Sentenza, Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, 10 luglio 2018, n. 18140, Filiazione – Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità:

In tema di azione ex art. 263 c.c, i giudici di legittimità hanno affermato che la prova della impossibilità assoluta del concepimento non è diversa da quella delle altre azioni di disconoscimento o accertamento della paternità, ossia la mancanza del rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre.

Corte Suprema di Cassazione, Sezione I Civile, 10 luglio 2018, n. 18140:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21601/2015 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di
Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS),
rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

controricorrente –
avverso la sentenza n. 774/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 14/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/05/2018 dal cons. SAMBITO
MARIA GIOVANNA C.;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO FEDERICO, che
ha chiesto il rigetto.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Ancona la figlia minore (OMISSIS)
impugnando per difetto di veridicita’ il riconoscimento della paternita’ da lui prestato davanti
all’Ufficiale dello stato civile, ed affermava che in realta’ (OMISSIS) era nata dall’unione della
madre, (OMISSIS), con altro uomo, di cui ha indicato l’identita’ in maniera non certa,
individuandolo in “tale sig. (OMISSIS)”. Nella resistenza di madre e figlia, quest’ultima
rappresentata dal curatore speciale nominato dal GT, il Tribunale adito, espletata prova
testimoniale e disposta prova ematologica, non eseguita per il rifiuto della figlia a sottoporsi al
prelievo, rigettava la domanda.
La decisione veniva confermata con sentenza n. 774/15 – emessa a seguito della riassunzione
del giudizio, gia’ interrotto per il decesso della madre – dalla Corte d’Appello di Ancona che,
dopo aver rilevato come l’azione di impugnazione del riconoscimento della paternita’, per difetto
di veridicita’, postulasse, a norma dell’articolo 263 c.c., la dimostrazione dell’assoluta
impossibilita’ del rapporto di paternita’ biologica, in cio’ differendo dall’azione di
riconoscimento, soggetta a minor rigore probatorio, rilevava che la relazione del (OMISSIS) con
la (OMISSIS) e la loro convivenza al tempo del concepimento, in un appartamento da lui
allestito, risultava incontroversa, aggiungeva che il riconoscimento di paternita’ era avvenuto in
prossimita’ della nascita di (OMISSIS), e che nel corso degli anni il (OMISSIS) aveva anche
intrapreso azioni giudiziarie volte a tutelare la propria potesta’ genitoriale, pur se il rapporto con
la figlia era stato sempre connotato da gravi difficolta’ di relazione, anche per l’ostilita’ della
(OMISSIS), e tanto costituiva una ragione idonea a giustificare il comportamento processuale
della figlia ed il suo rifiuto a sottoporsi all’esame ematologico, comportamento ritenuto,
comunque, non decisivo, in assenza della prova della relazione della madre con altri uomini nel
periodo del concepimento. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi,
resistiti con controricorso da (OMISSIS). All’esito dell’adunanza del 23.2.2017, la causa e’ stata
rinviata alla pubblica udienza. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, si deduce: “Erroneita’ della sentenza impugnata per violazione
dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 nel punto in cui evidenzia l’assenza assoluta di prova
del fatto che nel periodo del verosimile concepimento di (OMISSIS) la madre naturale (
(OMISSIS)) frequentasse altre persone con particolare riferimento a tale sig. (OMISSIS) (punto n.
5 pagg. 3 e 4 sentenza impugnata). Violazione e falsa applicazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5
nel punto in cui ritiene pacifiche tra le parti le circostanze indicate in sentenza (punto n. 4 pag. 3
sentenza impugnata)”.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce: “Erroneita’ e nullita’ della sentenza impugnata ex
articolo 360 c.p.c., n. 3 e erroneita’ della sentenza impugnata ex articolo 360 c.p.c., n. 4 per
violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. per aver ritenuto la Corte territoriale che il
rifiuto di sottoporsi ai prelievi ematici sia insufficiente ad affermare la non veridicita’ del
riconoscimento. Erroneita’ della sentenza ex articolo 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa
applicazione del disposto normativo di cui dell’articolo 263 c.c. Contraddittorieta’ manifesta;
erronea valutazione dei documenti di causa (punti n. 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 sentenza
impugnata)”.

I motivi, da valutarsi congiuntamente per la loro connessione, vanno rigettati, pur se va, in
parte, corretta la motivazione.

