Sentenza, Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 16 dicembre 2020, n. 28709, Avviso di accertamento alla società – beneficium excussionis:

In questa occasione, i giudici di legittimità hanno dovuto affrontare la seguente questione di diritto: se, a fronte di avviso di accertamento notificato alla società e non impugnato, il socio receduto, quale coobbligato sussidiario, posso impugnare dinnanzi al giudice tributario la cartella di pagamento, assimilabile ad un atto di precetto, eccependo l’inosservanza del beneficium excussionis. La Corte, rispondendo positivamente al suddetto quesito, precisa altresì che l’inosservanza del suddetto benefico determina l’improcedibilità dell’azione esecutiva nei confronti del socio receduto. Nonostante ciò, tale eccezione, a seconda della compagine sociale coinvolta, comporta l’onere di prova gravante o sul socio o sul creditore della capacità oppure incapacità patrimoniale della società.

Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 16 dicembre 2020, n. 28709:

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –
Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –
Dott. TRIA Lucia – Presidente di Sez. –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9904/2012 proposto da:
G.C., elettivamente domiciliatosi in ROMA, VIALE PARIOLI 43, presso lo studio
dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, rappresentato e difeso dall’avvocato
FRANCESCO CARETTA;

ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente
domiciliatosi in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO;

controricorrente –
e contro
EQUITALIA ESATRI S.P.A. (già EQUITALIA NORD);

intimata –
avverso la sentenza n. 3342/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
della Lombardia, depositata il 02/03/2011.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/10/2020 dal
Consigliere Dott. ANGELINA MARIA PERRINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del terzo e quarto motivo
del ricorso per quanto di ragione, respinti gli altri;
uditi l’avv. Vincenzo Caretta, per il ricorrente e l’avv. Carmela Pluchino, per
l’Avvocatura Generale dello Stato.
Svolgimento del processo
Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata G.C. è stato socio fino al 2004
della s.n.c. C. Sports di C.G. & C.. L’Agenzia delle entrate ha emesso nei confronti
della società un avviso di accertamento per iva e irap relative all’anno 2000, che ha
affermato di avere regolarmente notificato presso la sede legale e nelle mani
dell’ultimo legale rappresentante della società. All’avviso di accertamento, che non è
stato impugnato neanche dall’altro socio della società, ha fatto seguito la
notificazione a G.C. della cartella di pagamento oggetto del giudizio, che l’ex socio
ha impugnato, contestando per un verso che l’avviso di accertamento prodromico
fosse stato notificato alla società e lamentando per altro verso la violazione del
principio di sussidiarietà, a causa dell’inosservanza del beneficium excussionis che
gli spettava.
La Commissione tributaria provinciale di Brescia ha respinto il ricorso e quella
regionale della Lombardia ha rigettato il successivo appello proposto da G.. Il giudice
d’appello ha ritenuto legittima la notificazione dell’avviso di accertamento, avvenuta
presso la sede della società, nel frattempo trasformatasi, a mani dell’ultima legale
rappresentante; a tanto ha aggiunto che il beneficium excussionis può essere
invocato soltanto nella fase esecutiva, alla quale la cartella di pagamento è
prodromica.
Contro questa sentenza propone ricorso G.C. per ottenerne la cassazione, che
affida a cinque motivi, cui l’Agenzia delle entrate risponde con controricorso, che
illustra con memoria, mentre l’agente della riscossione non replica.
La sezione tributaria, ravvisato un contrasto in ordine alla possibilità per il socio di far
valere il beneficium excussionis a mezzo dell’impugnazione della cartella di
pagamento e ritenuta comunque di massima importanza la questione, ha rimesso gli
atti alla valutazione del Primo presidente. Ne è seguita la fissazione dell’odierna
udienza.
Motivi della decisione
1.- Con l’ordinanza interlocutoria la sezione tributaria di questa Corte pone la
questione dell’impugnabilità della cartella di pagamento, notificata al socio
illimitatamente responsabile in relazione a debiti della società, a causa della
mancata preventiva escussione del patrimonio sociale.
1.1.- Col terzo motivo di ricorso, difatti, G.C. lamenta giustappunto la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2304 c.c., là dove la Commissione tributaria regionale ha
escluso che si possa far valere la violazione del beneficium excussionis con
l’impugnazione della cartella di pagamento.
In realtà il ricorrente introduce anche un altro profilo d’impugnazione, in quanto, sotto
diversi aspetti, col primo e col secondo motivo di ricorso censura la statuizione del
giudice d’appello di ritualità della notificazione dell’avviso alla società.
E’ opportuno, allora, esaminare insieme tutti i motivi di ricorso (il quarto e il quinto
concernono pur sempre l’operatività del beneficio di preventiva escussione), tutti
concernenti l’impugnazione della cartella di pagamento ricevuta dal socio
illimitatamente responsabile di società di persone, che abbia fatto seguito all’avviso
di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato.
