differenza sostanziale tra le dichiarazioni spontanee e l’interrogatorio.
Le Sezioni Unite ritengono debba essere condiviso il primo orientamento.
La tesi sostenuta nell’ordinanza di rimessione, pur fornendo argomenti suggestivi,
incentrati sulla valorizzazione dell’interrogatorio come momento cruciale del diritto di
difesa, riguarda situazioni specifiche estranee a quella in esame.
L’interrogatorio ex art. 294 c.p.p., infatti, quale momento ineliminabile di difesa nei
casi previsti dalla norma (anche alla luce degli interventi della Corte costituzionale di
seguito richiamati), non è esportabile, al medesimo fine, in una vicenda quale quella
della misura adottata all’esito dell’appello cautelare, dove le finalità difensive
vengono comunque soddisfatte dal contraddittorio nel procedimento camerale
instauratosi in seguito all’impugnazione: contraddittorio che il sistema consente, a
nulla rilevando la facoltatività delle dichiarazioni, giacchè ciò che conta è la
circostanza che l’interessato è posto nelle condizioni di esercitare appieno le proprie
difese, essendo rimesso alle determinazioni discrezionali proprie le modalità
concrete dell’esercizio del relativo diritto.
Infatti, a differenza dell’ordinaria sequenza procedimentale (richiesta del pubblico
ministero ed ordinanza del giudice per le indagini preliminari) che avviene inaudita
altera parte e concettualmente “a sorpresa”, nella ipotesi in esame è prevista –
rispetto all’istanza cautelare sottoposta al giudice dell’appello – la presenza del
difensore e la sua assistenza tecnica prima della decisione del giudice, finalizzata a
consentire un approfondimento anticipato di tutti i temi dell’azione cautelare.
Inoltre, per quanto più direttamente interessa, in seguito all’entrata in vigore della L.
n. 47 del 2015, le possibilità di partecipazione alla fase dell’impugnazione cautelare
dell’indagato sono notevolmente aumentate, poichè secondo il nuovo disposto
dell’art. 309 c.p.p., comma 6, è oggi previsto che l’imputato abbia diritto di comparire
personalmente all’udienza in esame, sicchè può dirsi garantito un contraddittorio
pieno e senza limitazioni che rende superfluo l’adempimento previsto dall’art. 294
c.p.p..
Sebbene debba indiscutibilmente riconoscersi, come ha evidenziato l’ordinanza di
rimessione, che il percorso della giurisprudenza costituzionale e di legittimità si è
ampliato nel senso che l’obbligatorietà dell’interrogatorio di garanzia è stata prevista
in relazione ad ordinanze disposte o eseguite oltre il termine delle indagini
preliminari, è altrettanto vero che si tratta di situazioni rispetto alle quali
l’interrogatorio assume un ruolo non aliunde surrogabile, diverse da quella di
interesse.
In questa prospettiva, le ineccepibili argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale
nelle sentenze n. 77 del 24 marzo 1997 e n. 32 del 10 febbraio 1999, là dove si
valorizza il ruolo dell’interrogatorio di garanzia quale diritto fondamentale della
persona sottoposta alla custodia anche nella fase successiva alla trasmissione degli
atti al giudice del dibattimento e fino all’inizio di questo, non paiono applicabili in
questa sede per difetto della eadem ratio.
E lo stesso vale per le puntuali considerazioni sviluppate dalla Sez. U, n. 3 del
28/01/1998, Budini, Rv. 21058, a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 77 del
1997, che, nel definire la natura e la finalità dell’interrogatorio di garanzia,
direttamente riconnesse alla tutela del bene della libertà personale consacrato quale
diritto inviolabile nell’art. 13 Cost., hanno affermato che “il cittadino in vinculis deve
essere messo nella migliore condizione di apprestare le sue difese nella massima
espansione al fine di far valere le ragioni dirette a riacquistare la libertà, che
rappresenta il suo status nomale, derivandone la non equipollenza di altri mezzi
all’interrogatorio di garanzia, dato che solo questo consente il contatto immediato e
diretto tra il soggetto interessato ed il giudice che deve decidere sulla sua libertà”.
