Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, VI-3 Sezione Civile, 1 ottobre 2020 – 12 novembre 2020, n. 25460, Buca stradale visibile – risarcimento del danno:

Nel caso di specie i giudici di legittimità, ribadendo il proprio costante orientamento in materia di cose in custodia, hanno ricordato che la condotta imprudente dell’automobilista interrompe il nesso causale tra l’evento dannoso e la cosa custodita, qualora egli violi i normali principi di cautela derivanti dall’art. 2 della Costituzione. Conseguentemente, ai sensi dell’art. 1227, I co., c.c. il conducente disattento è l’unico responsabile del sinistro accaduto, ove la buca stradale sia ben visibile e di grandi dimensioni.

Corte Suprema di Cassazione, VI-3 Sezione Civile, 1 ottobre 2020 – 12 dicembre 2020, n. 25460:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12464-2018 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato
e difeso dall’avvocato CARLO DURATURO;

ricorrente –
contro
COMUNE DI MONDRAGONE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
VALADIER 44, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MANGAZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato
VITTORIO SCARINGIA;

controricorrente –
avverso la sentenza n. 2917/2017 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE, depositata il
05/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 01/10/2020 dal
Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
Svolgimento del processo

C.A. convenne in giudizio il Comune di Mondragone, davanti al Giudice di pace di Carinola, chiedendo che
fosse condannato al risarcimento dei danni da lui patiti in un sinistro stradale nel quale la vettura da lui
condotta era finita in una grande buca esistente sul manto stradale, riportando danni.
Si costituì in giudizio il Comune convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.
Espletata prova per testi, il Giudice di pace rigettò la domanda, rilevando in via preliminare che l’attore non
aveva provato che il Comune di Mondragone fosse realmente proprietario del tratto di strada in questione,
con conseguente titolarità dell’obbligo di custodia.

La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente e il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con
sentenza del 5 ottobre 2017, ha rigettato l’appello ed ha compensato le spese dei due gradi di giudizio.

Contro la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ricorre C.A. con atto affidato a due motivi.
Resiste il Comune di Mondragone con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,
376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e
falsa applicazione degli artt. 2043, 2051, 2053 e 2697 c.c., nonchè del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 10.
Osserva il ricorrente che durante il giudizio di primo grado il Comune di Mondragone aveva manifestato la
sua volontà di transigere la causa sborsando la somma di Euro 1.500, somma rifiutata dal danneggiato. Tale
comportamento, non valutato dal Tribunale, sarebbe in evidente contrasto con la linea difensiva assunta
nel giudizio, nel quale il Comune aveva continuato a ribadire di non essere titolare della strada.
1.1. Il motivo non è fondato.
La sentenza impugnata, infatti, ritenendo sul punto fondato l’appello, ha superato la decisione di primo
grado ed ha riconosciuto che il Comune di Mondragone era titolare del tratto di strada in questione, per cui
le contestazioni sul punto sono da ritenere superate. Ciò non toglie, però, che la linea difensiva di una parte
la quale offra una possibilità di transazione della vertenza possa essere dettata dalle ragioni più varie; e
comunque, essa non è di per sè indice di un qualche riconoscimento di responsabilità. Per cui la lamentata
violazione di legge non sussiste.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5),
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e
2700 c.c. in relazione all’obbligo di custodia ed al verbale redatto dalla Polizia municipale in occasione
dell’evento.
2.1. Osserva al riguardo il Collegio che la lamentata omissione non è decisiva, proprio in considerazione di
quanto già rilevato a proposito del primo motivo; nè è sostenibile una violazione del citato art. 2700 per il
fatto che l’offerta transattiva sia contenuta in un atto pubblico.
Analogamente, nessuna violazione del citato art. 2700 sussiste in rapporto al verbale della Polizia
municipale, posto che non sono stati contestati nè il fatto storico dell’incidente nè i danni riportati dalla
vettura dell’attore.
2.2. Quanto alla violazione dell’art. 2051 c.c., il Collegio ritiene la doglianza, se non inammissibile,
comunque infondata.
2.3. Giova premettere che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di
custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di
responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con
la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in
applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del
dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.. Ne
consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata
attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto
alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente
del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento
interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso
comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di
regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Questi principi, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata (v., tra le altre, le ordinanze 29
gennaio 2019, n. 2345, e 3 aprile 2019, n. 9315), sono da ribadire ulteriormente nel giudizio odierno.
2.4. Tanto premesso, si osserva che la sentenza ha affermato, con una ricostruzione in fatto non rivisitatile
in questa sede, che, in considerazione dell’ora diurna in cui l’incidente si era verificato e delle dimensioni
della buca, questa non potesse non essere vista da un attento utente della strada; ha considerato
irrilevante la deposizione del teste, siccome generica, ed ha ritenuto altresì che la vettura del danneggiato
stesse procedendo ad una velocità non adeguata al tipo di strada percorsa. Ha perciò concluso che
l’incidente era da ricondurre ad esclusiva responsabilità del conducente, mancando addirittura la prova del
nesso di causalità.
A fronte di tali argomentazioni il motivo in esame – pur soffermandosi in modo analitico nella ricostruzione
della giurisprudenza di questa Corte relativa al citato art. 2051 ed alla sussistenza dell’obbligo di custodia
anche in relazione alle strade – in effetti non contesta la motivazione della sentenza del Tribunale,
limitandosi all’elencazione di una serie di principi astratti, in sè corretti ma scollegati dal caso concreto. Il
tutto senza contare che la decisione impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la
quale in relazione alle cose inerti (quali la buca stradale) grava sul danneggiato l’onere di dimostrare la
pericolosità della cosa, prova che la sentenza in esame ha affermato non essere stata fornita dall’odierno
ricorrente (sentenza 13 marzo 2013, n. 6306).
Non sussistono, perciò, nè le violazioni di legge nè le lacune di motivazione lamentate dal ricorrente.

Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate
ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in complessivi Euro 1.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle
condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 1 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2020.