2.- In relazione alla pretesa per irap, che è una delle due dell’Agenzia, la cartella
notificata al socio receduto è senz’altro veicolo d’impugnazione dinanzi al giudice
tributario dell’avviso di accertamento, in base al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546,
art. 19, comma 3, ultimo inciso. Ciò perchè il presupposto impositivo dell’irap si
realizza direttamente in capo ai soci (tra varie, Cass., sez. un., 20 giugno 2012, n.
10145; sez. un., 29 maggio 2017, n. 13452; 24 luglio 2018, n. 19599): la società è
trasparente, in quanto è soltanto lo schermo dietro il quale i soci esercitano
collettivamente l’attività economica (Corte Cost. 17 settembre 2020, n. 201, punto
3.2.).
2.1.- L’imputazione dell’irap per trasparenza comporta, in tesi, la sussistenza del
litisconsorzio necessario di tutti i soci nel giudizio concernente la pretesa per irap nei
confronti della società; ma, in concreto, la questione non rileva in giudizio.
Emerge difatti dalla narrativa della sentenza impugnata e da quella del ricorso che il
socio che nell’anno d’imposta al quale si riferisce la pretesa era titolare della restante
quota di partecipazione della s.n.c. C. Sports di C.G. & C., ossia C.G., ha ricevuto la
notificazione dell’avviso e non l’ha impugnato.
E altrettanto si deve affermare per la società, la quale, in base alla sentenza
impugnata, pure ha ricevuto l’avviso e non l’ha impugnato.
Sul punto, difatti, il primo motivo di ricorso, col quale si lamenta la violazione ed
errata applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 e del D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633, art. 56, là dove la Commissione tributaria regionale ha ritenuto
che l’avviso di accertamento fosse stato correttamente notificato alla società, nella
propria vecchia compagine, in quanto non era stato comunicato all’Agenzia il
mutamento di composizione e conseguentemente della denominazione sociale, è
inammissibile.
Diversamente da quanto è sostenuto in ricorso, difatti, in cui si legge che l’avviso
prodromico alla cartella di pagamento impugnata sarebbe stato notificato alla
compagine sociale precedente in persona dell’allora legale rappresentante, il giudice
d’appello, con accertamento di fatto che è rimasto fermo, perchè non censurato, ha
riferito che “come risulta dagli atti, il contestato avviso di accertamento è stato
notificato alla s.n.c. contribuente – presso la sede sociale e a mani dell’attuale socia
e legale rappresentante C.A. – identificata con la denominazione che essa aveva
precedentemente…”.
2.1.1.- Infondato è poi il secondo motivo di ricorso, col quale si denuncia la
violazione dell’art. 112 c.p.c., là dove la Commissione tributaria regionale si sarebbe
pronunciata su un’eccezione – ossia sulla circostanza che la notificazione dell’avviso
di accertamento sarebbe stata ricevuta dall’ultimo amministratore – in realtà mai
posta dall’Agenzia.
Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non è d’ostacolo a una
pronuncia resa in base a una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella
prospettata dalle parti, oppure in base alla qualificazione giuridica degli stessi fatti
diversa da quella invocata dalle parti (tra varie, Cass. 11 gennaio 2019, n. 513).
2.2.- L’imputazione dell’irap direttamente ai soci esclude poi l’alterità rispetto alla
società che è, invece, richiesta ai fini dell’operatività del beneficium excussionis: ne
consegue l’inammissibilità del terzo, del quarto e del quinto motivo di ricorso.
In conclusione, in relazione all’irap il ricorso va respinto.
3.- Quanto alla pretesa per iva, la questione posta con l’ordinanza interlocutoria
identifica quale oggetto della decisione un tema irriducibile alle sole relazioni società
in nome collettivo/soci, disciplinate dall’art. 2304 c.c. (che si estende alle società in
accomandita semplice e per azioni, per i rinvii degli artt. 2315 e 2461 c.c.), oltre che
a quelle società semplice/soci, regolate, per il profilo in esame, dall’art. 2268 c.c.
(applicabile anche alle società irregolari, in base agli artt. 2297 e 2317 c.c.).
Restando in ambito tributario, anche il cessionario d’azienda o di ramo d’azienda
(nonchè il conferitario: si veda, anche in relazione al regime antecedente all’entrata
in vigore del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 16 comma 1, lett. g), che l’ha
espressamente contemplato, Cass. 31 ottobre 2019, n. 28057), assume la veste di
coobbligato in solido col cedente per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni, nei
limiti indicati dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 14, comma 1; e si tratta anche
in questo caso di un coobbligato in via sussidiaria, perchè gode del beneficio della
preventiva escussione del cedente.
3.1.- Difatti gli orientamenti maturati sull’impugnabilità della cartella per inosservanza
del beneficium excussionis, che hanno originato il contrasto rilevato con l’ordinanza
interlocutoria, hanno avuto riguardo, indifferentemente, alla posizione del socio
illimitatamente responsabile e a quella del cessionario o conferitario d’azienda o di
un ramo di essa.