5.1. In realtà, la tesi qui disattesa non coglie la specificità della situazione che nasce
allorquando la misura è adottata in sede di appello cautelare, perchè non apprezza
gli spazi defensionali che tale incidente offre all’indagato/imputato.
Infatti, la specificità della disciplina dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p., essenziale in
taluni contesti procedimentali (come evidenziato dalle richiamate sentenze della
Corte costituzionale e delle stesse Sezioni Unite), non costituisce sempre momento
ineliminabile ed insostituibile per l’esercizio pieno delle facoltà defensionali.
Vi sono, invero, situazioni in cui l’interrogatorio è previsto al di fuori del paradigma
dell’art. 294 c.p.p., ma solo perchè si tratta di situazioni in qualche misura assimilabili
a quella presa in considerazione in tale norma.
Vi sono, invece, situazioni in cui l’interrogatorio, quale mezzo di difesa, è previsto
“prima” dell’adozione della misura, giacchè all’evidenza il legislatore ha ritenuto di
valorizzare un momento di conoscenza anticipata delle ragioni difensive, a fronte
della potenziale “invasività” qualitativa della misura.
Vi sono, poi, situazioni, come quella qui di interesse, dove l’interrogatorio non è
previsto, nè è necessario, perchè il contraddittorio è veicolato in altra equipollente
maniera.
Si vuole dire, in sostanza, che riconosciuto il ruolo defensionale essenziale
dell’interrogatorio di garanzia, negare l’applicabilità dell’art. 294 al procedimento in
esame non significa affatto privare l’interessato di validi strumenti per esercitare il
diritto di difesa, proprio perchè, come detto, le modalità di esercizio del diritto di
difesa possono essere le più diverse, in considerazione della specificità della fase
processuale, e non in tutti i casi l’applicazione del paradigma dell’art. 294 c.p.p. è
l’unico mezzo che può consentire una efficace difesa.
La garanzia costituzionale del diritto di difesa non esclude infatti che il legislatore
possa darvi attuazione in modo diverso, tenuto conto delle diverse fasi processuali.
Venendo alla disamina delle situazioni che confortano tale conclusione, meritano
menzione, sotto il primo profilo, alcune norme – diverse dall’art. 294 c.p.p. – che
prevedono l’interrogatorio quale momento di esercizio delle facoltà defensionali, ma
ciò fanno solo in ragione della specificità delle situazioni.
Così, in primo luogo, l’art. 299 c.p.p., comma 3-ter, là dove si prevede la possibilità
che il giudice possa procedere all’interrogatorio nel caso di revoca o sostituzione
della misura e prevede obbligatoriamente l’adempimento quando l’istanza di revoca
o sostituzione sia fondata su elementi nuovi o diversi.
Così, in secondo luogo, l’art. 302 c.p.p., che prevede l’obbligo di interrogatorio per
emettere una nuova misura quando quella precedentemente applicata sia divenuta
inefficace.
Nella prima ipotesi, l’interrogatorio assume rilievo proprio per consentire al giudice di
apprezzare, con il riscontro diretto dell’interessato, le ragioni prospettate per la
revoca o la sostituzione della misura.
Nell’altra ipotesi, si tratta di situazione per certi versi assimilabile all’applicazione
originaria della misura, che trova il momento di garanzia nella disciplina di cui all’art.
294 c.p.p..
Ciò che esclude che tali disposizioni possano essere qui utilizzate a supporto della
tesi avversata.
