Sentenza, Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 14 Dicembre 2020, N. 28387, Decreto di trasferimento – Notifica – Trascrizione:

Su stimolo del Pubblico Ministero ex art. 363 c.p.c, la Suprema Corte ha affrontato la seguente questione giuridica: “…se il decreto ex art. 586 c.p.c., che trasferisce all’acquirente il diritto espropriato ed ordina la cancellazione dei pignoramenti e delle ipoteche, deve apprezzarsi come atto immediatamente esecutivo, sicchè l’effetto traslativo e, con esso, l’effetto estintivo dei vincoli debba ritenersi immediato, ai sensi dell’art. 2878 c.c., n. 7; oppure se, al contrario, il decreto in parola soggiaccia alla previsione dell’art. 2884 c.c., a mente della quale la cancellazione è eseguibile solo quando ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento definitivo, in tal modo assimilando la definitività del provvedimento alla sua inoppugnabilità e, di conseguenza, differendo a tale momento la materiale cancellazione da parte del Conservatore. …”.A tal proposito, i giudici di legittimità, ricordando le finalità del processo esecutivo e le sue differenze con quello a cognizione piena, hanno stabilito che il decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c. ha carattere definitivo, principio ricavabile dall’art. 2929 c.c., comportando l’immediata attribuzione del diritto all’aggiudicatario e l’immediata purgazione dell’immobile da eventuali pesi su di esso gravanti ex art. 2878 n. 7 c.c., non potendo il Conservatore, pena la sua responsabilità civile, penale contabile, amministrativa e disciplinare, chiedere la prova della mancata opposizione del medesimo decreto e, quindi, differire l’adempimento.

Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 14 Dicembre 2020, N. 28387:

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Primo Presidente f.f. –
Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –
Dott. DE STEFANO Franco – rel. Presidente di Sez. –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27470/2014 proposto da:
G.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo
studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che la rappresenta e difende;

ricorrente –
contro
M.S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 28, presso lo studio
dell’avvocato ANTONIO HECTOR PORZIO, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ERICA PAGANONI;
AGENZIA DELLE ENTRATE, (successore ex lege dell’AGENZIA DEL
TERRITORIO), in persona del Direttore Generale pro tempore, per legge domiciliata
in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO;

controricorrenti –
e contro
FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ (OMISSIS) S.N.C., FALLIMENTO G.F.,
FALLIMENTO GI.PE., FALLIMENTO G.B.;

intimati –
avverso la sentenza n. 161/2014 del TRIBUNALE di SONDRIO, depositata il
19/05/2014.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/11/2020 dal
Presidente Dott. FRANCO DE STEFANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso con enunciazione del
principio di diritto come da requisitoria in atti;
udito l’Avvocato Luca Morani, per delega dell’avvocato Erica Paganoni.
Svolgimento del processo

G.P., esecutata in procedura di espropriazione immobiliare presso il Tribunale di
Sondrio, ha chiesto, affidandosi a ricorso articolato su quindici motivi, la cassazione
della sentenza n. 161 del 19/05/2014 di quel tribunale, con cui furono rigettate tutte
le sue opposizioni, già riunite, proposte ai sensi dell’art. 617 c.p.c., contro la
procedente curatela dei Fallimenti della società (OMISSIS) s.n.c. e dei tre soci in
proprio, per l’illegittimità del provvedimento di aggiudicazione nella vendita senza
incanto, impugnato con ricorso ex art. 591-ter c.p.c., rigettato dal giudice
dell’esecuzione, nonchè contro il Fallimento della società, l’aggiudicatario M.S.G. e
l’Agenzia del Territorio, per l’illegittimità del decreto di trasferimento e dell’atto di
precetto per rilascio dell’immobile staggito.

La qui gravata sentenza respinse ogni contestazione, tra cui quella sulla ritualità
del trattenimento della causa in decisione e quelle sulla completezza delle
informazioni somministrate dall’ufficio ai fini della vendita e riportate poi nel decreto
di trasferimento, disattese pure le doglianze sulla ritualità della vendita – delegata a
professionista – sia per i vizi della pregressa procedura fallimentare, sia in sè
considerata, come pure tutte quelle a vario titolo mosse sulla titolarità, l’esatta
delimitazione e le varie vicende del diritto staggito.

Tra le altre pure rigettate, le doglianze sul difetto di esecutività del decreto di
trasferimento furono respinte per essere questo stato reputato costituire, ai sensi
dell’art. 586 c.p.c., comma 3, titolo per la trascrizione e titolo esecutivo per il rilascio,
salva l’adozione di un provvedimento di sospensione da parte del G.E. (nel caso di
specie rifiutato); e, quanto alle lamentate irregolarità delle trascrizioni nei registri
immobiliari per non avere il Conservatore verificato se il decreto di trasferimento
fosse stato notificato all’esecutata ai fini del decorso dei termini per l’opposizione, il
tribunale rilevò che, ai sensi dell’art. 2659 c.c., il Conservatore era obbligato a
eseguire la trascrizione del decreto senza effettuare verifiche sulla sua notifica e
sull’efficacia esecutiva, essendone questo munito ex lege.

Al ricorso per cassazione hanno resistito con controricorso l’Agenzia del Territorio
e M.S.G. (questi depositando anche memoria), mentre la curatela dei Fallimenti
intimati non ha svolto difese.

All’esito della pubblica udienza del 06/12/2019 la prima sezione di questa Corte ha
pronunciato ordinanza interlocutoria – n. 3096 del 10/02/2020 – con cui, dopo la
disamina di tutti i motivi, ha rimesso al Primo Presidente la richiesta del Pubblico
Ministero di pronuncia di principio di diritto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art.
363 c.p.c., nel senso della trascrivibilità del decreto di trasferimento nelle vendite
immobiliari in sede di espropriazione, indipendentemente dal decorso dei termini per
proporre l’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c..

Il Primo Presidente, sull’evidente presupposto della particolare importanza della
questione sottesa, ha disposto che la Corte si pronunciasse a sezioni unite: ed il
ricorso è stato trattato alla successiva udienza pubblica di discussione del
17/11/2020.
Motivi della decisione
A) La definizione dei quindici motivi di ricorso. 1. Va premesso che l’ordinanza
interlocutoria non può intendersi aver definito i quindici motivi di ricorso con la
rimessione a queste Sezioni Unite: la disciplina della rimessione alle Sezioni Unite
implica la totale devoluzione ad esse del thema decidendum unitariamente e
complessivamente considerato all’esito della positiva delibazione, in piena
discrezionalità e con provvedimento insindacabile, del Primo Presidente; nè è
previsto nel giudizio di legittimità l’istituto della sentenza (o dell’ordinanza) parziale o
non definitiva, in grado cioè di definire solo alcuni dei motivi o delle questioni
devolute alla Corte, tranne il solo caso previsto dall’art. 142 disp. att. c.p.c., inverso
rispetto a quello per cui è causa, di facoltà delle Sezioni Unite di rimettere alla
sezione semplice i motivi di ricorso non riconducibili alle loro specifiche attribuzioni.

Ne discende che gli argomenti svolti dalla sezione semplice sui motivi di ricorso,
una volta che quella decida di investire le Sezioni Unite, non possono pregiudicare la
decisione, ma fungono soltanto da illustrazione dei presupposti della rimessione e, in
quanto tali, non sono idonei ad averne definito alcuno: ciò che ne impone allora la
disamina in questa sede, benchè si possa giungere a conclusioni in sostanza
corrispondenti a quelle attinte dall’ordinanza di rimessione.