Occorre, infatti, rilevare che il principio, affermato da giurisprudenza di legittimita’ (Cass. n.
17095 del 2013; n. 17970 del 2015) e da cui muove l’impugnata sentenza, secondo cui l’azione di
impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicita’ postula, a norma
dell’articolo 263 c.c., la dimostrazione della assoluta impossibilita’ che il soggetto, che abbia
inizialmente compiuto il riconoscimento, sia, in realta’, il padre biologico del soggetto
riconosciuto come figlio, e’ stato, condivisibilmente, rimeditato da questa Corte, che, con la
recente sentenza n. 30122 del 14.12.2017, ha evidenziato come siffatta dimostrazione non sia
dettata dalla legge, ne’, alla luce dell’evoluzione del diritto positivo e della concezione sociale dei
valori (valga al riguardo la significativa abolizione della qualificazione come “legittima” o
“naturale” della filiazione), siano piu’ attuali le ragioni che le avevano dato origine,
sostanzialmente fondate sul disvalore di un concepimento al di fuori del matrimonio, e dunque
sulla ritenuta natura confessoria del riconoscimento della susseguente nascita, assunta,
appunto, come una “colpa” di chi lo aveva effettuato.

Non vi e’, dunque, piu’ ragione di esigere che la prova in materia di impugnazione del
riconoscimento debba esser diversa rispetto all’istituto affine, anch’esso volto alla rimozione
dello status filiationis, del disconoscimento della paternita’, dato che, in entrambe le ipotesi, si
determina la privazione sopravvenuta di tale status per cause estranee alla sfera di volonta’ e
responsabilita’ del soggetto destinato a subirne gli effetti, dovendo percio’ concludersi che le
valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione
debbano essere orientate dal favor veritatis, come comprova il fatto che la riforma del 2012 e
2013 ha avvicinato le discipline e come puo’ desumersi dalla sentenza n. 272 del 18.12.2017 della
Corte Cost. che non lo ha ritenuto recessivo rispetto alla valutazione dell’interesse del minore,
imposta da fonti interne e sovranazionali, alla conservazione dello status.

Pur al lume di tali principi, la sentenza resiste alle critiche che le vengono mosse.

Col primo motivo, volto ad infirmare la conclusione del giudice territoriale, secondo cui nel
periodo del concepimento (settembre 1983) non vi era prova di relazioni della madre con altre
persone, ed, in particolare, col tal (OMISSIS), il ricorrente sottolinea, anzitutto, come la
(OMISSIS) fosse ancora coniugata con (OMISSIS), sicche’ sussisteva la presunzione di
concepimento durante il matrimonio, e: a) censura la mancata ammissione di tutti i capitoli di
prova testimoniale volti a dimostrare che la madre “manteneva rapporto con altre persone”
durante la convivenza con esso ricorrente, che, peraltro, frequentava la casa della donna
sporadicamente; b) lamenta il mancato apprezzamento dell’intera deposizione della teste
(OMISSIS) e la mancata ammissione della teste de relato (OMISSIS); c) contesta che siano
pacifiche le circostanze indicate al punto 4 di pag. 3 della sentenza.

Va premesso che, ad onta della formulazione poco ortodossa, sottolineata dalla
controricorrente, la deduzione di piu’ censure nell’ambito di un unico motivo e’ ammissibile:
l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate non costituisce, infatti, un requisito
autonomo ed imprescindibile del ricorso, ma e’ solo funzionale a chiarirne il contenuto e a
identificare i limiti della censura formulata, sicche’ la relativa omissione puo’ comportare
l’inammissibilita’ della singola doglianza solo nel caso, qui non ricorrente, in cui gli argomenti
addotti non consentano di individuare le norme e i principi di diritto asseritamente trasgrediti, e
di delimitare le questioni sollevate (Cass. n. 21819 del 2017; n. 25044 del 2013).

Le sub-censure sono, ciononostante, tutte inammissibili per le seguenti ragioni.

Premesso che della questione relativa al rapporto di coniugio della madre al tempo del
concepimento e della presunzione di legittimita’ della figlia la sentenza non tratta affatto, talche’
la questione e’ inammissibile per la sua novita’ (oltre che irrilevante, essendo intervenuto il
riconoscimento di paternita’ da parte dell’odierno ricorrente, la cui impugnazione e’ appunto
oggetto della contesa), va rilevato, in relazione alla prima di esse, che, in base alla nuova
formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di elementi istruttori non
integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo quando, come nella specie, il
fatto storico rilevante in causa (relazione della madre con terzi nel periodo del concepimento) sia
stato preso in considerazione dal giudice (Cass. SU n. 8053 del 2014), senza dire che la doglianza
sarebbe stata inammissibile, pure, in riferimento al precedente testo della norma processuale, in
quanto i capitoli di prova, trascritti in seno al ricorso, sono, per un verso, articolati in modo del
tutto generico (in relazione al tipo di rapporti ed alle persone coinvolte) e, per altro verso, non
sono affatto decisivi (i tempi di frequentazione della casa della madre da parte del ricorrente
sono del tutto irrilevanti in relazione al thema probandum).