Le ipotesi in cui l’interrogatorio è anticipato (cfr., in particolare, art. 289 c.p.p. e
D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 47 in tema di responsabilità amministrativa degli
enti) confermano, invece, che la mancata previsione dell’interrogatorio “dopo”
l’applicazione della misura non rappresenta concettualmente una violazione del
diritto di difesa, se lo spazio per il contraddittorio e per l’esercizio del diritto di difesa
sia stato comunque ampiamente assicurato.
Ciò che si verifica nella disciplina della sospensione dall’esercizio di un pubblico
ufficio ex art. 289 c.p.p., in ordine alla quale l’inversione della sequenza disciplinata
per le altre misure personali ha la finalità di evitare che il provvedimento che incide
sulla funzionalità e continuatività dell’amministrazione pubblica possa essere
adottato senza la conoscenza e ponderata valutazione di evenienze che l’indagato
può fornire anche in ordine alla necessità di adottare il provvedimento (cfr. Sez. 6, n.
26929 del 15/03/2019, Cecchini, Rv. 273416).
Si è del resto convincentemente affermato – finanche e proprio in caso di
applicazione della misura interdittiva in sede di appello cautelare – che la non
necessità di procedere all’interrogatorio è ampiamente giustificata dal fatto che il
diritto al contraddittorio è assicurato dalla possibilità l’indagato di comparire
all’udienza per la trattazione del gravame e di chiedere di essere interrogato (v. Sez.
6, n. 14958 del 05/03/2019, Graziano, Rv. 275538).
E ciò si verifica anche nella peculiare disciplina dell’applicazione delle misure
cautelari nel procedimento della responsabilità amministrativa degli enti. Rileva, in
proposito, il modello procedimentale a contraddittorio anticipato, cui si ispira il D.Lgs.
n. 231 del 2001, art. 47 rispetto al quale il legislatore, proprio a fronte della
potenziale incisività per la vita dell’ente dell’applicazione di misure cautelari
interdittive che potrebbero finanche paralizzare l’attività dell’ente, ha privilegiato un
momento di interlocuzione anticipata, sì da consentire, da un lato, all’ente di fare
valere prima dell’adozione eventuale della misura le proprie ragioni, e, dall’altro, da
imporre al giudice della misura l’obbligo, in sede di motivazione dell’ordinanza, di
esplicitare i motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla
difesa per contrastare l’ipotesi accusatoria (cfr. Sez.6, n. 10903 del 05/03/2013, Orsi,
n. m. sul punto) Si tratta di discipline utilmente richiamabili a conferma del fatto che
l’esercizio del diritto di difesa, a fronte dell’applicazione di una misura cautelare, è
legittimamente costruito dal legislatore in modo diversificato, e non sempre
riproducendo il meccanismo tratteggiato dall’art. 294 c.p.p. con l’interrogatorio di
garanzia successivo all’adozione della misura.
Ma la migliore riprova della necessità di distinguere le situazioni si rinviene in
quelle ipotesi in cui il contraddittorio è assicurato in altra maniera, diversa
dall’interrogatorio.
E’ quanto si verifica qualora la custodia venga disposta dopo la sentenza di
condanna, non essendo necessario procedere, in tale evenienza, all’interrogatorio di
garanzia (Sez. U, n. 18190 del 22/01/2009, La Mari, Rv. 243028).
Tale diversità di disciplina è stata giustamente apprezzata proprio alla luce della
particolare situazione del condannato. E’ vero infatti che l’interrogatorio è
adempimento che consente alla persona sottoposta alla misura cautelare di
prospettare immediatamente le ragioni difensive in merito a tutti i presupposti per
l’applicazione ed il mantenimento della stessa. Ma le medesime esigenze difensive
sono pienamente soddisfatte, nell’ipotesi di interesse, con la celebrazione del
dibattimento, fase processuale che consente all’imputato, nella pienezza del
contraddittorio che caratterizza l’assunzione delle prove a carico ed a discarico, di
prospettare al giudice tutte le ragioni difensive, anche attraverso l’esame o le
dichiarazioni spontanee di cui all’art. 494 c.p.p..
