Sentenza, Suprema Corte di Cassazione, V Sezione Penale, 30 gennaio – 31 marzo 2020, N. 10904, Atti persecutori:

In questa occasione, i giudici di legittimità hanno chiarito che le condotte di minacce, pedinamenti, atti vandalici e insistenti telefonate nei confronti della ex compagna non possono essere scrimanate ai sensi dell’art. 51 c.p., non essendo afferenti all’esercizio del potere genitoriale nei confronti del figlio minore.

Suprema Corte di Cassazione, V Sezione Penale, 30 gennaio – 31 marzo 2020, N. 10904:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente –
Dott. MORELLI Francesca – rel. Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere –
Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/02/2018 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA MORELLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento con rinvio in relazione al 7 e 8 motivo. Rigetto nel
resto.
Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del
Tribunale di Asti che aveva condannato G.A. per atti persecutori in danno di R.S..

Propone ricorso il difensore dell’imputato articolando otto motivi, di cui il primo deduce la
nullità della sentenza in quanto la Corte di appello avrebbe indebitamente nominato un sostituto
del difensore di fiducia, avv. Lattanzio, che aveva dichiarato di aderire all’astensione dalle
udienze decisa dalle Camere penali, disponendo la rinnovazione del decreto di citazione in
quanto non erano stati rispettati i termini di comparizione.
Oltretutto, a dire del ricorrente, la notificazione del decreto di citazione non era stata
rinnovata, sicchè era da ritenere del tutto illegittima la dichiarazione di assenza, nè l’imputato
aveva ricevuto notizia degli ulteriori rinvii, con conseguente lesione del diritto di difesa.
2.1. Con il secondo motivo si eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato prima della
pronuncia della sentenza di appello, attesa la sostanziale disapplicazione delle recidiva (visto
che non vi era stato alcun aumento di pena a tale titolo) e considerata l’impossibilità di calcolare
come periodo di sospensione del decorso della prescrizione il rinvio dovuto all’astensione del
difensore, poichè la Corte aveva proceduto ugualmente.
Gli altri periodi di sospensione del corso della prescrizione, per effetto di rinvii su istanza delle
parti, non potrebbero essere calcolati per un periodo superiore a tre mesi.
2.2. Con il terzo motivo si deducono vizi motivazionali per la mancata replica, da parte della
Corte di appello, alle censure contenute nel gravame in punto sussistenza del reato.
La difesa ripropone tutte le doglianze svolte nel giudizio di merito e, a suo dire, pretermesse,
soffermandosi sulla impossibilità di configurare il reato contestato e sulla inattendibilità della
persona offesa e di alcuni testimoni.
In particolare, nell’atto di appello, si sosteneva che:

l’equivoco di fondo sarebbe consistito nel ritenere vessatorie condotte del ricorrente dirette
esclusivamente ad esercitare il proprio diritto, garantito anche dalla legislazione comunitaria, di
avere rapporti affettivi e di frequentazione con il figlio minorenne, nato dalla relazione con la
persona offesa;

a tutto concedere all’accusa, sarebbe quindi ravvisabile la scriminante dell’avere agito
nell’esercizio di un diritto o nelle adempimento di un dovere, inerenti alla condizione di
genitore;

avrebbero dovuto essere riconosciute le attenuanti di cui all’art. 62 c.p., nn. 1, 2 e 5, e la
continuazione;

la decisione di primo grado imponeva una serie di approfondimenti istruttori;

la querelante avrebbe dovuto essere condannata al risarcimento dei danni ed alla rifusione
delle spese di difesa dell’imputato ai sensi degli artt. 427 e 542 c.p.p..
2.3. Con il quarto motivo si deduce il vizio di motivazione per avere omesso, la Corte, di
pronunciarsi sulle richieste istruttorie formulate nell’atto di appello (la trascrizione di messaggi
SMS, l’acquisizione dei verbali delle testimonianze, rese in altra sede, da R.G. e P.R., l’audizione
del teste S.G., l’acquisizione delle dichiarazioni rese da C.I., gli atti del procedimento a carico di
B.M.).
2.4. Con il quinto e sesto motivo si deducono violazione di legge e vizi motivazionali in quanto la
Corte di appello si sarebbe pronunciata su un punto della sentenza di primo grado non oggetto di
gravame, vale a dire la sussistenza della recidiva.
2.7. Con il settimo e l’ottavo motivo si deduce la violazione dell’art. 81 c.p., per il diniego del
riconoscimento del vincolo della continuazione con altri fatti giudicati con sentenza irrevocabile.
Motivi della decisione