Il primo motivo (di “violazione o falsa applicazione… dell’art. 158 c.p.c., per vizio di
costituzione del giudice”, per essere stata la sentenza pronunciata da un giudice
monocratico diverso da quello dinanzi al quale erano state precisate le conclusioni e
depositate comparse conclusionali e repliche) è infondato, perchè le parti avevano
già fruito dei termini per deposito di conclusionali e repliche ed erano state precisate
le conclusioni anche dinanzi al magistrato che ha poi deciso la causa: pertanto, non
risulta violato il principio della necessaria identità tra questo e quello davanti al quale
sono formulate le conclusioni (Cass. 23/03/2005 n. 6269; Cass. 14/12/2007 n.
26327; Cass. 27/05/2009 n. 12352; Cass. 06/07/2010 n. 15879; da ultimo, v. Cass.
ord. 10/07/2019 n. 18574), mentre in ogni caso la trattazione dell’affare ad opera di
un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle integra una mera
irregolarità di carattere interno (Cass. 25/01/2017 n. 1912; Cass. 24/07/2012 n.
12912; Cass. 30/03/2010 n. 7622; Cass. 14/12/2007 n. 26327).

Il secondo motivo (di “violazione o falsa interpretazione… della L. Fall., artt. 118,
120, 43 e dell’art. 299 c.c.”, per avere il tribunale respinto la richiesta di integrazione
del contraddittorio nei confronti del socio G.B., tornato in bonis a seguito di revoca
del suo fallimento, in quanto litisconsorte necessario) ed il terzo (di “violazione o
falsa applicazione… dell’art. 96 c.p.c., in merito alla carenza di legittimazione passiva
e di interesse del curatore dei fallimenti nella causa n. 1258/10″ sebbene la stessa
ricorrente gli avesse notificato l’atto di citazione, in quanto “parte nel giudizio ex art.
591 bis, avanti il G.E.” – per avere egli ivi svolto “azioni difensive nell’esclusivo
interesse del signor M.S.G. e dell’Agenzia del Territorio”) sono del pari infondati:
effettivamente nelle opposizioni agli atti esecutivi sono parti soltanto tutti i soggetti
del processo esecutivo, tra i quali, se iniziato da una curatela, non rientra il fallito
tornato in bonis per il solo fatto della chiusura della procedura concorsuale,
richiedendosi, come ogni altro interventore, una sua personale ragione di credito nei
confronti dell’esecutato.

Neppure il quarto motivo (di “violazione o falsa applicazione… dell’art. 490 c.p.c. e
della L. n. 241 del 1990, in materia di trasparenza amministrativa”, per avere il
tribunale dichiarato inammissibile, in quanto nuova, “l’eccezione di omessa
informazione in ordine alla pendenza di cause connesse al pignoramento
immobiliare” e per averne comunque dichiarato l’infondatezza, quando invece “gli
avvisi di vendita ai sensi dell’art. 490 c.p.c., devono contenere, a pena di nullità, tutti
i dati che possono interessare il pubblico, ivi compresa quindi l’informazione che il
pignoramento immobiliare è stato attivato in presenza di sentenze solo
provvisoriamente esecutive”) è fondato: quanto al profilo in rito, poichè non è
consentito, nelle opposizioni esecutive, proporre ragioni di contestazione ulteriori
rispetto a quelle dell’originario ricorso introduttivo della fase davanti al giudice
dell’esecuzione (Cass. 26/05/2020, n. 9719; Cass. 03/09/2019, n. 21996; Cass. ord.
09/06/2014, n. 12981; Cass. 07/08/2013, n. 18761; Cass. 28/07/2011, n. 16541),
anche in quei giudizi vigendo rigorosamente il principio della domanda e con la sola
eccezione della sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo; quanto a quello di
merito, non applicandosi agli atti del processo civile la disciplina sulla trasparenza
amministrativa ma il diverso regime loro proprio, il quale non prevede, in
estrinsecazione di una tutt’altro che implausibile valutazione del legislatore di
congruenza con le esigenze del mercato, pure l’espressa menzione della pendenza
di cause connesse tra le informazioni idonee ad orientare significativamente il
potenziale pubblico degli acquirenti.

E’ infondato anche il quinto mezzo di censura (di “violazione o falsa applicazione…
dell’art. 572 c.p.c., comma 2 e della L. Fall., artt. 31 e 35″, per avere il tribunale
rigettato l’eccezione di irregolarità della vendita senza incanto, la quale “deve
sempre partire dal prezzo base maggiorato di 1/5″, mentre il fatto che la precedente
vendita con incanto fosse andata per tre volte deserta non giustificava la deroga a
tale regola), poichè va esclusa l’applicazione del capoverso dell’art. 572 c.p.c.,
quando – come presupposto nella specie dal giudice del grado unico di merito – si sia
svolta una gara tra gli offerenti ex art. 573 c.p.c., finalizzata all’individuazione proprio
del giusto prezzo di aggiudicazione.

Da disattendersi è pure la censura mossa col sesto motivo (di “violazione o falsa
applicazione… degli artt. 569, 570, 591 bis, in ordine all’elezione di domicilio in luogo
diverso da quello stabilito dal G.E.”, avendolo il professionista delegato eletto non
già presso il proprio studio in (OMISSIS), ma presso lo studio di un avvocato in
(OMISSIS), con l’effetto di non aver “potuto esercitare il controllo in tempo reale in
ordine alla regolarità di presentazione delle offerte”, che sarebbero state “ritirate e
controllate, gioco forza, da persone non legittimate a raccoglierle”), siccome
corrisponde ad un accertamento in fatto, come tale qui incensurabile, che
dell’elezione di domicilio presso lo studio legale in (OMISSIS) fosse stata data la
dovuta ed idonea pubblicità nell’avviso di vendita, in coerenza con le previsioni
dell’art. 591-bis c.p.c., commi 4 e 5.

Privo di fondamento è poi il settimo motivo (di “violazione o falsa applicazione…
dell’art. 569 c.p.c., in ordine all’eccezione del mancato rispetto del termine di un
anno per lo svolgimento delle operazioni delegate”, posto che il provvedimento di
proroga, all’uopo evidenziato dal tribunale, non sarebbe “opponibile alla signora
G.P., in quanto non è a lei mai stato notificato, nè portato a conoscenza”): infatti non
è subordinata l’esecutività ed efficacia dei provvedimenti di proroga dei termini
assegnati al professionista delegato alle operazioni di vendita alla previa specifica
comunicazione alle parti, restando tutelate costoro dall’attivazione del termine per
proporre opposizione solo dal tempo in cui ne hanno avuto conoscenza.

A conclusione di inammissibilità deve giungersi poi per l’ottavo motivo, col quale si
deduce la “violazione o falsa applicazione…degli artt. 490 e 156 c.p.c., in ordine
all’errata indicazione del creditore pignorante… con conseguente commistione tra il
patrimonio della società e il patrimonio dei singoli soci”, dal momento che negli avvisi
di vendita, benchè nella sentenza impugnata tale contestazione risulti riferita al
verbale di aggiudicazione, era stato indicato come creditore pignorante non già il
curatore dei fallimenti procedenti, bensì la “Procedura esecutiva immobiliare n. 74/07
promossa da Fall.to (OMISSIS) s.n.c.”: anche in tal caso con accertamento di fatto
qui non censurabile il giudice di merito ha accertato che il tenore dell’avviso di
vendita ben consentiva di identificare in modo adeguato il creditore procedente,
stante l’espresso richiamo al provvedimento del giudice dell’esecuzione che
autorizzava la vendita dell’immobile nell’ambito della procedura esecutiva
immobiliare promossa sia dal Fallimento della società che dal Fallimento (anche ai
sensi della L. Fall., art. 147) dei singoli soci.

Inammissibile è pure il nono mezzo (di “violazione o falsa applicazione… della L.
Fall., artt. 25, 31, 35 e 148″, per avere il tribunale “sottovalutato la portata delle
violazioni della legge fallimentare nell’ambito del giudizio di merito in opposizione al
verbale di aggiudicazione e del conseguente decreto di trasferimento con
contestuale ordine di rilascio degli immobili”, ciò in aggiunta alla “indebita
commistione del patrimonio societario con il patrimonio dei singoli soci”,
asseritamente consumatasi per avere il curatore “gestito la procedura esecutiva
indistintamente per tutti e quattro i fallimenti”), poichè ogni doglianza per irregolarità
verificatesi in sede fallimentare andava formulata in quella sede, risultando esse
inidonee a determinare di per sè sole alcuna invalidità degli atti del processo di
espropriazione (Cass. 22/10/2004, n. 20637, punto 6 delle ragioni in diritto, con
richiamo anche a Cass. 09/03/1999, n. 2730 e, sia pure solo in motivazione, a Cass.
14/07/1987, n. 6121, a mente delle quali i vizi relativi alla procedura di
autorizzazione del curatore del fallimento al compimento di atti negoziali non
possono essere fatti valere mediante una diretta impugnativa in sede contenziosa
dell’atto posto in essere dal curatore, ma sono deducibili soltanto nell’ambito della
procedura fallimentare, con reclamo avanti al relativo tribunale).