4.- Di questi orientamenti, secondo quello maggioritario censito con l’ordinanza
interlocutoria il beneficio di preventiva escussione opera esclusivamente in sede
esecutiva.
Resta comunque fermo che si può agire in sede di cognizione al fine di munirsi di
uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio (tra varie, Cass. 12 agosto 2004,
n. 15713; 15 luglio 2005, n. 15036; 10 gennaio 2017, n. 279 e, da ultimo, 16 ottobre
2020, n. 22629).
4.1.- E poichè, si prosegue, in materia tributaria la cartella di pagamento non è un
atto esecutivo, ma si limita a preannunciare l’azione esecutiva, rispondendo per
quest’aspetto a funzione di precetto, è in questa fase inapplicabile il beneficium
excussionis, l’inosservanza del quale non concreta alcuna violazione deducibile con
l’impugnazione della cartella (Cass. 3 gennaio 2014, n. 49; 5 dicembre 2014, n.
25764; 16 giugno 2016, n. 12494; 29 luglio 2016, n. 15966; 21 dicembre 2016, n.
26549; 31 maggio 2018, n. 13917; 24 gennaio 2019, n. 1996).
5.- Secondo, invece, l’orientamento minoritario, in caso di ricorso al procedimento di
riscossione di tributi mediante ruolo legittimamente l’obbligato in via sussidiaria fa
valere il beneficium excussionis con l’impugnazione della cartella di pagamento.
5.1.- Si è partiti con l’affermare che la preventiva escussione costituisce un
presupposto fondante l’azione di riscossione coattiva nei confronti del socio (Cass. 8
maggio 2003, n. 7000); sicchè la pretesa tributaria va fatta valere nei confronti della
società e solo dopo l’inutile tentativo di escussione di questa può essere fatta valere
la pretesa esecutiva nei confronti del socio (Cass. 9 maggio 2007, n. 10584).
5.2.- Si è poi sottolineato che l’esclusione dalla giurisdizione tributaria delle
controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla
notificazione della cartella di pagamento, unitamente all’esclusione delle opposizioni
all’esecuzione, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni,
comporterebbe che l’obbligato in via sussidiaria non avrebbe alcuna possibilità di
ottenere tutela in caso d’inosservanza del beneficium excussionis stabilito in proprio
favore. A tanto si è aggiunto che l’iscrizione a ruolo che violi il beneficium
excussionis conforma l’attività di riscossione determinandone l’illegittimità, che si
riverbera sulla predisposizione e sulla notificazione della cartella. Sicchè sarebbe
nulla la cartella di pagamento notificata direttamente all’obbligato in via sussidiaria in
violazione del beneficium excussionis (Cass. 27 febbraio 2017, n. 4959).
5.3.- Si è quindi ribadito il principio anche in esito alla sentenza n. 114/18 con la
quale la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il D.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, art. 57, comma 1, lett. a), nella parte in cui non prevede che, nelle
controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla
notificazione della cartella di pagamento o all’intimazione di pagamento prevista
dall’art. 50 del medesimo D.P.R., sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615
c.p.c. (Cass. 27 settembre 2018, n. 23260; 31 gennaio 2019, n. 2878).
6.- Con l’ordinanza interlocutoria si prende partito per il primo dei due orientamenti e
a tal fine si osserva anzitutto che non v’è più, in esito alla richiamata sentenza n.
114/18 della Corte costituzionale, la necessità di colmare vuoti di tutela per il
coobbligato sussidiario, sulla quale puntava l’orientamento minoritario.
6.1.- Si aggiunge che quest’orientamento comporterebbe un trattamento deteriore
per il fisco, il quale sarebbe impossibilitato a perfezionare il titolo esecutivo da far
valere nei confronti del socio/coobbligato solidale senza aver prima atteso l’esito
dell’escussione coattiva dei beni della società, sicchè si troverebbe esposto
all’impossibilità di recuperare il proprio credito per intervenuto decorso del termine di
decadenza previsto, per la notificazione della cartella, dal D.P.R. n. 602 del 1973,
art. 25 (ossia entro due anni dalla data in cui sono divenuti definitivi gli accertamenti
effettuati dall’Ufficio); analoghe considerazioni sono svolte in relazione all’avviso di
accertamento esecutivo (cd. atto “impoesattivo”), previsto dal D.L. 31 maggio 2010,
n. 78, art. 29, conv., con modif., con L. 30 luglio 2010, n. 122, che il fisco non
potrebbe notificare al socio illimitatamente responsabile prima dell’escussione dei
beni sociali, esponendosi anche in tal caso al rischio di non poter rispettare i termini
previsti a pena di decadenza dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 e del
D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57.