In relazione alla seconda sub-censura, va rilevato che la parte della deposizione, in tesi,
erroneamente non valutata – e cioe’ la circostanza che la figlia di poco piu’ di un anno sarebbe
stata affidata al (OMISSIS) – e’ volta a suggerire un preteso consolidamento di pregressi contatti,
ed, in via inferenziale, la paternita’ dello stesso, il che integra una mera ipotesi di ricostruzione
dei fatti, che attiene al merito e sfugge al sindacato di legittimita’, e parimenti incensurabile in
questa sede e’ il mancato esercizio della facolta’ discrezionale di ammissione della testimonianza
de relato (nella specie relativa a frequentazione della madre col (OMISSIS) riferita al 1984, epoca
successiva al concepimento) in quanto presuppone, anch’essa, un apprezzamento delle prove
gia’ acquisite.

Quanto alla terza sub-censura, basta osservare che cio’ che il ricorrente contesta non e’
l’elenco dei fatti ritenuti incontroversi dal giudice territoriale (riassunti in narrativa), ma
l’apprezzamento degli essi, valutazione che, tuttavia, e’ rimessa, com’e’ nozione ricevuta, al
giudice di merito, cui spetta, nell’esercizio del potere discrezionale istituzionalmente
demandatogli, individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza e,
infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti piu’ idonei a
dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, e, quindi, valutare l’opportunita’ di
fare o meno ricorso alle presunzioni, con apprezzamento di fatto che, giova ribadire, e’ estraneo
al sindacato di legittimita’.

Resta da aggiungere che la dedotta violazione della legge processuale, contenuta
nell’intitolazione del motivo, che richiama l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 non risulta
ulteriormente sviluppata.

In relazione al secondo motivo, va rilevato che, in materia di accertamenti relativi alla
paternita’ e alla maternita’, la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 3563 del 2006; n. 14462
del 2008; n. 23290 del 2015; n. 18626 del 2017) ha, piu’ volte, affermato che la consulenza
tecnica immunoematologica costituisce lo strumento piu’ idoneo, avente margini di sicurezza
elevatissimi, per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione naturale e che, data la
particolare valenza di tale accertamento, il rifiuto di sottoporvisi integra una scelta non
coercibile ma suscettibile di esser valutata, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c. in modo
tendenzialmente coerente con il grado di efficacia probatoria dell’esame, semprecche’, tuttavia, il
rifiuto stesso risulti aprioristico ed ingiustificato.

Nella specie, la Corte territoriale, conformemente, peraltro, alla valutazione compiuta dal
primo giudice, ha ritenuto, con motivazione congrua e niente affatto contraddittoria, che il
rifiuto dalla controricorrente a sottoporsi agli esami ematologici risulta giustificato, in quanto si
iscrive in un contesto di elevata conflittualita’ col padre, contrassegnato da diverse iniziative
giudiziarie, prima volte a far valere le prerogative della genitorialita’, e poi, constatatone il
sostanziale fallimento, a negarla, e reifica il rifiuto della figlia “di avere una relazione con il
genitore naturale e di non sottostare alla prova da lui richiesta”. Ad ogni modo, la Corte ha
escluso la portata decisiva di tale contegno, in considerazione dell’incontroverso legame nel
periodo del concepimento tra il ricorrente e la madre (tanto da metterle a disposizione una casa)
e dall’assenza di prova relativa a diversa relazione affettiva.

Sotto altro profilo, va rilevato che la valutazione del comportamento processuale (tale natura
riveste in se’ il rifiuto di sottoporsi agli esami ematologici) o extraprocessuale delle parti rientra
nell’ambito del principio del libero convincimento di cui all’articolo 116 c.p.c. ed opera sul piano
dell’apprezzamento di merito, che, appunto, il ricorrente critica laddove ritiene che la “verita’
piu’ plausibile, piu’ logica, piu’ spiegabile e forse piu’ razionale” del motivo del rifiuto opposto
dalla figlia sia da individuare nella consapevolezza da parte della stessa dell’insussistenza del
rapporto biologico di filiazione, e tanto rende evidente che, tramite la violazione dell’articolo 116
c.p.c., la denuncia riguarda, invece, un supposto errore di fatto, che puo’ esser fatto valere solo
attraverso il paradigma del vizio motivazionale, e, dunque, nei limiti consentiti dall’articolo 360
c.p.c., comma 1, n. 5 che circoscrive il sindacato di legittimita’ sulla motivazione alla sola verifica
della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, (cfr. Cass.
n. 23940 del 2017 e giurisprudenza ivi richiamata), e, nella specie, tale vizio, come si e’ detto, e’
insussistente.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in
complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori. Ai sensi del Decreto del
Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a,
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’articolo
13, comma 1 bis. Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52 siano
omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.