Sentenza, Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, 17 gennaio 2020, n. 844, Vendita a scopo di garanzia – Patto Marciano – Patto commissorio:

In questa occasione, i giudici di legittimità affermavano la compatibilità della vendita a scopo di garanzia con separato patto marciano all’art. 2744 c.c., qualora le parti, fin dalla stipulazione del patto, avessero stabilito che, in caso di inadempimento del debitore alienante, il bene trasferito a garanzia fosse stato venduto previa stima, da effettuarsi con criteri oggettivi e imparziali. Con queste accortezze, il debitore è tutelato da approfittamenti del creditore, ottenendo, in caso di vendita, l’eccedente tra il valore del bene e il debito residuo.

Corte Suprema di Cassazione, Sezione Terza Civile, 17 gennaio 2020, n. 844:

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17939-2018 proposto da:
M.A., S.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BARSANTI 6, presso lo studio
dell’avvocato DE NARDO M. UFFICIO RECAPITO, rappresentati e difesi
dall’avvocato ANTONIO TOMEO;

ricorrenti –
contro
MA.CA., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANAGNI 116, presso lo studio
dell’avvocato UMBERTO GUERRIERO, rappresentata e difesa dagli avvocati
ANGELO GUERRIERO, LUCIA BONAVITA;

controricorrente –
avverso la sentenza n. 1363/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata
il 30/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/09/2019 dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO
che ha concluso per il rigetto;
udito l’Avvocato TOMEO ANTONIO;
udito l’Avvocato GUERRIERO ANGELO.
Svolgimento del processo
Ma.Ca. ha acquistato la proprietà di un immobile da S.M., con contestuale contratto
di comodato a favore di quest’ultimo al fine di consentirgli di abitare con la moglie
nell’immobile appena alienato.
La vendita è stata accompagnata da alcune previsioni specifiche. Intanto le parti
hanno previsto che il S., ossia l’alienante, si impegnava oltre che a pagare il residuo
mutuo, il cui pagamento era garantito da fideiussione dell’acquirente, altresì a
pagare un debito che aveva contratto con il figlio di quest’ultima.
Era previsto che in caso di avvenuto pagamento del debito l’acquirente aveva
l’obbligo di ritrasferire il bene; viceversa in caso di debito non adempiuto l’acquirente
aveva diritto a vendere il bene, e previa stima del valore, a corrispondere al
venditore la differenza tra il valore dell’immobile ed il debito rimasto ancora da
pagare.
Poichè l’alienante è rimasto inadempiente, l’acquirente ha messo, come d’accordo,
l’immobile in vendita, e ne ha richiesto la restituzione.
Ha dunque agito in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile, che, a titolo di
comodato, l’alienante e la sua famiglia continuavano a detenere.
Il Tribunale, in primo grado, ha rigettato la domanda ritenendo simulata l’intera
operazione negoziale, sia per difetto di prova del pagamento del prezzo, sia perchè il
godimento era rimasto all’alienante.
La Corte d’Appello ha smentito la tesi della simulazione ed ha rilevato la nullità del
contratto di comodato, per difetto di trascrizione.
Avverso tale sentenza S.M. e M.A. propongono sei motivi di ricorso. V’è costituzione
della Ma. con controricorso.
Motivi della decisione
1.- La ratio della sentenza impugnata è la seguente. Le parti hanno concluso una
vendita con funzione di garanzia. Quelli che dal giudice di primo grado erano ritenuti
elementi indiziari della simulazione (ossia difetto di corrispettivo, detenzione rimasta
all’alienante, ecc.) sono invece dalla decisione di secondo grado intesi come indizi
della funzione di garanzia dell’alienazione, alla quale accede il comodato.
Si tratta dunque di una operazione effettiva e non simulata, solo che il comodato
difetta di trascrizione ed è nullo ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346
(finanziaria del 2005).
Va precisato che la domanda iniziale dell’attrice era semplicemente di restituzione
del bene concesso in comodato.
2.- Il ricorso dei coniugi, alienanti e comodatari, si articola su sei motivi, il primo dei
quali è però esclusivamente riferito alla moglie dell’alienante, ossia M.A., mentre gli
altri cinque riguardano l’interpretazione e la qualificazione dell’operazione negoziale
posta in essere.
2.1.- I motivi quarto e quinto possono esaminarsi congiuntamente e riguardano la
corretta interpretazione e qualificazione del contratto. Essi sono fondati, con
conseguente assorbimento degli altri.
Con tali motivi si denuncia erronea interpretazione delle norme sul patto marciano, e