Infine, s’ipotizza che lo spazio applicativo d’impugnazione del precetto per violazione
del beneficio della preventiva escussione corrisponda, in ambito tributario, alla
formulazione dell’eccezione in questione in sede di impugnazione dell’intimazione ad
adempiere prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, atto avente natura esclusiva
di precetto.
6.2.- In definitiva, il tema oggetto della decisione involge l’ambito di cognizione del
giudice deputato a decidere sull’impugnazione della cartella di pagamento ricevuta
dall’obbligato in via sussidiaria in relazione a un debito dell’obbligato principale che
scaturisce da un avviso di accertamento non impugnato.
E i punti da chiarire concernono l’identificazione della portata soggettiva del titolo
esecutivo nella riscossione e nell’esecuzione a mezzo ruolo di imposte, in relazione
ai coobbligati in via sussidiaria, nonchè i margini entro i quali costoro possono
esercitare il proprio diritto di difesa.
7.- La ricostruzione della portata soggettiva del titolo nella riscossione ed esecuzione
di tributi a mezzo ruolo è conformata, sul piano sostanziale, dalla posizione, rispetto
all’ente creditore, dell’obbligato in via principale e di quello sussidiario.
Nei confronti dell’ente creditore il socio illimitatamente responsabile è obbligato, per i
debiti sociali, in via sussidiaria, ma al pari della società (Cass., sez. un., 13 febbraio
2015, n. 3022), anche per quelli tributari, e pure se sia receduto -come nel caso in
esame-, in base all’art. 2290 c.c. (tra varie, Cass. 22 dicembre 2014, n. 27189 e 4
marzo 2020, n. 6020). Si tratta di una responsabilità “da posizione”, perchè deriva
dalla qualità di socio e concerne indistintamente e automaticamente tutti i debiti della
società: quella del socio non è un’obbligazione da fatto proprio, ma è propria, e
scaturisce direttamente dalla legge.
7.1.- Anche il cessionario o conferitario d’azienda risponde di un’obbligazione
propria, perchè subentra al cedente, e ne risponde in via sussidiaria, in base al
D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, pur non avendo realizzato il fatto indice di capacità
contributiva (Cass. 12 gennaio 2012, n. 255).
7.2.- L’esistenza dell’obbligo della società o del cedente, quindi, è costitutiva
dell’obbligo del socio illimitatamente responsabile o di quello del cessionario/
conferitario; e quest’obbligo, sebbene diverso per causa, concerne il medesimo
oggetto, ossia il debito d’imposta.
8.- Si spiega, allora, perchè l’ente creditore notifica soltanto alla società o soltanto al
cedente l’avviso di accertamento, senza necessità di simultaneus processus con i
soci o col cessionario/conferitario (tra varie, Cass. 21 novembre 2014, n. 24795; 5
dicembre 2014, n. 25765; 11 maggio 2016, n. 9527): i soggetti passivi del tributo
sono appunto loro ed è rispetto a loro che va accertato che il tributo è dovuto, ai fini
della formazione del titolo esecutivo, ossia del ruolo (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49,
comma 1).
8.1.- E’ quindi sufficiente notificare ai soci illimitatamente responsabili e al
cessionario/conferitario d’azienda o di un ramo di essa la cartella di pagamento
(Cass. n. 15966/16, cit.) o anche soltanto l’avviso di mora – oggi, l’intimazione di
pagamento- (Cass. 13 gennaio 2006, n. 618; 16 maggio 2007, n. 11228; 1 ottobre
2014, n. 20704; n. 25765/14, cit.; 16 marzo 2018, n. 6531), atti giuridicamente
dipendenti dal ruolo già formatosi nei confronti del soggetto passivo d’imposta (sulla
giuridica dipendenza della cartella dal ruolo, si veda Cass., sez. un., 2 ottobre 2015,
n. 19704).
9.- L’ente creditore agisce quindi, per mezzo dell’agente della riscossione, azionando
un titolo, ossia il ruolo, che si è formato nei confronti del proprio debitore d’imposta,
ossia dell’obbligato in via principale. Ma è pur sempre quel titolo che diviene riferibile
ai coobbligati in via sussidiaria, anche se in base a presupposti distinti.
Ed è da quel titolo, che concerne il tributo, che dipende la cartella notificata al
coobbligato: il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 1, stabilisce difatti che “il
concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al
coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza”, entro i termini ivi
previsti.
9.1.- La cartella vale come notificazione di quel ruolo, e determina, al pari del
precetto, la pretesa esecutiva (Cass., sez. un., 14 aprile 2020, n. 7822, punto 3.2).
Sicchè tramite l’impugnazione della cartella il socio contesta il diritto di procedere
all’esecuzione con riferimento a quel titolo, e quindi per debiti tributari, allo stesso
modo in cui per gli altri debiti sociali egli può contestare la propria responsabilità
mediante opposizione all’esecuzione (Cass. 14 maggio 2019, n. 12714, in
motivazione).