Inammissibili sono pure il decimo ed il dodicesimo motivo (rispettivamente: di
“violazione o falsa applicazione… degli artt. 598, 796, 999 e 1146 c.c., in ordine al
mancato consolidamento dell’usufrutto… della… Mo.”, che non sarebbe stato nè
pignorato, nè consolidato con la nuda proprietà; e di “nullità del procedimento per
mancata rispondenza ex art. 112 c.p.c., tra il chiesto e il pronunciato in merito alle…
censure di irregolarità della voltura in piena proprietà dell’unità immobiliare a favore
del signor M.S.G.”, dichiaratamente contenute solo nelle “eccezioni sollevate sul
punto alle pagine da 34 a 41 della comparsa conclusionale”): a parte la tecnica
espositiva idonea a minarne la specificità ed i profili di novità delle censure per
quanto indicato sopra sub 5, ogni questione sulla rilevanza dell’usufrutto nella
procedura espropriativa è recessiva dinanzi all’accertamento del giudice del merito
circa l’estinzione di quel diritto reale in tempo anteriore alla notifica del pignoramento
per intervenuto decesso dell’usufruttuaria, non attinto da idonea valida censura in
questa sede sotto tale peculiare profilo.

Nemmeno è ammissibile il tredicesimo motivo (di “violazione o falsa
applicazione… in ordine all’errata individuazione del soggetto in nome del quale sono
state chieste le trascrizioni…”, basato sulla doglianza che “il decreto di assegnazione
impugnato” recherebbe in epigrafe essere la procedura esecutiva stata promossa
dai Fallimenti della società e dei soci “senza tuttavia indicare il codice fiscale e fare
alcun riferimento al ruolo e al nominativo del curatore, unico soggetto titolato ad
agire in nome e per conto di tali fallimenti”, mentre “ai fini della trascrizione del
pignoramento, della relativa cancellazione del pignoramento e ordine di intestazione
della vendita a favore del signor M.S.G., la denominazione cambia in “Massa dei
creditori del Fallimento (OMISSIS) s.n.c. e dei soci G.F., Pe. e B.”): a tacer d’altro,
pure in questo frangente corrisponde ad accertamento in fatto del giudice del merito
il carattere non equivoco della riferibilità degli atti al soggetto in nome del quale sono
state richieste le trascrizioni del decreto di trasferimento (v., in particolare, pag. 23
della sentenza impugnata).

Sono poi infondati i motivi quattordicesimo e quindicesimo, coi quali la ricorrente
lamenta, rispettivamente:

con l’uno, “violazione o falsa applicazione… degli artt. 282 e 586 c.p.c., in ordine
alla… sospensione d’ufficio dell’efficacia esecutiva del decreto di trasferimento e del
relativo atto di precetto, nonchè del verbale di aggiudicazione, costituenti atti
presupposti entrambi inidonei a produrre effetti fino al passaggio in giudicato della
sentenza che definirà l’odierna causa”, nonchè “della sentenza tuttora “sub judice”
avanti alla Corte Suprema di Cassazione, pronunciata nella causa in opposizione al
testamento di Mo.Li., atto presupposto del pignoramento e successiva vendita
dell’appartamento di G.P.”: siccome non sarebbe “idoneo a produrre effetti fino al
passaggio in giudicato della Sentenza che definirà l’appello proposto dalla signora
G.P., il provvedimento di immissione nel possesso connesso al verbale di
assegnazione, emesso ex art. 610 c.p.c., dal G.E.” e tutto ciò in considerazione del
fatto che “l’effetto traslativo della proprietà del bene (si produce) solo dal momento
del passaggio in giudicato” (con richiamo a Cass. Sez. U, 22/02/2010 n. 4059,
relativa però alla sentenza ex art. 2932 c.c.);

con l’altro, “violazione o falsa applicazione… dell’art. 2929 c.c., art. 2921 c.c., in
ordine al diritto alla restitutio in integrum”, basato sulla tesi che, per l’avvenuta
impugnazione di “tutte le sentenze e i provvedimenti che hanno caratterizzato
l’odierna controversia” e per la rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado della “nullità
dell’apposizione della formula esecutiva sul decreto di trasferimento”, “l’accoglimento
anche di una sola delle controversie da cui ha avuto origine il pignoramento
immobiliare riverserebbe effetti a cascata anche sul trasferimento dell’immobile, con
la conseguenza che l’acquirente sarebbe costretto a retrocederlo”.