sulla validità di esso in caso in cui accede ad un patto commissorio, e dunque degli
artt. 2744, 1418 e 1344 c.c..
Per meglio intendere questi motivi, occorre ricostruire la vicenda contrattuale, ed il
modo in cui l’ha interpretata la corte di merito.
In concreto, le parti hanno concluso due atti.
In un primo momento hanno stipulato un atto pubblico, davanti al notaio, qualificato
come di vendita, ed ivi hanno dato atto del pagamento da parte della Ma. del
corrispettivo, mediante tre assegni da venti mila Euro e mediante accollo della
restante parte del mutuo.
Con una successiva scrittura privata, le parti hanno precisato che l’alienazione che
hanno concluso dal notaio è in realtà fatta a soli fini di garanzia, ossia quale
assicurazione da parte del S. di pagamento del suo debito verso il figlio della Ma.
(acquirente).
Secondo i ricorrenti si tratterebbe di una controdichiarazione che dimostra la
simulazione della vendita, ed erroneamente sarebbe qualificata dalla corte di appello
come una scrittura integrativa dell’alienazione in garanzia.
In realtà l’interpretazione fatta dal giudice di merito è immune da vizi. La
controdichiarazione si interpreta al pari di ogni altro patto privato, e la corte ha
valorizzato le espressioni usate dalle parti, ossia la dichiarazione di voler attribuire
alla precedente vendita uno scopo di garanzia e non di scambio.
Del resto, la controdichiarazione è tale quando espressamente asserisce la natura
simulata della dichiarazione principale, mentre qui tale natura non è affatto affermata
dalle parti che non dichiarano di aver simulato la vendita davanti al notaio, bensì
dichiarano di averla voluta effettivamente ma a scopo di garanzia e non di scambio.
La controdichiarazione dunque non è di simulazione, ma di qualificazione dello
scopo concreto dell’atto.
Va evidenziato peraltro come spesso si fraintende il rapporto tra vendita simulata e
vendita fatta a scopo di garanzia.
La stessa prassi a volte utilizza indici presuntivi della simulazione (il possesso
rimasto in capo all’alienante, la preesistenza di un debito dell’alienante a favore
dell’acquirente, la mancata trascrizione), che in realtà sono indici dello scopo di
garanzia.
Va considerato che quest’ultimo mira ad una proprietà momentanea in capo al
creditore, e questa era in passato la ragione di autorevoli dubbi sulla circostanza che
la causa di garanzia potesse essere sufficiente a sorreggere il trasferimento del
diritto.
Giova brevemente ripercorrere la questione.
Secondo quest’ultima, ricostruzione lo scopo di garanzia mira a creare una proprietà
temporanea in capo all’acquirente che, in caso di adempimento del debito, è
obbligato alla restituzione, e questa proprietà temporanea nient’altro sarebbe che
una proprietà fiduciaria, ossia una fiducia cum creditore, non ammessa nel nostro
ordinamento.
E’ noto che la replica migliore a questo argomento è stata di far presente che altro è
la regola della tipicità dei diritti, altro quella degli atti traslativi, e che le parti possono
ben trasferire un diritto tipico e nominato (la proprietà) anche con atti atipici, come,
per l’appunto, una vendita fatta a scopo di garanzia.
Inoltre, la causa atipica di alienazione in garanzia non influisce sul contenuto del
diritto di proprietà, nel senso di renderlo diverso da quello tipico, e ciò in quanto
l’acquirente in garanzia ha tutte le facoltà di dominio proprie del proprietario, potendo
disporre e godere della cosa al pari di quello; inoltre la proprietà che si realizza in
capo all’acquirente non è temporanea in senso tecnico, ma è una situazione
assimilabile all’acquisto sotto condizione o sotto patto di riscatto, ossia destinata a
risolversi, ma nata come definitiva.
Infine, gli obblighi che gravano sull’acquirente (di retrocedere il bene in caso di
adempimento) non attengono alla vendita, ma derivano da un patto aggiunto che
qualifica quella vendita come fatta in garanzia; ed è il nostro caso, in cui le parti
hanno previsto una controdichiarazione in tal senso, il che opera ad ulteriore
dimostrazione della effettività dello scopo di garanzia.
Correttamente qualificata come vendita a scopo di garanzia, la corte avrebbe dovuto
però tenere in considerazione la sua compatibilità con il divieto del patto
commissiorio, alla luce del fatto che le parti avevano cercato di evitare il contrasto
con l’art. 2744 c.c. inserendo nello schema negoziale un patto marciano.
Secondo i ricorrenti il patto marciano rende valida la stipulazione commissoria solo
se è preventivamente convenuto un metodo imparziale di stima del bene, evitando
che quest’ultima sia affidata alla discrezionalità del creditore che potrebbe dunque