9.2.- E qualora, come nel caso in esame, l’iscrizione sia avvenuta in base a un
avviso notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può lamentare non
soltanto l’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo formatosi nei confronti della
società, ma anche l’inesistenza originaria o sopravvenuta del credito in esso
consacrato, ossia della pretesa tributaria, per inesistenza dei fatti costitutivi o per
esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi (arg. da Cass., sez. un., 23 luglio
2019, n. 19889).
Egli può poi contestare il fondamento della propria responsabilità, ossia la propria
qualità di socio, allegando ad esempio il recesso dalla compagine sociale in epoca
antecedente al sorgere del debito d’imposta, oppure la qualità di semplice
accomandante di una società in accomandita semplice, oppure ancora l’esistenza di
un patto limitativo della responsabilità, purchè opponibile al terzo ai sensi dell’art.
2267 c.c., comma 2: in questo modo ha la possibilità di sottrarsi all’efficacia
esecutiva del titolo “sociale” (sulla possibilità per il socio di contestare la propria
responsabilità mediante opposizione all’esecuzione si vedano, tra varie, Cass. 14
giugno 1999, n. 5884; 6 ottobre 2004, n. 19946).
E, ancora, egli può far valere l’improcedibilità dell’azione esecutiva nei propri
confronti perchè l’ente creditore non si è soddisfatto prima sui beni che compongono
il patrimonio sociale. Il beneficium excussionis presidia difatti il patrimonio del socio
nei confronti del creditore sociale, perchè subordina la garanzia generale da esso
offerta a quella correlata al patrimonio della società, sicchè spetta al socio decidere
se valersene, o no (Cass. 11 giugno 1987, n. 5106; 12 aprile 1994, n. 3399).
9.3.- Allo stesso modo si può regolare il cessionario di azienda o di un ramo di essa,
che pure può contestare l’obbligo tributario del cedente e il titolo formatosi nei suoi
confronti, ma anche il presupposto della propria obbligazione, ossia il contratto di
cessione, e può far valere la natura sussidiaria della propria responsabilità.
10.- Dei possibili profili di contestazione proponibili dal socio quale coobbligato in via
sussidiaria, questa Corte con l’ordinanza interlocutoria affronta solo quello
concernente la violazione della sussidiarietà dell’obbligazione, introdotto mediante la
denuncia di violazione del beneficium excussionis, previsto nel caso in esame
dall’art. 2304 c.c., ed esclude in assoluto che esso possa trovare ingresso nella fase
antecedente all’inizio dell’esecuzione forzata, salvo che nel caso in cui sia stata
notificata l’intimazione ad adempiere prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50.
10.1.- La pienezza di tutela affermata dalla giurisprudenza costituzionale (e, in
particolare, da Corte Cost. n. 114/18) starebbe dunque nel fatto che le azioni non
esercitabili davanti al giudice tributario sarebbero “compensate” dalla facoltà di
proporre opposizione all’esecuzione davanti al giudice ordinario ex art. 615 c.p.c.,
contro il pignoramento.
11.- La tesi non può essere seguita, perchè comporta un vistoso vuoto di tutela per il
coobbligato sussidiario, che sarebbe costretto ad aspettare il pignoramento, per
natura invasivo della sua sfera giuridica, per far valere l’improcedibilità dell’azione
esecutiva, oppure a sperare, per poterlo fare, che gli sia notificata l’intimazione ad
adempiere, la quale è soltanto eventuale (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2 e
del cit. D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, lett. e), come convertito).
11.1.- E il vuoto di tutela è del tutto ingiustificato: ormai da tempo questa Corte ha
sottolineato che anche a fronte della mera minaccia di esecuzione v’è l’interesse
dell’obbligato a paralizzare il diritto del creditore di agire in via esecutiva, facendo
leva sulla sussidiarietà della propria obbligazione (in termini, Cass. 15 luglio 2005, n.
15036 e 14 novembre 2011, n. 23749).
11.2.- Il vuoto di tutela è stato del resto escluso proprio dalla Corte costituzionale:
“…la prevista inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione, quando riguarda atti
che radicano la giurisdizione del giudice tributario, non segna una carenza di tutela
del contribuente assoggettato a riscossione esattoriale, perchè questa c’è comunque
innanzi ad un giudice, quello tributario. L’inammissibilità dell’opposizione ex art. 615
c.p.c., si salda, in simmetria complementare, con la proponibilità del ricorso D.Lgs. n.
546 del 1992, ex art. 19, assicurando, in questa parte, la continuità della tutela
giurisdizionale” (Corte Cost. n. 114/18, punto 11; in termini, Cass. 28 novembre
2019, n. 31090).
12.- Il socio può dunque impugnare la cartella proponendo l’intera gamma delle
contestazioni che gli spettano.
E, per farlo, si deve rivolgere al giudice tributario.