  1. Infatti, le censure si incentrano sulle conseguenze di una prospettata intrinseca
    inidoneità del decreto di trasferimento a produrre immediatamente i suoi effetti o di
    una sua sostanziale caducità o instabilità, connesse anche, nella specie, al
    dispiegamento di altre azioni, tuttora pendenti, volte a contestare ora la titolarità del
    diritto aggredito col pignoramento, ora la ritualità di altri atti del procedimento
    esecutivo nel cui corso è stato reso il provvedimento: ma è allora evidente che in tal
    modo non si configura neppure in astratto un vizio proprio del decreto di
    trasferimento, suscettibile di costituire oggetto dell’opposizione formale avverso di
    esso.
  2. Al riguardo, pure per quanto si dirà di qui a breve, va sottolineato che il processo
    esecutivo è dominato da un impulso ufficioso retto dall’esecutività del titolo e
    dall’esigenza dell’ordinamento di conseguirne inevitabilmente l’esecuzione, salve le
    sole cause di sospensione previste dalla legge; ne consegue che le cause di
    cognizione miranti ad inficiare in rito o nel merito il processo esecutivo, alle quali
    possono complessivamente ricondursi quelle indicate nelle doglianze sopra
    riassunte, non hanno alcuna conseguenza immediata sullo sviluppo del processo
    medesimo, ove, come non è appunto accaduto nella specie, il giudice davanti al
    quale quelle pendono non abbia pronunciato provvedimenti interinali di sospensione
    (del titolo o del processo o altri indilazionabili, anticipatori degli effetti finali) o
    definitivi di caducazione degli atti e dei presupposti di quel processo.
  3. E’, in altri termini, in radice escluso che la semplice contestazione di tali atti e
    presupposti, sia pure in giudizio tuttora pendente, possa di per sè sola paralizzare
    fino ad una pronuncia definitiva la normale progressione del processo esecutivo
    verso il suo esito normale o fisiologico, cioè – nelle espropriazioni, ovvero nelle
    esecuzioni per equivalente – la liquidazione mediante trasferimento a terzi del diritto
    oggetto di pignoramento; la sospensione del processo esecutivo è evenienza
    eccezionale, mentre è immanente al sistema la potenzialità dell’applicazione delle
    norme di tutela di cui agli artt. 2929 e 2921 c.c., ma solo ed appunto se e quando ne
    siano riconosciuti definitivamente sussistenti i presupposti e pertanto anche solo
    successivamente al compimento degli atti di quel processo.
  4. Resta da esaminare l’undicesimo motivo, col quale la ricorrente lamenta
    “violazione o falsa applicazione… degli artt. 2659 e 2674 c.c. e dell’art. 101 c.p.c., in
    ordine alle irregolarità delle trascrizioni nei registri immobiliari”: contrariamente a
    quanto affermato dal tribunale, il Conservatore avrebbe dovuto non solo effettuare i
    dovuti controlli ex art. 2674 c.c., sull’identità dei soggetti a favore dei quali era stata
    richiesta la trascrizione e sull’apposizione della formula esecutiva al decreto di
    trasferimento immobiliare, ma anche “accertarsi ex art. 101 c.c., che il decreto di
    trasferimento fosse stato notificato, nel rispetto del principio del contraddittorio, alla
    signora G.P., al fine di renderlo opponibile alla stessa e di consentirle di proporre
    opposizione (come in effetti ha proposto dopo la notifica)”; invece, le trascrizioni
    sono state effettuate prima dell’apposizione della formula esecutiva e della notifica
    alla ricorrente del decreto di trasferimento contenente l’ordine di cancellazione del
    verbale di pignoramento, quando non avrebbero potuto eseguirsi, “stante la non
    operatività delle sentenze provvisoriamente esecutive per trasferimenti che
    riguardano immobili e la mancata trascrizione di atti precedenti”.
  5. Il motivo è inammissibile, perchè anch’esso attiene ad una conseguenza del
    decreto di trasferimento e non ad un vizio intrinseco del medesimo, conseguenza
    oltretutto causata dall’operato di una pubblica autorità diversa dal giudice
    dell’esecuzione successiva ed autonoma rispetto agli atti del processo: e va esclusa
    già in astratto l’ammissibilità dell’opposizione agli atti esecutivi con cui ci si dolga
    dell’operato di una pubblica autorità diversa dal giudice dell’esecuzione che lo ha
    pronunciato.
  6. Infatti ed in via dirimente, neppure gli atti degli ausiliari del giudice
    dell’esecuzione – categoria ampia ed indifferenziata, cui però difficilmente può
    ricondursi il Direttore del servizio di pubblicità immobiliare, che svolge compiti e
    funzioni a tutela di un diverso interesse generale – sono mai autonomamente
    opponibili (per tutte, v. Cass. ord. 25/08/2020, n. 17712, ove ulteriori riferimenti): con
    la conseguenza che, in definitiva, l’attività successiva del Conservatore o Direttore
    dei Servizi di pubblicità immobiliare non attiene ad alcun profilo formale intrinseco
    del decreto di trasferimento e, pertanto, tanto meno ad alcuna sua illegittimità o
    irritualità, così da non poter costituire oggetto della qui dispiegata opposizione.
  7. In base a quanto fin qui argomentato, il ricorso va quindi rigettato, essendone i
    motivi inammissibili (il sesto, l’ottavo, il nono, il decimo, l’undicesimo, il dodicesimo
    ed il tredicesimo) od infondati (il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il
    settimo, il quattordicesimo ed il quindicesimo), con conseguente condanna della
    soccombente ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità in favore dei
    controricorrenti ed in relazione all’attività difensiva svolta da ognuno ed al valore
    della controversia, da individuarsi, riguardando sostanzialmente l’aggiudicazione del
    bene staggito, con il prezzo a cui questa ha avuto luogo, sotto il profilo (applicati i
    criteri di cui a Cass. 23/01/2014, n. 1360) della necessaria rilevanza degli effetti
    economici dell’accoglimento o del rigetto dell’opposizione.
    B) La richiesta del Procuratore Generale ai sensi dell’art. 363 c.p.c.: l’oggetto ed i
    presupposti.
  8. Resta peraltro da esaminare la richiesta del Pubblico Ministero ai sensi dell’art.
    363 c.p.c., relativa alle questioni involte dall’undicesimo motivo e, in parte, anche dal
    quattordicesimo e dal quindicesimo, nonchè per alcuni profili anche da altre censure.
  9. Con tale richiesta segnala il Pubblico Ministero la particolare rilevanza della
    questione dell’immediata trascrivibilità del decreto di trasferimento – nelle vendite
    giudiziarie, nel corso di procedure di espropriazione individuale o concorsuali – pure
    con cancellazione di tutte le formalità gravanti sul bene ed in particolare delle
    iscrizioni ipotecarie, sottesa all’undicesimo motivo, in presenza “di indirizzi e di prassi
    sensibilmente divergenti tra loro, ancorchè basate sulla interpretazione delle
    medesime disposizioni legislative che vengono in rilievo”: ed al riguardo richiama un
    orientamento di merito e le modalità applicative di un considerevole numero di
    Conservatorie ad esso ispirate, dichiaratamente finalizzate alla tutela dei soggetti
    titolari di formalità sui beni staggiti mediante il loro mantenimento fino al tempo in cui
    sia stata acquisita certezza sull’impossibilità di una caducazione del decreto di
    trasferimento.
  10. Pertanto, è invocata, all’esito di un accurato ed approfondito esame dei
    presupposti normativi (art. 586 c.p.c.; art. 2787 c.c., n. 7 e art. 2884 c.c.) e dogmatici
    della questione, l’enunciazione del seguente principio di diritto nell’interesse della
    legge, ex art. 363 c.p.c., comma 3: “nel procedimento di espropriazione e vendita
    forzata immobiliare, il decreto di trasferimento del bene, recante l’ordine di
    cancellazione dei gravami (pignoramenti, ipoteche, privilegi, sequestri conservativi),
    determina, in forza dell’art. 2878 c.c., n. 7, l’estinzione dei medesimi vincoli, di cui il
    Conservatore dei registri immobiliari (oggi Ufficio provinciale del territorio – Servizio
    di pubblicità immobiliare, istituito presso l’Agenzia delle Entrate) è tenuto ad eseguire
    la cancellazione, indipendentemente dal decorso dei termini per la proponibilità di
    opposizioni all’esecuzione a norma dell’art. 617 c.p.c.”.
  11. Le criticità ermeneutiche sono così individuate:
    “(a) se il decreto di trasferimento del bene immobile, pronunciato dal giudice
    dell’esecuzione all’esito del procedimento di espropriazione forzata a norma dell’art.
    586 c.p.c., comporti quale proprio effetto ex lege l’immediata cancellazione dei pesi
    gravanti sull’immobile (trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi,
    iscrizioni ipotecarie);
    (b) se, in caso di risposta negativa al quesito che precede, essa trovi fondamento in
    una norma positiva (in particolare nell’art. 2884 c.c.);
    (c) quale sia, di conseguenza, l’ambito di valutazione affidato al Conservatore dei
    registri immobiliari in ordine all’adempimento della cancellazione dei vincoli gravanti
    sull’immobile, in particolare sotto il profilo della verifica di stabilità/definitività del
    decreto di trasferimento”.
  12. La richiesta è formulata ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, vale a dire in
    occasione della definizione per inammissibilità di uno dei motivi di un ricorso già
    pendente tra le parti; ed essa è allora ammissibile, possedendo perfino i requisiti per
    una autonoma proposizione ai sensi dei primi due commi della stessa norma, come
    elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (per tutte: Cass. Sez. U. 18/11/2016,
    n. 23469; Cass. Sez. U. 23/07/2019, n. 19889):

l’avvenuta pronuncia di almeno uno specifico provvedimento giurisdizionale non
impugnato o non ulteriormente impugnabile, tanto meno per Cassazione;

un interesse della legge, quale interesse pubblico o trascendente quello delle parti
della specifica controversia, all’affermazione di un principio di diritto per l’importanza
di una sua enunciazione espressa;

la reputata illegittimità del provvedimento stesso (o, in caso di pluralità di
provvedimenti divergenti, di almeno uno di essi), quale indefettibile momento di
collegamento ad una controversia concreta.

Va premesso che la devoluzione a queste Sezioni Unite, benchè non
indispensabile per essere sempre nella potestà di ogni singola sezione la pronuncia
ai sensi dell’art. 363 c.p.c. e restando discrezionale la sua determinazione di
investirle della questione sottoponendola al vaglio insindacabile del Primo
Presidente, è dipesa dall’esercizio delle relative prerogative.

Ciò posto, quanto al primo presupposto sono segnalati alcuni provvedimenti di
giudici di merito (Trib. Lucca n. 3727/17, App. Firenze n. 2174/17 e Trib. Taranto n.
1356/19; in senso contrario, Trib. Prato n. 2311/18) in tema di cancellazione delle
iscrizioni ipotecarie in forza del decreto di trasferimento, che involgono la questione
dell’idoneità di questo a conseguire dal Conservatore l’immediato adempimento di
ogni ordine di cancellazione ivi impartitogli.