approfittarne.
A conferma di questa tesi si cita il precedente di Cass. 1624/2015.
La tesi, come si è detto è fondata, ma la questione esige un chiarimento.
Intanto, va chiarito perchè mai se ad un patto commissorio (il creditore trattiene la
cosa data in garanzia all’inadempimento del debitore) accede un patto marciano (il
creditore vende la cosa, previa stima, e restituisce l’eccedenza al debitore) la
pattuizione non ricade nel divieto dell’art. 2744 c.c..
Tradizionalmente si argomenta dalla ratio della norma suddetta. Siccome l’opinione
prevalente ritiene che la ratio del divieto del patto commissorio stia nella tutela del
debitore da approfittamenti del creditore, allora nel caso di patto marciano il rischio di
tali approfittamenti è nullo; ed infatti coloro che attribuiscono al divieto del patto
commissorio una ratio diversa, ad esempio la tutela della par condicio creditorum,
ritengono nulla la pattuizione pure in presenza di un patto marciano tra creditore e
debitore.
In realtà la liceità del patto commissorio cui accede un patto marciano sta
nell’analogia con il pegno irregolare (art. 1851 c.c.) il quale consente al creditore che
abbia ricevuto in pegno cose fungibili di appropriarsene all’inadempimento del
debitore restituendo però a quest’ultimo l’eccedenza di valore (tra le cose date in
pegno e l’ammontare del debito). Il patto marciano, che come è noto non è figura
tipica, persegue esattamente lo stesso scopo rispetto a beni non dati in pegno ma
alienati in garanzia; ossia consente al creditore di appropriarsene restituendo al
debitore la differenza di valore.
Nè può obiettarsi che l’art. 1851 c.c. è norma eccezionale, come tale insuscettibile di
applicazione analogica in quanto non è affatto eccezione rispetto al principio
generale dell’art. 2744 c.c., ma rispettoso della medesima ratio, anzi conseguenza di
quel principio in quanto mira anche esso ad evitare approfittamenti del creditore ai
danni del debitore.
Tuttavia, proprio in quanto il patto marciano può consentire di evitare approfittamenti
del creditore ai danni del debitore, è necessario che le parti abbiano previsto criteri di
stima del bene al momento della convenzione marciana.
Come ricordato da questa corte, è necessario che le parti abbino previsto
“meccanismi oggettivi e procedimentalizzati che….. permettano la verifica di
congruenza tra valore del bene oggetto della garanzia, che viene definitivamente
acquisito al creditore, ed entità del credito; per la stessa ragione, non avrebbe tale
effetto la verifica del “giusto prezzo” al momento della conclusione del
contratto” (Cass. 1625/2015).
Più precisamente occorre che la stipulazione ” preveda, per il caso ed al momento
dell’inadempimento ossia quando si attuerà coattivamente la pretesa creditoria (cfr.
art. 1851 c.c.), un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi certi e con
modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto
ancorata a parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona indipendente ed
esperta la quale a detti parametri farà riferimento (cfr. art. 1349 c.c.), al fine della
corretta determinazione dell’an e del quantum della eventuale differenza da
corrispondere all’utilizzatore. La pratica degli affari potrà poi prevedere diverse
modalità concrete di stima, purchè siano rispettati detti requisiti. L’essenziale è che
risulti, dalla struttura del patto, che le parti abbiano in anticipo previsto che, nella
sostanza dell’operazione economica, il debitore perderà eventualmente la proprietà
del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perchè
il surplus gli sarà senz’altro restituito” (Cass. N. 1625/2015).
Nella fattispecie queste condizioni non risultano rispettate, mancando del tutto la
previsione di criteri di stima oggettivi che assicurino la valutazione imparziale del
valore del bene per il successivo momento della eventuale vendita.
Nè può considerarsi tale l’indicazione della persona del marito della creditrice,
indicato come tale da farsi garante del rispetto dell’accordo, indicazione che
ovviamente è talmente generica da non soddisfare le condizioni di obiettività della
stima che si sono prima specificate.
L’accoglimento del quarto e quinto motivo comporta assorbimento degli altri.
Il ricorso va dunque accolto nei predetti termini, e la sentenza cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie quarto e quinto motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza
impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione,
anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020