La cartella che impugna riguarda difatti un credito tributario e, quindi, la materia
tributaria. Nel momento in cui del D.P.R. n. 602 del 1973, citato art. 25, individua
come destinatario della notificazione della cartella di pagamento il coobbligato
d’imposta, attrae necessariamente la controversia instaurata avverso tale cartella
nell’ambito della cognizione del giudice tributario.
Per orientamento costante di queste sezioni unite, difatti, la giurisdizione si ripartisce
tra giudice ordinario e tributario a seconda della natura del credito azionato (tra
varie, Cass., sez. un., 7 luglio 2014, n. 15425; sez. un., 31 luglio 2017, n. 18979). La
giurisdizione tributaria ha carattere pieno ed esclusivo, appunto ratione materiae
(Cass., sez. un., 16 marzo 2009, n. 6315) e si radica indipendentemente dal
contenuto della domanda (Cass., sez. un., 27 settembre 2006, n. 20889).
12.1.- E l’ambito di cognizione del giudice tributario si estende sino all’inizio della
fase dell’esecuzione forzata, sicchè sono sottratte alla giurisdizione tributaria le sole
controversie attinenti alla fase dell’esecuzione forzata, mentre quelle scaturite
dall’impugnazione degli atti prodromici all’esecuzione, quali la cartella di pagamento
o l’intimazione di pagamento, se autonomamente impugnabili ai sensi del D.Lgs. n.
546 del 1992, art. 19, sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie
(Cass., sez. un., 31 marzo 2008, n. 8279; sez. un., 3 maggio 2016, n. 8770).
13.- Sebbene pertanto il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, si limiti a individuare gli atti
di cui possono conoscere le commissioni tributarie, senza precisare quale possa
essere l’oggetto del giudizio, deriva chiaramente dal sistema che anche in materia
tributaria si possono svolgere contestazioni a tutto tondo: chi ricorre contro atti
relativi a crediti tributari è quindi ammesso a denunciarne l’irregolarità formale,
introducendo contenuti analoghi a quelli che, nel sistema del codice di rito, rientrano
nel perimetro dell’opposizione agli atti esecutivi (in termini, Cass., sez. un., 5 maggio
2011, n. 9840; sez. un., 17 aprile 2012, n. 5994); ma egli è anche ammesso, qualora
non si siano formate preclusioni, a contestare il diritto del creditore di procedere
esecutivamente, introducendo contenuti analoghi a quelli che, nel sistema del codice
di rito, appartengono al perimetro dell’opposizione all’esecuzione.
Laddove restano esclusi dalla giurisdizione tributaria gli atti dell’esecuzione tributaria
successivi alla notificazione, effettivamente e validamente eseguita, della cartella o
dell’intimazione di pagamento (Cass., sez. un., n. 7822/20, cit., punto 3.5.).
13.1.- Nè vale sostenere, come fa la Procura generale, che in questo modo verrebbe
attribuita al giudice tributario un’azione innaturale di mero accertamento, poichè
quella davanti alla giurisdizione tributaria è pur sempre inscrivibile nel modello
impugnatorio delineato dal suddetto art. 19 (ancora Cass., sez. un., n. 7822/20,
punto 5.1.).
14.- Non avrebbe senso una tutela aggiuntiva dinanzi alla giurisdizione ordinaria (del
resto esclusa da Corte Cost. n. 114/18, cit.), magari al solo fine di ottenere la sola
tutela prevista dall’art. 615 c.p.c., comma 1, ossia la sospensione dell’efficacia
esecutiva del titolo: il giudice tributario, difatti, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992,
art. 47, investito del giudizio d’impugnazione di atti della riscossione, può appunto
sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato, qualora al ricorrente possa derivare
dall’atto un danno grave e irreparabile, e, quindi, può disporre per quest’aspetto
tutele corrispondenti a quelle interne al procedimento di opposizione all’esecuzione
(Corte Cost. n. 114/18, punto 9, ultimo cpv; Cass., sez. un., n. 7822/20, cit., punto
3.8.1).
14.1.- D’altronde, qualora l’opposizione si basi anche sull’illegittimità della pretesa
tributaria il giudice civile non potrebbe avere cognizione integrale, ex art. 615 c.p.c.,
comma 1, del fumus boni iuris che deve comunque sorreggere il provvedimento di
sospensione (avente natura cautelare, sia pure sui generis: Cass., sez. un., n.
19889/19, punto 43); e ciò perchè la valutazione di plausibile illegittimità di quella
pretesa è comunque demandata ratione materiae al giudice tributario.
15.- L’assetto così delineato trova conferma in caso d’impugnazione
dell’accertamento esecutivo (c.d. atto impoesattivo) dinanzi richiamato, che realizza
l’accorpamento in un solo atto delle funzioni di atto impositivo, titolo esecutivo e
precetto. Eliminata l’iscrizione a ruolo, non v’è più necessità di notificare la cartella di
pagamento. Sicchè il coobbligato deve ricevere la notificazione dell’accertamento
esecutivo, e non può che impugnarlo dinanzi al giudice tributario.