In definitiva, la mancanza dell’interrogatorio – in questo specifico caso- non priva
affatto l’imputato dello spazio per una piena difesa, proprio perchè l’avvenuto
svolgimento della fase dibattimentale gli ha (già) consentito di dispiegare nella
misura massima possibile la sua difesa.
Analogo ragionamento deve farsi per l’ipotesi della trasgressione alle prescrizioni
inerenti ad una misura cautelare, prevista dall’art. 276 c.p.p., là dove non è previsto,
in caso di sostituzione o di cumulo della misura trasgredita con altra più grave,
l’interrogatorio del prevenuto (v. Sez. U, n. 4932 del 18/12/2008, dep. 2009,
Giannone, Rv.242028-01).
Ciò in tutta evidenza si giustifica con il fatto che l’interrogatorio è già avvenuto in
occasione dell’applicazione della misura originariamente applicata e poi trasgredita.
La sostituzione o il cumulo conseguono alla ritenuta violazione delle prescrizioni di
tale misura, in ordine alla quale le ragioni defensionali possono e debbono essere
veicolate in altra sede, con l’impugnazione del provvedimento, non emergendo
ragioni per riproporre un atto in ordine al quale l’indagato è stato già posto in grado
di fornire gli argomenti a sua difesa in punto di gravità degli indizi e di esigenze di
cautela.
La citata sentenza Giannone – con affermazione qui calzante – ha posto in risalto che
la Corte Costituzionale in numerosissime occasioni ha riaffermato il principio
secondo cui la garanzia costituzionale del diritto di difesa non esclude, quanto alle
sue modalità di espletamento, che il legislatore possa darvi attuazione in modo
diverso purchè si tratti di scelte discrezionali non irragionevoli (si vedano, tra le altre,
le ordinanze 29 luglio 2005, n. 350 e, quanto alla difesa tecnica, 28 giugno 2002, n.
299).
Va infine soggiunto che l’interrogatorio perde il ruolo di imprescindibile prerogativa
difensiva anche quando, durante la fase delle indagini preliminari, la misura sia stata
emessa replicando un precedente intervento cautelare caducato per ragioni
meramente formali e di rito, sempre che la misura caducata sia stata caratterizzata
dall’esecuzione dell’interrogatorio e non si fondi su ragioni indiziarie e di cautela
diverse da quelle che avevano giustificato la precedente misura (v. Sez. U, n. 28270
del 24/04//2014, Sandomenico, Rv. 260016, in caso di inefficacia della precedente
misura motivata dalla decorrenza dei termini sanciti dall’art. 309 c.p.p., commi 9 e
10, per la decisione del tribunale del riesame).
Proprio la richiamata diversità di meccanismi procedimentali costruiti per
consentire l’esercizio del diritto di difesa conferma la non estensibilità
dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. ad una situazione in cui il diritto di difesa è stato
comunque ampiamente assicurato, ove si consideri che il provvedimento emesso in
sede di appello cautelare è preceduto dalla instaurazione di un contraddittorio pieno,
finalizzato ad anticipare tutti i temi dell’azione cautelare, anche attraverso i contributi
forniti dalla difesa (v. Sez. 6, n. 50768 del 12/11/2013, Cocuzza, Rv. 261538).
Non ricorrono quindi, le ragioni difensive poste alla base dell’interrogatorio di
garanzia, ossia la necessità di garantire all’indagato, tramite un immediato contatto
con il giudice, la possibilità di fornire gli elementi in fatto ed in diritto volti a scalfire la
gravità indiziaria e riesaminare le originarie motivazioni sottese all’intervento
cautelativo.
Infatti, in questa ipotesi, siffatta esigenza è assorbita dal contraddittorio che si
instaura davanti al giudice dell’impugnazione cautelare, al quale si possono
prospettare le ragioni a supporto dell’auspicato diniego della richiesta cautelare del
pubblico ministero.