Al riguardo va rilevato che i provvedimenti del Conservatore dei registri
immobiliari (o, secondo l’attuale definizione, del Direttore del Servizio di pubblicità
immobiliare dell’Ufficio provinciale del territorio istituito presso l’Agenzia delle entrate:
per brevità, d’ora in avanti, comunque descrittivamente indicato come Conservatore)
in tema di rifiuto della trascrizione od iscrizione di formalità in questi ultimi, come si
atteggiano anche quelli che si articolano nel differimento dell’adempimento richiesto,
non possono essere oggetto di tutela giurisdizionale in Cassazione (Cass.
20/07/2015, n. 15131; Cass. 28/01/2011, n. 2095) se non quanto al capo sulle spese
in caso sia impropriamente contenuto nel provvedimento ai sensi dell’art. 113-bis
disp. att. c.c. e art. 745 c.p.c., siccome resi all’esito di un procedimento avente
natura di volontaria giurisdizione non contenziosa, per non avere ad oggetto la
risoluzione di un conflitto di interessi, ma il regolamento, secondo la legge,
dell’interesse pubblico alla correttezza della pubblicità immobiliare, sicchè il
provvedimento conclusivo è insuscettibile di passare in giudicato.

Quanto al secondo presupposto, va confermata la riserva a questa Corte della
relativa valutazione di opportunità (Cass. Sez. U. n. 23469/16, cit.): ma va pure
condivisa la valutazione di particolare importanza della questione, per le ricadute
rilevanti sul regime di circolazione dei beni immobili e delle relative garanzie reali
(sotto il profilo dell’amministrazione del rischio delle cancellazioni delle relative
formalità) e, al contempo, sulla funzionalità del processo esecutivo, l’uno e l’altra
strumenti primari per l’effettività della tutela dei diritti.

Opposte sono infatti le opzioni interpretative concretamente esaminate dalla
richiesta del Pubblico Ministero, il quale rimarca la necessità di un intervento
chiarificatore da parte della Corte di cassazione, attraverso l’affermazione di un
principio di diritto a norma dell’art. 363 c.p.c., comma 3, che costituisca termine di
riferimento e di orientamento e che possa dirimere i contrasti di interpretazione, al
fine di stabilizzare e uniformare, sia per gli uffici giudiziari e gli uffici di pubblicità
immobiliare, sia soprattutto per l’utenza, il quadro applicativo della disciplina, che è
di evidente interesse economico generale, poichè incide non secondariamente sulla
circolazione di beni e sulla efficacia e tempestività dei procedimenti esecutivi, che
realizzano i corrispondenti diritti.

Il terzo dei presupposti pure sussiste: se non altro per la presenza di
contrapposti orientamenti nella giurisprudenza di merito, appunto – per quanto detto –
non attingibili con gli ordinari mezzi di impugnazione fino a questa Corte, uno dei
quali, per definizione, non può essere conforme a diritto.
C. La questione posta dall’ordinanza interlocutoria.

Il merito della questione va allora esaminato ad iniziare dalle norme di
riferimento, cioè l’art. 2878 c.c., n. 7, nonchè art. 2884 c.c., in relazione all’art. 586
c.p.c., di cui giova riportare il testo:

l’art. 586 c.p.c. (rubricato “Trasferimento del bene espropriato”), nel testo
modificato dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, convertito dalla L. n. 80 del 2005,
stabilisce:
“Avvenuto il versamento del prezzo, il giudice dell’esecuzione può sospendere la
vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto,
ovvero pronunciare decreto col quale trasferisce all’aggiudicatario il bene
espropriato, ripetendo la descrizione contenuta nell’ordinanza che dispone la vendita
e ordinando che si cancellino le trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie,
se queste ultime non si riferiscono ad obbligazioni assuntesi dall’aggiudicatario a
norma dell’art. 508. Il giudice con il decreto ordina anche la cancellazione delle
trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie successive alla trascrizione
del pignoramento.
Il decreto contiene altresì l’ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l’immobile
venduto.
Esso costituisce titolo per la trascrizione della vendita sui libri fondiari e titolo
esecutivo per il rilascio”;

l’art. 2878 c.c. (rubricato “Della estinzione delle ipoteche”), contenuto nella
omonima Sezione X del Libro VI, Titolo III, Capo IV, dispone che “L’ipoteca si
estingue:… n. 7) con la pronunzia del provvedimento che trasferisce all’acquirente il
diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche”. – infine, l’art. 2884 c.c.
(rubricato “Cancellazione ordinata con sentenza”), contenuto nella successiva
Sezione XI (“Della cancellazione dell’iscrizione”), dispone che “La cancellazione
deve essere eseguita dal Conservatore, quando è ordinata con sentenza passata in
giudicato o con altro provvedimento definitivo emesso dalle autorità competenti”.

Con l’ordinanza 10/02/2020, n. 3096, la prima Sezione civile di questa Corte ha
riassunto i termini dell’alternativa: se il decreto ex art. 586 c.p.c., che trasferisce
all’acquirente il diritto espropriato ed ordina la cancellazione dei pignoramenti e delle
ipoteche, deve apprezzarsi come atto immediatamente esecutivo, sicchè l’effetto
traslativo e, con esso, l’effetto estintivo dei vincoli debba ritenersi immediato, ai sensi
dell’art. 2878 c.c., n. 7; oppure se, al contrario, il decreto in parola soggiaccia alla
previsione dell’art. 2884 c.c., a mente della quale la cancellazione è eseguibile solo
quando ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento
definitivo, in tal modo assimilando la definitività del provvedimento alla sua
inoppugnabilità e, di conseguenza, differendo a tale momento la materiale
cancellazione da parte del Conservatore.

La peculiare accuratezza dell’esaustivo approfondimento delle contrapposte
soluzioni, operato nella richiesta del Pubblico Ministero e nella stessa ordinanza di
rimessione, esime queste Sezioni Unite da una loro rinnovata enunciazione in
questa sede, bastando un rinvio all’una e all’altra e, qui, l’individuazione in estrema
sintesi degli argomenti principali a sostegno delle opposte conclusioni: da un lato, a
fondare la conclusione della necessità del differimento della cancellazione al
momento della sua inoppugnabilità (con disparate singolari pretese di produzione di
certificazioni o prove in tal senso), l’applicazione al decreto di trasferimento dell’art.
2884 c.c., che esige per la cancellazione delle formalità il passaggio in giudicato o la
definitività del provvedimento del giudice; all’opposto, l’applicazione dell’art. 2878
c.c., n. 7, che collega l’estinzione dell’ipoteca alla pronuncia del provvedimento e che
giustifica l’immediata cancellazione come ordinata nel decreto in esame.
D. Premessa: la funzione e la struttura del processo esecutivo.

Queste Sezioni Unite ritengono di condividere la richiesta del Pubblico Ministero
e la corrispondente opzione ermeneutica prospettata dall’ordinanza di rimessione;
riguardo alla quale va operata una quadruplice premessa.

In primo luogo va ribadita l’indefettibilità della tutela giurisdizionale esecutiva,
quale principio ispiratore dell’ordinamento, tale riconosciuto anche di recente da
questa Corte (Cass. 10/06/2020, n. 11116; Cass. Sez. U. 23/07/2019, nn. 19883 a
19888), dalla Corte costituzionale (v. i richiami in Cass. Sez. U. n. 19883/19 a Corte
costituzionale nn. 419/95, 312/96 e 198/10), dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
(fin dalla celebre 19/03/1997, Hornsby c/ Grecia, p. 40, via via fino alle più recenti,
fra cui Corte EDU, Grande Camera, 29/05/2019, Ilgar Mamadov c/ Azerbaigian,
causa 15172/13) e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (con riferimento al
diritto a un ricorso effettivo ad un giudice, consacrato anche dall’art. 47 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: tra le altre, Corte giust. U.E. Grande
Camera, 29/07/2019, Alekszij Torubarov c/ Bevandorlasi ès Menekiiltiigyi Hivatal,
C-556/17, punto 57).

