Sentenza, Corte Suprema di Cassazione, II Sezione Penale, 2 ottobre 2020, n. 27427, Usura -Misura degli Interessi:

In questa occasione i giudici di legittimità, riprendendo un consolidato orientamento giurisprudenziale, chiariscono che, ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 644, V co., n. 3, c.p., lo stato di bisogno della vittima deve intendersi come limitazione della sua volontà, non essendo in grado di accedere ad altre forme di credito e, quindi, essendo costretta a sottostare alle esose condizioni di un credito usuraio. Tale stato di bisogno della persona offesa, peraltro, può essere provato anche solo in base alla misura degli interessi. Ciò in quanto, ove l’entità degli interessi sia elevata, si presume che solo un soggetto in stato di difficoltà possa contrarre un prestito a condizioni così svantaggiose.

Corte Suprema di Cassazione, II Sezione Penale, 2 ottobre 2020, n. 27427:

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGO Geppino – Presidente –
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –
Dott. PARDO Ignazio – Consigliere –
Dott. DI PISA Fabio – rel. Consigliere –
Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.S., nato a (OMISSIS);
V.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/10/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FABIO DI PISA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. TOCCI
STEFANO che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi l’Avvocato LEONE ANTONIO in difesa di V.A. nonchè l’Avvocato GIORGIONE
GERARDO in difesa di S.S. i quali hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi
motivi di ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenzà del 24/10/2018 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della
senterza emessa in data 29;12/2016 in sede di giudizio abbreviato dal Giudice delle
indagini Preliminari del Tribunale di Napoli, confermava l’affermazione della penale
responsabilità V.A. e S.S. per i reati di usura aggravata (capo A) ed estorsione
aggravata (capo B) ed il primo anche per il reato di minacce aggravate (capo C),
rideterminava le pene a carico dei predetti e confermava le ulteriori statuizioni ivi
compresa la disposta confisca di un motociclo e di un conto corrente nei confronti
del V..

Contro detta pronunzia propongono ricorsi per cassazione entrambi gli imputati, a
mezzo difensori di fiducia.
2.1. V.A. deduce i seguenti motivi:
a. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata esclusione
dell’aggravante di cui all’art. 644 c.p., comma 5, n. 3.
Lamenta che i giudici di merito non avevano considerato che difettava la prova che,
all’epoca dei fatti, la vittima P.F. fosse un imprenditore in stato di necessità da
intendersi quale condizione tendenzialmente irreversibile tale da compromettere
fortemente la libertà contrattuale del soggetto, essendo la sentenza sul punto
totalmente generica e disancorata dal riferimento a dati oggettivi;
b. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della
aggravante di cui al D.L. 13 Maggio 1991, art. 7 conv. in L. 12 Luglio 1991, n. 203.
Rileva che nella fattispecie in esame mancava ogni dimostrazione che l’imputato
avesse posto in essere un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare
sulla vittima la particolare coartazione psicologica evocata dalla menzionata norma,
essendo emerso che egli aveva agito al solo fine di recuperare le somme erogate;
c. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata esclusione
dell’aggravante delle più persone riunite di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1.
Assume che nella specie la medesima contestazione mossa al ricorrente era tale da
escludere l’aggravante in questione la quale richiede sempre la necessaria
simultanea ed effettiva presenza dei correi nel luogo e nel momento del fatto;
d. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 240 c.p. Erronea
applicazione della confisca.
Rileva che l’acquisto del motociclo confiscato risaliva ad un periodo ben lontano dal
commesso reato sicchè era “difficilmente riconducibile all’attività delittuosa” e che il
libretto a risparmio, intestato alla moglie, costituiva il frutto di introiti leciti della
intestataria;
e. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62 bis c.p..
Evidenzia che la motivazione era del tutto carente in punto di mancato
riconoscimento delle chieste circostanze attenuanti generiche.
2.2. S.S. propone, a sua volta, i seguenti motivi:
a. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata esclusione
dell’aggravante delle più persone riunite di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1,
formulando una censura sostanzialmente sovrapponibile al terzo motivo avanzato
dal coimputato V.;
b. violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata esclusione
dell’aggravante di cui all’art. 644 c.p., comma 5, n. 3 avanzando una censura
sostanzialmente sovrapponibile al primo motivo proposto dal V.;
c. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della
aggravante di cui al D.L. 13 Maggio 1991, art. 7 conv. in L. 12 Luglio 1991, n. 203,
deducendo una censura sovrapponibile al secondo motivo proposto dal V.;
d. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62 bis c.p..
Lamenta che la corte di appello aveva rilevato la genericità delle censura non
considerando che la motivazione della sentenza di primo grado era totalmente
laconica imponendosi una rivalutazione del profilo in ragione della condotta
processuale dell’imputato il quale aveva ammesso gli addebiti, rinunziando ai motivi
di gravame.