E’, a ben vedere, la stessa situazione che si verifica nei confronti della misura
applicata una volta aperto il dibattimento, giacchè, in questo caso, il contraddittorio
assorbe pienamente e rende indifferenti gli spazi difensivi che giustificano
l’interrogatorio. Tale fase processuale consente all’imputato, nella pienezza del
contraddittorio che caratterizza l’assunzione delle prove a carico e a discarico, di
prospettare al giudice tutte le ragioni difensive, anche attraverso l’esame o le
dichiarazioni di cui all’art. 494 c.p.p..
L’esattezza di tale conclusione, come già anticipato, non è contraddetta dalla
facoltatività delle dichiarazioni che possono essere rese in sede di impugnazione
cautelare, giacchè ciò che conta è la circostanza che l’interessato è posto nelle
condizioni di esercitare appieno le proprie difese, essendo rimesso alle
determinazioni discrezionali proprie le modalità concrete dell’esercizio del relativo
diritto.
In definitiva, il meccanismo dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p., che pure è momento
fondamentale di esercizio del diritto di difesa, non può essere sempre
semplicisticamente esportato al di fuori delle ipotesi per cui esso è espressamente
previsto, essendo i principi costituzionali – artt. 13 e 24 Cost. egualmente soddisfatti,
in situazioni diverse e non assimilabili, da altre legittime modalità di espressione del
contraddittorio defensionale, dove il legislatore non ha espressamente previsto
l’interrogatorio dopo l’esecuzione della misura o lo ha previsto prima dell’esecuzione
della misura, ovvero, per quanto interessa, ha previsto altre e diverse modalità di
interlocuzione difensiva. Tanto che una semplicistica estensione dell’obbligo di
interrogatorio risulterebbe espressione di un vuoto formalismo. Si pensi, nell’ipotesi
in esame, quale significato e valenza potrebbe avere, dopo il contraddittorio
comunque avutosi nell’udienza camerale di appello, la (auspicata) previsione di un
interrogatorio che dovrebbe espletare, di fatto, almeno nella fase delle indagini,
quello stesso giudice che, in prima battuta, ha negato l’applicabilità della misura.
In considerazione di quanto detto va affermato il seguente principio di diritto:
“In caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del
tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del pubblico ministero
avverso la decisione di rigetto del giudice delle indagini preliminari non è
necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della
misura suddetta”.
Quanto agli ulteriori motivi, le doglianze si rilevano inammissibili per genericità,
ove si consideri che con i motivi di ricorso vengono accomunate, senza specifica
disamina, questioni relative alle esigenze di cautela e questioni relative alla
adeguatezza della misura.
In ogni caso, in punto di adeguatezza della misura, la doglianza è inammissibile
anche sotto un ulteriore profilo.
Il tema dell’adeguatezza della misura cautelare è, infatti, privo di attualità e di
conferenza a fronte della intervenuta sostituzione della misura degli arresti
domiciliari con quella dell’obbligo di dimora.
Con tale mutamento il ricorrente non si confronta, non avendo del resto partecipato
all’udienza dinanzi a queste Sezioni Unite.
Per quanto riguarda le esigenze di cautela, poi, non può non evidenziarsi anche in
questo caso la genericità delle doglianze, che si limitano a riproporre questioni già
esaminate e trattate in precedenza nella sentenza pronunciata da questa Corte
(Sez. 6, n. 30210 del 13/06/2019) sul ricorso proposto in questo stesso
procedimento dal S. avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma che, in accoglimento
dell’appello del pubblico ministero, aveva disposto nei suoi confronti l’applicazione
della misura cautelare della custodia in carcere.
Non a caso, la stessa ordinanza impugnata ha dato atto che le argomentazioni
difensive proposte sono sostanzialmente identiche a quelle affrontate nella
precedente impugnazione.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente ex art. 616 c.p.p. al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020