In tale contesto, primario interesse perseguito dall’ordinamento, consustanziale
alla sua stessa esistenza, è l’effettività della tutela giurisdizionale del diritto e quindi
del creditore, tale riconosciuto in un titolo esecutivo, al cui soddisfacimento tutto
l’ordinamento è chiamato a destinare le proprie risorse; se non sono espressamente
presi in considerazione dalla norma, non rilevano altri specifici contrastanti interessi,
quali quello del debitore a contenere i disagi (come invece può bene accadere in altri
ordinamenti giuridici: v. Corte EDU 20/12/2016, Ljaskaj c/ Croazia) o di altri soggetti
coinvolti dal processo a mantenere i propri privilegi.

Restano ferme la necessità e sufficienza dell’impulso ufficioso impresso dal titolo
e dall’originaria istanza di vendita, salvo – beninteso – il diritto alla regolarità del
processo esecutivo ed alla partecipazione ad esso, quando finalizzata ad una
concreta estrinsecazione delle residue facoltà riconosciute ai suoi soggetti, nei limiti
in cui sono funzionali al migliore soddisfacimento delle ragioni creditorie.

Qualunque sia il contesto socioeconomico in cui si trovi ad operare, non spetta
quindi al giudice farsi carico del contemperamento di questo interesse, da qualificarsi
preminente per la stessa funzionalità dell’ordinamento giuridico, con eventuali altri,
se non nei circoscritti limiti di quei margini di discrezionalità nell’applicazione della
disciplina positiva dei suoi poteri espressamente previsti: è imperativa, anche allo
stato della vigente legislazione e perfino nelle emergenze più acute, l’esigenza di
ripristinare il diritto comunque violato dall’inadempimento del debitore e quindi di
portare a compimento in modo efficace ed effettivo l’esecuzione.

Compete solo al legislatore farsi carico di situazioni, speciali od eccezionali,
quand’anche legate a contesti complessivi francamente imprevedibili od
emergenziali, che possano ritenersi meritevoli di adeguata tutela in capo ad altri dei
soggetti del processo esecutivo, individuando a livello normativo un bilanciamento
reputato idoneo a salvaguardare gli interessi generali, se del caso limitando la
preminenza istituzionale normalmente spettante alla tutela del diritto ed alla sua
eseguibilità coattiva.

In secondo luogo, non rientra nel potere discrezionale della pubblica
amministrazione stabilire se dare o meno attuazione ad un provvedimento
dell’autorità giudiziaria, a maggior ragione quando lo stesso abbia ad oggetto la
tutela di un diritto riconosciuto dalla Costituzione o dalla Convenzione Europea dei
diritti dell’Uomo (Cass. 04/10/2018, n. 24198; Corte EDU 13/12/2018, Casa di cura
Valle Fiorita srl c/ Italia, in ric. n. 67944/13): la pubblica amministrazione esegue
quindi i provvedimenti del giudice e non se ne deve arrogare mai la funzione di
arbitra, sovrana o paternalistica gestrice di quelli.

In terzo luogo, servente al principio di necessaria effettività ed efficacia della
tutela giurisdizionale è quello della tutela dell’affidamento nella correttezza e
regolarità degli atti in cui essa si estrinseca, tutela che, nel processo esecutivo per
espropriazione, istituzionalmente rivolto a soggetti estranei alle parti in contesa quali
indispensabili concorrenti alla liquidazione del bene e quindi alla realizzazione del
fine suo proprio, si estrinseca nell’apprestamento di un sistema che privilegia la
stabilità in loro favore degli atti di un processo che appaia avere seguito le regole
sue proprie, esentandoli, escluso l’ovvio caso della collusione o della mala fede,
dalle negative conseguenze delle carenze del processo, perfino in evenienze
gravissime (Cass. Sez. U. 28/11/2012, n. 21110, per il caso di sopravvenuto
accertamento dell’inesistenza di un titolo idoneo a giustificare il processo esecutivo).

Vanno allora apprestate regole volte a tutelare la massima fiducia da riporre nella
serietà ed affidabilità della vendita giudiziaria quale espressione dell’attività di un
organo pubblico istituzionalmente a tanto deputato (Cass. 07/05/2015, n. 9255;
Cass. 29/05/2015, n. 11171), essendo la tutela del potenziale pubblico degli offerenti
uno dei principi fondamentali del processo di espropriazione, a maggior ragione
nell’evoluzione delle riforme dell’ultimo quindicennio (tra le altre: Cass. 08/02/2019,
n. 3709).

In ultimo luogo, il processo esecutivo rimane, benchè servente al giudizio di
cognizione ed estrinsecazione di una tutela indefettibilmente complementare a
quella apprestata in quell’altra sede, articolato su di una struttura e retto da principi
processuali non immediatamente sovrapponibili, tanto da essere ontologicamente e
morfologicamente ad esso non assimilabile; esso non è un giudizio, siccome è
scevro da questioni e inidoneo a risolverle, volto com’è ad assicurare
unilateralmente il soddisfacimento delle sue ragioni al creditore munito di titolo e
quindi per definizione in base ad esso a tanto abilitato, salve le contestazioni nella
diversa sede contenziosa ancora possibili (la cui autonomia ed insopprimibile
diversità è stata posta in luce dalla stessa Corte costituzionale – ordinanza n. 497 del
2002 – nel momento in cui ha sottolineato che non il processo ma solo l’opposizione
formale, regolata dagli artt. 617 e 618 c.p.c., integra, pur senza assurgere ad
impugnazione in senso tecnico, un processo a cognizione piena, nel contraddittorio
delle parti, sulle cui domande ed eccezioni deve in ogni caso pronunciarsi).

Il processo esecutivo si presenta strutturato non già come una sequenza
continua di atti ordinati ad un unico provvedimento finale secondo lo schema proprio
del processo di cognizione – ma come una successione di subprocedimenti, cioè una
serie autonoma di atti ordinati a distinti provvedimenti successivi (Cass. Sez. U.
27/10/1995, n. 11178, costantemente riaffermata dalla giurisprudenza più recente,
per la quale, fra tutte, v. Cass. 15/07/2016, n. 14449).

Ancora, il giudice che dirige il processo esecutivo non pronuncia mai sentenze e
meno che mai provvedimenti atti al giudicato (anche le opposizioni esecutive dando
luogo ad incidenti in senso tecnico e quindi a diversi e distinti giudizi di cognizione,
sia pure funzionalmente collegati al primo), ma sempre e solo provvedimenti
ordinatori finalizzati al raggiungimento dello scopo del singolo processo esecutivo,
cioè, nelle espropriazioni, la liquidazione del bene al fine della distribuzione del
ricavato agli aventi diritto, ciascuno all’interno delle singole fasi consecutive in cui le
relative operazioni si raggruppano.

Pertanto, tutti gli atti ed i provvedimenti del giudice dell’esecuzione, in quanto
necessariamente funzionalizzati all’ordinato sviluppo della sequenza procedimentale
in cui si inseriscono, producono di per sè soli gli effetti loro propri e la stessa
progressione del processo, non appena venuti a giuridica esistenza, tanto da potersi
qualificare come intrinsecamente definitivi in forza della loro solo pronuncia (od
eventuale deposito in cancelleria, se separato).

Il concetto di definitività in dipendenza dell’esaurimento dei gradi ordinari di
impugnazione, invece, è alieno dal processo di esecuzione, in quanto connaturato al
giudizio di cognizione, strutturato su fasi o gradi successivi aventi tutti il medesimo
oggetto e cioè la questione controversa, la cui soluzione diviene appunto definitiva
quando non è più possibile rimetterla in discussione e, in particolare, non è più dato
contestare il contenuto delle decisioni già intervenute.