Con riguardo al primo motivo di ricorso, esaminati gli atti, va rilevato che:

la Corte di appello aveva fissato l’udienza per la celebrazione del giudizio al 13.6.17;

il decreto di citazione era stato notificato personalmente all’imputato il 27.5.17, quindi senza
il rispetto del termine a comparire;

il difensore, avv. Lattanzio, aveva inviato alla Cancelleria della Corte, per posta elettronica, il
7.6.17, la dichiarazione di adesione all’astensione dalle udienze nel periodo dal 12 al 16 giugno –
all’udienza del 13 giugno, la Corte di appello aveva sostituito l’avv. Lattanzio con un difensore di
ufficio, aveva rilevato il mancato rispetto del termine a comparire ed aveva rinviato la
celebrazione del giudizio all’udienza del 26.10.17 “tutte le parti edotte”;

l’udienza del 26.10.17 era stata rinviata per ragioni di ufficio al 19.2.18 e se ne era dato avviso
all’avv. Lattanzio;

all’udienza del 19.2.18 l’avv. Lattanzio era comparso ed aveva richiesto di verificare la
regolarità della costituzione delle parti, la Corte aveva replicato, a verbale, che alla prima
udienza si era rilevato il mancato rispetto dei termini a comparire ed era stato disposto il rinvio
per consentirne il decorso; di seguito il processo era stato discusso nel merito.
1.1. Tutto ciò premesso, il motivo è infondato, essendo legittima la verifica della regolare
costituzione delle parti in caso di assenza dell’imputato o di adesione del difensore all’astensione
collettiva dalle udienze, in quanto preliminare rispetto alla valutazione del prospettato
impedimento a comparire (Sez. 6 – n. 14396 del 10/01/2019 Rv. 275431; N. 37534 del 2014 Rv.
260784 -, N. 21719 del 2008 Rv. 240103; SSUU N. 8285 del 2006 Rv. 232905).
In particolare, la giurisprudenza di questa Corte ritiene legittima la declaratoria di contumacia
previa nomina di un difensore di ufficio in sostituzione di quello di fiducia che ha dichiarato di
aderire alla astensione (Sez. 2, n. 37534 del 03/06/2014 Rv. 260784).
Correttamente, quindi, la Corte di appello ha disposto il rinvio per il mancato rispetto dei
termini a difesa, pur se il difensore di fiducia aveva aderito all’astensione proclamata
dall’Associazione di categoria.
1.2. La violazione del termine a comparire nel giudizio di appello determina una nullità a regime
intermedio che va eccepita entro i termini di cui agli artt. 180 e 182 c.p.p., (Sez. 5 n. 25777 del
06/03/2019 Rv. 276515 “In tema di giudizio di appello, la violazione del termine a comparire di
venti giorni stabilita dall’art. 601 c.p.p., comma 3, non risolvendosi in una omessa citazione
dell’imputato, costituisce una nullità a regime intermedio che risulta sanata nel caso in cui non
sia eccepita entro i termini previsti dall’art. 180, richiamato dall’art. 182 c.p.p., “Precedenti
Conformi: N. 30019 del 2014 Rv. 259978, N. 39221 del 2015 Rv. 264721, N. 40897 del 2012 Rv.
255005, N. 2954 del 2010 Rv. 245844) ed entro tale termine deve essere svolta anche l’eventuale
censura relativa alla mancata rinnovazione della notifica del decreto di citazione e del verbale
di udienza contenente la data del rinvio.
Orbene, l’avv. Lattanzio, presente all’udienza del 19.2.18 in cui il processo è stato trattato, dopo
avere chiesto la verifica della regolare costituzione delle parti, reso edotto che vi era stato un
rinvio dell’udienza per consentire l’intero decorso del termine a comparire, nulla ha eccepito in
ordine alla omessa rinnovazione della notifica del decreto di citazione e del verbale con
l’udienza di rinvio ed ha discusso nel merito il processo, così sanando eventuali nullità a regime
intermedio.

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il reato è commesso sino al 31.5.10 ed è stata contestata la recidiva reiterata
infraquinquennale, sicchè il termine di prescrizione scade non prima del 31.5.20, poichè la
recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, comporta l’aumento di due terzi del termine ordinario di sei
anni nel caso in cui siano presenti atti interruttivi (art. 161 c.p., comma 2, ultimo capoverso).
Il difensore sostiene che la recidiva era stata disapplicata dal giudice di primo grado ma ciò non
risponde al vero; il Tribunale ha concesso le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza
sulle aggravanti e sulla recidiva, il che, evidentemente, è cosa diversa dall’avere escluso o
disapplicato la recidiva.
La manifesta infondatezza del secondo motivo travolge anche il quinto e sesto motivo, che sono
fondati sull’identico, errato, presupposto, che il Tribunale avesse escluso la recidiva.

Sono inammissibili anche il terzo e quarto motivo di ricorso, alla luce della completa
motivazione della Corte di appello.
Va ricordato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è in via esclusiva riservata al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una
diversa e, per il ricorrente, più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez.V
27.2.15 n15977) sicchè il ricorso è inammissibile per la parte in cui pretende di valutare, o
rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarne conclusioni in contrasto con quelle del giudice
del merito chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete.
3.1. Le dichiarazioni della persona offesa, che nel presente procedimento non è neppure
costituita parte civile ed alla quale non fa capo, quindi, alcun interesse economico, possono da
sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di
responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della
credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, verifica che
deve essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di
qualsiasi testimone.
A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la
formazione del suo convincimento, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che
ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una
specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla
motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle
specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che
conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa
(Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014 Ud. – dep. 14/01/2015 – Rv. 261730).
3.2. Facendo applicazione di tali principi, va osservato che:

non hanno rilevanza alcuna, e in tal senso si è correttamente espressa la Corte di merito, gli
argomenti relativi ai rapporti padre-figlio, dato che le condotte vessatorie contestate
nell’imputazione e ritenute provate nel giudizio di merito sono state dirette esclusivamente nei
confronti della ex convivente, e madre del bambino, senza alcun nesso con la condizione di
genitore dell’imputato e della parte offesa (in particolare, si è escluso che le chiamate
telefoniche, le minacce ed i pedinamenti, per le modalità e la frequenza, fossero finalizzati ad
incontrare o ad avere notizie del bambino);

le condotte vessatorie sono state ricostruite in base alle dichiarazioni della persona offesa, non
costituita parte civile, ritenuta attendibile con giudizio in fatto adeguatamente motivato ed
incensurabile in questa sede, oltre che di alcuni testimoni, parimenti ritenuti attendibili, e sono
consistite in: incursioni in casa, danneggiamenti dell’autovettura della persona offesa e dei
genitori, innumerevoli chiamate telefoniche a qualsiasi orario, minacce di morte, atti vandalici,
quali la rottura delle serrature di casa o l’imbrattamento dei muri esterni dell’edificio,
pedinamenti;

a fronte di un quadro di prova completo ed esaustivo, quale quello delineato nelle due
sentenze di merito, il ricorso non indica la decisività degli approfondimenti istruttori del cui
diniego si duole;
in sostanza, le prove indicate, prevalentemente dichiarative, sono volte ad ottenere una diversa
valutazione degli avvenimenti, in chiave difensiva, ma non certamente a scardinare la tenuta
logica della ricostruzione operata nel giudizio di merito (Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019 Rv.
277035 “La prova decisiva, la cui mancata assunzione può essere dedotta in sede di legittimità a
norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo
accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato è destinato ad
essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di
prospettare l’ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente”);

atteso il tenore della decisione della Corte di appello e il tipo di ricostruzione dei fatti, del
tutto eccentrica appare la richiesta di concessione delle attenuanti di cui all’art. 62 c.p., nn. 1,
2 e 5 (il cui diniego è stato comunque correttamente motivato nella sentenza impugnata) e della
condanna della persona offesa al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese di difesa
dell’imputato ai sensi degli artt. 427 e 542 c.p.p..

Sono invece fondati il settimo ed ottavo motivo di ricorso, in cui ci si duole del mancato
riconoscimento della continuazione con i fatti giudicati con sentenza della Corte di Cassazione n.
39519 del 2012.
La Corte di appello ha escluso la continuazione in forza di un argomento meramente formale,
sostenendo che la produzione, da parte della difesa, della sola sentenza della Corte di
Cassazione, oltretutto ricavata da una rivista giuridica, quindi senza i nomi delle parti e la data
dei fatti, non soddisfacesse all’onere di allegazione che incombe a chi voglia vedersi riconosciuta
l’unicità del disegno criminoso con altri fatti.
Pur ove si intendesse aderire alla giurisprudenza più rigorosa, secondo cui l’imputato che intenda
richiedere, nel giudizio di cognizione, il riconoscimento della continuazione in riferimento a
reati già giudicati non può limitarsi ad indicare gli estremi delle sentenze rilevanti a tal fine, ma
ha l’onere di produrne la copia, non essendo applicabile in via analogica la disposizione di cui
all’art. 186 disp. att. c.p.p., dettata per la sola fase esecutiva, e ciò al fine di impedire richieste
intenzionalmente dilatorie ed a garantire la celerità del rito (Sez. 6, n. 19487 del 06/02/2018
Rv. 273380 e precedenti conformi: N. 35600 del 2012 Rv. 253895, N. 9275 del 2014 Rv. 259069,
N. 2795 del 2015 Rv. 262583, N. 51689 del 2017 Rv. 271581), non si può ritenere che il ricorrente
abbia completamente mancato in tal senso.
La copia della sentenza della Corte di Cassazione prodotta dalla difesa innanzi alla Corte di
appello, valutata unitamente al certificato del casellario giudiziale, consentiva agevolmente di
verificare che i fatti per cui il G. era stato condannato con la sentenza divenuta irrevocabile il
5.6.12 attenevano ad atti persecutori commessi nei confronti della medesima persona offesa in
un arco di tempo immediatamente precedente rispetto a quello oggetto del presente giudizio (in
quella sede le condotte si erano esaurite nel novembre del 2009, l’odierna imputazione riguarda
fatti commessi a partire dal mese di gennaio e fino al maggio 2010).
La richiesta di riconoscere il vincolo della continuazione fra le diverse condotte dovrà quindi
essere rivalutata da altra Sezione della Corte di appello di Torino.

La natura del reato e i rapporti fra le parti impongono particolari cautele nella diffusione del
presente provvedimento, per il cui caso si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati
identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla continuazione, con rinvio per nuovo
esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.
Rigetta nel resto il ricorso.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e
gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2020.

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