15.1.- Una linea avanzata verso questo assetto emerge, peraltro, nella
giurisprudenza che ha ammesso la facoltà di notificare l’avviso di rettifica dell’iva di
una società di persone anche ai soci illimitatamente responsabili e il conseguente
onere di costoro di contestare la qualità sociale mediante l’impugnazione dell’avviso
(Cass. 23 gennaio 2020, n. 1504; in precedenza, Cass. 28 luglio 2006, n. 17225).
16.- Il sistema così prefigurato inquadra la questione della violazione del beneficium
excussionis nell’ordinaria dinamica processuale tra parti contrapposte, diversamente
da come indicato nell’ordinanza interlocutoria.
Sul punto la sezione tributaria, si è visto, paventa il pregiudizio per il fisco, che non
potrebbe notificare la cartella di pagamento al coobbligato sussidiario prima della
conclusione dell’escussione dei beni della società, di modo che, nel caso in cui
l’escussione sia totalmente o parzialmente infruttuosa, si troverebbe nell’impossibilità
di recuperare il proprio credito nei confronti del coobbligato sussidiario a causa del
decorso dei termini di decadenza fissati per la notificazione della cartella.
16.1.- Anzitutto, non si configura alcuna impossibilità di notificare al coobbligato
sussidiario la cartella prima dell’escussione dei beni dell’obbligato principale. E’ pur
sempre il coobbligato beneficiato che deve far valere il beneficio (addirittura
provvedendo, qualora si applichi l’art. 2268 c.c., a indicare i beni sui quali il creditore
possa agevolmente soddisfarsi), al fine d’impedire che inizi l’esecuzione vera e
propria, oppure di bloccarla dopo che sia iniziata.
Si rivela, allora, eccessivo l’orientamento minoritario, là dove sostiene che
l’escussione del patrimonio sociale debba comunque precedere la notificazione della
cartella al socio, la quale, altrimenti, sarebbe nulla ab origine. La violazione del
beneficium excussionis non configura difatti un vizio proprio della cartella, perchè la
relativa deduzione è eccezione che va a integrare autonoma causa petendi
d’impugnazione appartenente al perimetro dell’opposizione all’esecuzione.
17.- Inoltre, la mera violazione dell’ordine che il creditore deve seguire per far valere
le proprie ragioni non può di per sè comportare la caducazione della pretesa rivolta
al socio, ma al più può fondare la richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’atto
riscossivo impugnato, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 47.
17.1.- In tal caso, per ottenere la sospensione occorre provare il fumus boni iuris,
ossia o, in radice, l’insussistenza della qualità di socio illimitatamente responsabile, o
la violazione dell’ordine; è altresì necessario che l’istante evidenzi la propria
situazione economica, gli effetti lesivi irreversibili e inadeguatamente ristorabili
dell’esecuzione e, comunque, l’intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante
dall’esecuzione dell’atto e le concrete possibilità di risarcimento in caso di
accoglimento del ricorso (vedi, sul punto, le considerazioni di Corte Cost. 7 giugno
2010, n. 217, punto 2.3.).
17.2.- Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, evita d’altronde la protrazione della
sospensione per un tempo irragionevole.
Per un verso, con norma acceleratoria il comma 6, stabilisce che “Nei casi di
sospensione dell’atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata
non oltre novanta giorni dalla pronuncia” e, per altro verso, il successivo comma 8,
prevede che “In caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza
motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della
sentenza…”. Con norma di chiusura, poi, il comma 7 dispone che la pubblicazione
della sentenza in ogni caso determina la cessazione degli effetti della sospensione.
18.- Soprattutto, quel che conta, per poter affermare l’inoperatività della
responsabilità sussidiaria, è, quanto al rapporto società/soci, la dimostrazione che la
società ha la capacità patrimoniale di soddisfare i propri debiti (Cass. 8 luglio 1983,
n. 4606; 3 marzo 2011, n. 5136).
La responsabilità sussidiaria può difatti scattare soltanto quando il creditore non
riesca a soddisfarsi, in tutto o in parte, sui beni dell’obbligato principale.
18.1.- Si tratta, quindi, di una questione di prova di esistenza, o di inesistenza, di
quella capacità.
Del resto, quando l’incapacità patrimoniale della società è accertata con sentenza
che ne dichiara il fallimento, la legge ammette, immediatamente e senza attendere i
risultati dell’esecuzione concorsuale, l’azione esecutiva del creditore sociale sul
patrimonio del socio, facendo conseguire al fallimento della società quello dei soci
illimitatamente responsabili (L. Fall., art. 147).
19.- Nella società semplice (e nelle società irregolari) è sul socio che incombe
l’onere di provare che il creditore può agevolmente soddisfarsi sul patrimonio sociale
(arg. da Cass. 15 dicembre 1990, n. 11921 e da Cass. n. 7000/03, cit.). Nel caso
della società in nome collettivo e di quelle in accomandita semplice e per azioni
l’onere della prova s’inverte: qui è il creditore a dover provare l’insufficienza del
patrimonio sociale.