Una tale intrinseca definitività degli atti del processo esecutivo non è inficiata
dalla previsione di un sistema di rimedi, assistiti da rigorosi termini decadenziali, nè
dalla normale revocabilità – salvo espressa contraria previsione – di tutte le ordinanze
ed i decreti del giudice dell’esecuzione: tanto è reso evidente dal carattere tassativo
della previsione del potere del giudice dell’esecuzione di sospendere il corso della
procedura (solo impregiudicati gli effetti di eventuali sospensioni esterne) e dalla
conseguente connotazione di indefettibilità della sua prosecuzione, finchè non sia in
modo espresso adottato uno specifico provvedimento che la impedisca pur solo in
via temporanea.

Inoltre, il termine per proporre quei rimedi può rivelarsi perfino di incerta
prevedibilità, non essendo di norma prevista alcuna comunicazione dei
provvedimenti pure opponibili, come confermato, proprio per il decreto di
trasferimento, dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 09/08/2007, n. 17460,
nonchè da Cass. 14/10/2005, n. 19968); e decorrendo anzi dal momento in cui
l’opponente ne ha avuto conoscenza, comunque conseguita (Cass. 06/03/2018, n.
5172; Cass. 12/06/2018, n. 15193), talvolta perfino se legata ad eventi francamente
imprevedibili (come in caso di aliud pro alio, nel quale il termine non può decorrere,
per l’aggiudicatario incolpevole, prima del materiale accesso al bene prima mancato:
Cass. 02/04/2014, n. 7708; Cass. 11/05/2017, n. 11729).

Risulta quindi in astratto inesigibile un’attestazione – od altro assimilato atto – di
conseguita inoppugnabilità per i provvedimenti del giudice dell’esecuzione, non solo
in quanto in genere (e comunque per il decreto di trasferimento) non prevista
espressamente per legge e quindi certamente non istituibile per l’estro interpretativo
di una autorità amministrativa preposta a settori diversi dal processo, ma pure alla
stregua dell’evidente eterogeneità ed incertezza degli eventi a cui ancorare quel
termine e della conseguente insostenibile precarietà che affliggerebbe il
provvedimento per l’aleatorietà delle condizioni alle quali si vorrebbe ancorare il suo
superamento.
E. Il decreto di trasferimento quale provvedimento definitivo.

Da tale generale conclusione discende che, se ogni atto del giudice
dell’esecuzione è definitivo per il solo fatto di essere stato da lui reso, operando
l’opposizione solo in via successiva ed eventuale sulla sua idoneità ad estrinsecare
immediatamente gli effetti suoi propri finalizzati alla necessaria progressione del
procedimento, pure il decreto di trasferimento – specifico provvedimento del giudice
dell’esecuzione immobiliare ed anzi atto suo proprio ed insuscettibile di delega al
professionista ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c., emesso a conclusione di quel subprocedimento di liquidazione del bene pignorato che ha preso avvio con l’ordinanza
di autorizzazione alla vendita – è in via immediata definitivamente produttivo dei suoi
effetti propri, tra cui la cancellazione delle formalità pregiudizievoli gravanti sul bene
che ne è oggetto, indicate nell’art. 586 c.p.c. (e delle poche altre in via interpretativa
assimilabili).

Quest’effetto discende da una valutazione legislativa di evidente tutela
dell’affidabilità delle operazioni compiute nel corso di un processo esecutivo che si
presume ed appaia conforme a diritto: e tanto almeno fino a definitiva statuizione del
contrario, solo una pronuncia in tal senso – questa sì, all’esito di un giudizio di
cognizione potendo inficiare gli effetti già prodotti, impregiudicato il concorrente
potere di revoca del medesimo giudice dell’esecuzione, comunque esecutivi e
definitivi.

Questa è la ragione, del resto, per la quale l’effetto del trasferimento del diritto
staggito si ha in forza della pronuncia del decreto di trasferimento, seguito
all’aggiudicazione ed al versamento del prezzo: è corrente, non scalfita dalla
persistente revocabilità fino ad un momento di poco successivo, la qualificazione
dell’effetto traslativo come esito di una fattispecie complessa, costituita dalla
aggiudicazione, dal successivo versamento del prezzo e dal decreto di trasferimento
(Cass. 24/01/2007, n. 1498; Cass. 19/07/2005, n. 15222; Cass. 30/07/1980, n.
4899).

Il trasferimento si verifica appunto allorchè venga a giuridica esistenza il decreto
di cui all’art. 586 c.p.c.: e deve avere poi ad oggetto il bene libero dai pesi indicati
nella norma, quale caratteristica peculiare della vendita giudiziaria e consistente
ammennicolo della sua appetibilità sul mercato, a parziale compensazione degli
effetti negativi della sua anelasticità.

Pertanto, come immediato è il trasferimento, immediata deve essere la
liberazione da quei pesi ed immediata l’immissione nel traffico giuridico di un bene
così purgato da tutte le formalità pregiudizievoli espressamente previste dalla legge:
ed il Conservatore non può sottrarsi al relativo ordine e tanto meno pretendere
improprie ed impreviste attestazioni o certificazioni sull’avvenuta carenza di
opposizioni o su circostanze diverse dal rituale deposito del decreto che l’ordine gli
impartisca incondizionatamente.

Come sottolineato anche nell’ordinanza interlocutoria e nella richiesta del
Pubblico Ministero, la stabilità del decreto di trasferimento non discende soltanto dal
sistema complessivo del processo esecutivo, bensì è resa evidente dal regime di
stabilità della vendita che esso realizza, disegnato dall’art. 2929 c.c. (su cui v. la già
richiamata Cass. 21110/12) e art. 187-bis disp. att. c.p.c. (norma reputata di
interpretazione autentica ed applicativa di un principio generale del processo
esecutivo: Cass. Sez. U. 30/11/2006, n. 25507).

Tale stabilità è prevista mediante la preservazione della vendita giudiziaria –
istituto di natura peculiare, non riconducibile ad una vendita negoziale, ma neppure
sic et simpliciter ad un mero segmento di un più complesso procedimento (Cass.
02/04/2014, n. 7708) dagli effetti negativi delle nullità anteriori o perfino dalle vicende
successive all’aggiudicazione: regime su cui può qui bastare un rinvio
all’elaborazione dell’ordinanza di rimessione.

A tale fattispecie si applica allora con immediatezza ognuna delle due norme
invocate, ma con opposto esito, dalle due tesi in esame, benchè opportunamente
interpretandone la seconda: l’art. 2878 c.c., n. 7, perchè l’estinzione del peso – nella
specie, ipotecario, ma a maggior ragione di ogni altro – si ha in forza della sola
pronuncia del provvedimento e, così, del decreto di trasferimento; l’art. 2884 c.c.
(che bene si riconduce propriamente al delimitato ambito di operatività delle
pronunce rese all’esito o nel corso di giudizi di cognizione o di procedimenti
specificamente destinati ad incidere sul diritto al mantenimento della formalità, ad
essi attagliandosi l’istituto stesso della definitività da inoppugnabilità o mancata
impugnazione), perchè la cancellazione dell’iscrizione ipotecaria è collegata ad un
provvedimento che è definitivo ex se con la sua sola pronuncia.

Non compete a tale decreto la garanzia dei soggetti titolari delle formalità che si
vanno a cancellare: costoro, se le formalità sono anteriori al pignoramento, sono
stati – o avrebbero dovuto essere, in mancanza rispondendone in via risarcitoria il
creditore inadempiente (Cass. 27/08/2014, n. 18336; Cass. 23/02/2006, n. 4000;
Cass. 24/06/1993, n. 6999) – adeguatamente coinvolti nel processo esecutivo, nel
quale, ma solo nel quale, essi hanno – o avrebbero – potuto trovare adeguata tutela,
siccome strutturato su di un sistema chiuso di rimedi tendenzialmente autosufficiente
(tanto da non tollerare azioni di contestazione dei suoi atti diverse da quelle
espressamente previste; in tali sensi: Cass. 20/03/2014, n. 6521; Cass. 02/04/2014,
n. 7708; Cass. 31/10/2014, n. 23182; Cass. 29/05/2015, n. 11172; Cass. ord.
14/06/2016, n. 12242; Cass. 06/03/2018, n. 5175; Cass. ord. 23/04/2019, n. 11191;
Cass. 25/08/2020, n. 17661).