Queste diverse modalità processuali si spiegano nel sistema del codice civile per la
diversa condizione giuridica della società registrata rispetto a quella non registrata: è
soltanto in relazione alla prima, difatti, che il creditore sociale è posto in grado di
conoscere, attraverso la pubblicità del contratto sociale e delle sue modificazioni, i
conferimenti dei soci e le loro successive vicende, sicchè il socio è giustamente
dispensato dall’onere d’indicargli i beni sui quali potersi soddisfare.
E una scelta analoga a quella relativa alla società registrata è stata adottata in
favore del cessionario d’azienda o di ramo di essa (D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art.
14).
20.- Le modalità della prova divengono poi tanto più gravose, e il coefficiente di
rischio di soccombenza aumenta, quanto più dubbie siano le circostanze.
Così, quando risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza del patrimonio
sociale per la realizzazione anche parziale del credito (ad esempio, in caso in cui la
società sia cancellata), non c’è necessità per il creditore di sperimentare l’azione
esecutiva sul patrimonio della società (Cass. n. 4606/83, cit.). Sul versante opposto,
anche l’esito negativo del pignoramento presso terzi è inidoneo a far ritenere certa
l’incapienza del patrimonio societario, potendo la società disporre di altri beni
sufficienti a garantire il soddisfacimento del credito (così Cass. n. 5136/11, cit.).
21.- Sicchè se l’amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso
andrà respinto. Se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del
patrimonio, il ricorso andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso
sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della
regola suppletiva posta dall’art. 2697 c.c., comporterà che il ricorso sarà accolto o
respinto, a seconda che l’onere della prova gravi sul creditore, oppure sul
coobbligato sussidiario.
21.1.- E l’accoglimento, totale o parziale, del ricorso non potrà che condurre al
corrispondente annullamento della cartella nei confronti del socio. Il che esclude in
radice che si ponga il problema della decadenza.
22.- Il coobbligato beneficiato, inoltre, non decade dal diritto di far valere il beneficio,
sicchè se non lo fa valere impugnando la cartella, lo potrà fare contro l’eventuale
intimazione successiva e, in mancanza, impugnando il pignoramento, ma stavolta
dinanzi al giudice dell’esecuzione: e ciò perchè la natura sussidiaria della propria
obbligazione resta tale anche se non la si fa valere immediatamente.
23.- In questo contesto il primo motivo di ricorso, che coinvolge l’atto impositivo
prodromico alla cartella di pagamento, è in astratto ammissibile anche in relazione
alla pretesa per iva; ma, in concreto, si rivela comunque inammissibile per le ragioni
sopra illustrate a proposito della pretesa per irap. E sorte analoga a quella già
indicata subisce il secondo motivo di ricorso.
23.1.- Il quarto e il quinto motivo di ricorso, da esaminare prima del terzo, perchè
rispetto a questo prodromici, coi quali ci si duole dell’omessa pronuncia sul fatto
decisivo che la società di persone non si può considerare estinta nonostante
l’intervenuta cancellazione qualora sopravvengano passività di natura fiscale (quarto
motivo) e della pronuncia su un fatto non dedotto dall’Agenzia, ossia l’intervenuta
cancellazione (quinto motivo), sono poi inammissibili perchè non congruenti col
contenuto della decisione.
Con la sentenza impugnata il giudice d’appello ha escluso qualsiasi violazione del
principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. In effetti, emerge dal testo
della sentenza di primo grado, trascritto in quella impugnata, che la Commissione
tributaria provinciale non ha valutato la cancellazione, ma ha constatato che la
società “…si sciolse nel 2004, quindi non era attiva e non era in liquidazione al
momento delle notifiche dell’avviso di accertamento e della cartella di pagamento”: e
da questi elementi ha inferito l’inesistenza del patrimonio sociale.
24.- Il relativo accertamento è quindi destinato a restar fermo e comporta
l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, col quale ci si duole della violazione del
beneficio di preventiva escussione.
25.- In definitiva, il ricorso va respinto, con l’affermazione del seguente principio di
diritto:
“In tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui
presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza
risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non
impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra
l’altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio
sociale. In tal caso, se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul
socio l’onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul
patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in
accomandita semplice o per azioni, è l’amministrazione creditrice a dover
provare l’insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non
risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza del patrimonio sociale
per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in
cui la società sia cancellata). Ne consegue che, se l’amministrazione prova la
totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il
coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà
accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli
stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della regola
suppletiva posta dall’art. 2697 c.c., comporterà ricorso sarà accolto o respinto,
a seconda che l’onere della gravi sul creditore, oppure sul coobbligato
sussidiario”.
Il contrasto determinatosi nella giurisprudenza di questa comporta, tuttavia, la
compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso le spese.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020