Del resto, come testualmente osservato nell’ordinanza interlocutoria, nessun
pregiudizio irreparabile patisce il titolare della formalità da cancellarsi
immediatamente: non nella procedura concorsuale, nella quale i creditori non
subiscono un effettivo pregiudizio, grazie alle tutele allestite dalla L. Fall., artt. 42, 44
e 45, in virtù dello spossessamento del debitore che deriva dalla dichiarazione di
fallimento; ed anzi, in questo contesto, i creditori muniti di prelazione sul bene
venduto non perdono i diritti che erano già risultati opponibili al fallimento, anche se
la relativa iscrizione sia stata fisiologicamente cancellata dai registri immobiliari
all’esito della vendita fallimentare, e ciò sia nel caso di riacquisizione del bene (dietro
restituzione del prezzo all’aggiudicatario), sia nel caso in cui ciò sia impossibile,
dovendo comunque essere soddisfatti secondo l’ordine delle cause legittime di
prelazione accertate ai sensi della L. Fall., artt. 52 e 93 e segg. (cfr. Trib. Prato n.
2311/18 cit.).

Ma neppure nell’esecuzione individuale – dove la contestuale cancellazione della
trascrizione del pignoramento ordinata ex art. 586 c.p.c., parrebbe travolgere gli
effetti protettivi corrispondenti alla sentenza dichiarativa di fallimento – l’ipoteca
fisiologicamente estinta in forza del decreto che conclude la fase della vendita
forzata cessa di tutelare il suo titolare, perchè proietta i suoi effetti nella successiva
fase della ripartizione del ricavato, conservando la collocazione preferenziale del
credito cui ineriva: effetto che risponde alla funzione propria dell’espropriazione
immobiliare, ove appunto, una volta realizzatosi il trasferimento del diritto all’esito
della vendita forzata, gli originari vincoli (tanto quello pignoratizio, finalizzato alla
liquidazione del bene, quanto quello ipotecario, finalizzato all’acquisizione di un
diritto di prelazione sul ricavato ai sensi dell’art. 2808 c.c.) si trasferiscono dal bene
espropriato alla somma di denaro in cui esso si è convertito (così ancora l’ordinanza
di rimessione, sviluppando analoghe argomentazioni della richiesta del Pubblico
Ministero).

Quanto alle formalità successive al pignoramento (ovvero, ove vi fossero, al
fallimento), poi, non vi è alcuna ragione di tutelare coloro che ne siano beneficiari,
dipendendone la caducazione dalla stessa loro posteriorità in applicazione dei
principi che regolano la materia della pubblicità immobiliare.

In sostanza, le formalità giovano, nel regime di pubblicità immobiliare, fino al
momento della liquidazione e cioè della trasformazione del bene immobile su cui
gravano in una somma da attribuire all’unico procedente o da distribuire tra i
creditori: con il trasferimento (se non già con l’aggiudicazione, che, in forza dell’art.
187-bis disp. att. c.p.c., dà titolo all’aggiudicatario non inadempiente al versamento
del prezzo a conseguire il trasferimento qualunque sia l’esito della procedura), il
bene nella sua materialità cessa di essere l’oggetto della procedura espropriativa e
viene meno la funzione di tutela propria delle formalità rese oggetto dell’ordine di
cancellazione, trasferendosi le ragioni, da quelle rappresentate, sulla somma
ricavata o restando assistite da differenti rimedi.
F. Conclusioni.

In definitiva, in difetto di una disposizione che autorizzi a differire l’esecuzione
dell’ordine incondizionato di cancellazione impartito col decreto di trasferimento, sia
il giudice dell’esecuzione che il Conservatore devono limitarsi ad applicare la legge:
il primo pronunciando un decreto che, accertata la ritualità delle operazioni
pregresse, tra cui anche il coinvolgimento a norma di legge (escluso, peraltro, per le
formalità successive al pignoramento, trascritte o iscritte a loro rischio dai successivi
pretendenti) dei soggetti interessati e titolari di formalità favorevoli da cancellare,
ordina anche la purgazione dalle formalità pregiudizievoli in modo da immettere sul
mercato e nelle mani dell’aggiudicatario un bene che ne è definitivamente liberato.

Dal canto suo, il Conservatore doverosamente esegue incondizionatamente ed
immediatamente l’ordine che, sotto la propria responsabilità, quel giudice ha
emesso, non avendo alcuna potestà di inficiarne o differirne l’immediata efficacia e
non dando corso al quale, come ad esempio subordinandolo alla produzione di
attestati sulla inoppugnabilità o definitività del decreto invece sussistente ex se, egli
rifiuta un atto del proprio ufficio ed espone questo, l’Amministrazione da cui dipende
e se stesso alle conseguenti responsabilità in sede civile, penale, contabile,
amministrativa e disciplinare.

Può così concludersi, in accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero, che
il decreto di trasferimento immobiliare, tanto nell’espropriazione individuale che in
quella concorsuale (che alla prima a vario titolo si richiama), implica l’immediato e
non differibile trasferimento del bene purgato e libero dai pesi indicati dalla norma o
ricavabili dal regime del processo esecutivo (pignoramenti e iscrizioni ipotecarie,
anche se successivi gli uni e le altre alla trascrizione del pignoramento, escluse dalle
seconde quelle che si riferiscono ad obbligazioni assuntesi dall’aggiudicatario a
norma dell’art. 508 c.p.c., in quanto in grado di sopravvivere alla purgazione,
espressamente indicati come da cancellarsi dalla lettera dell’art. 586 c.p.c.; ma pure
altri privilegi, tutelati dall’obbligo di avviso ai sensi dell’art. 498 c.p.c., nonchè i
sequestri conservativi, idonei a convertirsi in pignoramenti quando sia conseguito dal
sequestrante il titolo), con conseguente obbligo, per il competente ufficio, di
procedere alla cancellazione di questi immediatamente ed incondizionatamente o, in
ogni caso e per quel che qui rileva, indipendentemente dal decorso dei termini
previsti per il dispiegamento delle opposizioni agli atti esecutivi avverso il decreto di
trasferimento.

Resta salva, beninteso, ogni determinazione del giudice successiva al decreto
resa nelle forme di legge, eventualmente in sede di revoca o di opposizione agli atti
esecutivi avverso di esso dispiegata, anche solo nella fase sommaria.

Va, in definitiva, affermato il seguente principio di diritto nell’interesse della
legge: “nel procedimento di espropriazione e vendita forzata immobiliare, il
decreto di trasferimento del bene, recante l’ordine di cancellazione dei gravami
sul medesimo (tra cui i pignoramenti e le ipoteche), determina il trasferimento
del diritto oggetto della procedura espropriativa libero da quei pesi e quindi la
contestuale estinzione dei medesimi vincoli, dei quali il Conservatore dei
registri immobiliari (oggi Ufficio provinciale del territorio – Servizio di
pubblicità immobiliare, istituito presso l’Agenzia delle Entrate) è tenuto ad
eseguire la cancellazione immediatamente, in ogni caso indipendentemente
dal decorso del termine di proponibilità delle opposizioni esecutive a norma
dell’art. 617 c.p.c.”.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30/01/2013 ed è rigettato,
va infine dato atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime:
Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U.
27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto
limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per
l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito
dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato
per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice
dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce
quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o
inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte
dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello, ove dovuto, per l’impugnazione da essa proposta, a norma del detto
art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso ed enuncia, su richiesta del Procuratore Generale della
Repubblica, il principio di diritto nell’interesse della legge come indicato in
motivazione al punto 69 delle ragioni della decisione.
Condanna G.P. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità,
liquidate:

in favore dell’Agenzia del Territorio, in Euro 5.000,00 (cinquemila/00) per
compensi, oltre alle spese prenotate a debito;

in favore di M.S.G., in Euro 7.000,00 (settemila/00) per compensi, oltre alle
spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli esborsi liquidati in Euro
200,00.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla
L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari
a quello, ove dovuto, per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13,
comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2020