L’Avv. Antonio Leone, difensore di V.A., ha inviato a mezzo P.E.C. in data 17
Giugno 2020, memoria ex D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, con la quale ribadito le
censure relative alla insussistenza dell’aggravante ex D.L. 13 Maggio 1991, art. 7.
Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente in
quanto, in parte, sostanzialmente sovrapponibili, sono inammissibili.

I motivi dei ricorsi riguardanti violazione di legge nonchè difetto di motivazione in
relazione alla mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 644 c.p., comma 5, n.
3 sono manifestamente infondati.
Va premesso che in tema di usura, lo stato di bisogno va inteso non come uno stato
di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma
come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a
ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza nè la
causa di esso, nè l’utilizzazione del prestito usurario. (Sez. 2, n. 43713 del
11/11/2010 – dep. 10/12/2010, Galante, Rv. 24897401).
Tale condizione sussiste, invero, secondo la costante giurisprudenza di legittimità,
ogni qual volta la persona offesa non sia in grado di ottenere altrove ed a condizioni
migliori prestiti di denaro e debba perciò sottostare alle esose condizioni impostele, o
quando il soggetto passivo si trovi in una situazione che elimini o, comunque, limiti la
sua volontà inducendolo a contrattare in condizioni di inferiorità psichica tali da
viziarne il consenso.
E lo stato di bisogno della persona offesa del delitto di usura può essere provato
anche in base alla sola misura degli interessi, qualora siano di entità tale da far
ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto in quello stato possa contrarre
il prestito a condizioni tanto inique e onerose. (Fattispecie in cui il tribunale del
riesame era giunto a calcolare interessi usurai anche pari al 7, 2% mensile e a 86%
su base annua). (Sez. 2, n. 21993 del 03/03/2017 – dep. 08/05/2017, Surgo, Rv.
27006401) cfr., in senso conforme Cass. n. 9450 del 1.9.87, ud. 27.1.87; Cass. n.
1207 del 31.1.87, ud. 17.6.86; Cass. rv. n. 166264; Cass. rv. n. 171007; Cass. rv. n.
174967 Applicando i suddetti principi giurisprudenziali alla concreta fattispecie in
esame, ne discende che la decisione della corte territoriale non si presta ad alcuna
censura proprio perchè quella determinata situazione di fatto (bisogno di liquidità da
parte della persona offesa P.F. “il quale non poteva accedere al credito bancario”),
integra lo stato di bisogno e tale situazione correttamente è stata ritenuta provata
anche in ragione dell’elevato tasso d’interesse pattuito (compreso fra il 77% ed il
288% annuo), come accertato dai giudici di merito con una motivazione in fatto
adeguata e priva di aporie.

Le argomentazioni della sentenza impugnata non appaiono nè carenti, nè illogiche
nè contraddittorie nella parte in cui i giudici territoriali hanno ritenuto dimostrata
l’aggravante del metodo mafioso ex D.L. 13 Maggio 1991, n. 152, art. 7 (articolo
abrogato dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, art. 7, comma 1, lett. i), ed ora sostituito
dall’art. 416-bis 1 c.p., “Circostanze aggravanti ed attenuanti per reati connessi ad
attività mafiose”).
Va premesso che la Corte Suprema di Cassazione ha osservato che il D.L. 13
maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito in L. 12 giugno 1991, n. 203, configura due
ipotesi di circostanze aggravanti: la prima – che ricorre nel caso di specie – riguarda il
reato commesso da colui che – appartenente o meno all’associazione di cui all’art.
416 bis c.p. – si avvale del c.d. “metodo mafioso”, per la cui sussistenza non è
necessaria la prova dell’esistenza dell’associazione criminosa, essendo, invece,
sufficiente l’aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l’agente appartenga
a tale associazione; la seconda, al contrario, postulando che il reato sia commesso
al fine specifico di agevolare l’attività di un’associazione mafiosa, implica
necessariamente l’esistenza reale – e non semplicemente supposta – di essa,
richiedendo, pertanto, anche la prova della oggettiva finalizzazione dell’azione a
favorire l’associazione medesima (Sez. 2, n. 49090 del 04/12/2015, Maccariello, Rv.
26551501).
La ratio legis sottesa alla prima ipotesi risiede, dunque, nella evidente finalità di
contrastare in maniera più decisa l’atteggiamento di quei soggetti che, stante la loro
maggiore pericolosità e proclività a delinquere, partecipi o non partecipi di
un’associazione criminosa, utilizzino “metodi mafiosi”, ossia si comportino “da
mafiosi” oppure ostentino, in maniera evidente e provocatoria, una condotta idonea
ad esercitare sulla vittima quella particolare coartazione e pressione psicologica,
nonchè quel particolare effetto intimidatorio proprio delle organizzazioni in questione.
Osserva il collegio che ai fini della sussistenza dell’aggravante è sufficiente che
l’associazione, in quanto evocata dall’agente, pur rimanendo sullo sfondo, spinga la
vittima a piegarsi, solo in apparenza “spontaneamente”, al volere dell’aggressore e
ad abbandonare ogni velleità di resistenza o difesa per timore di ritorsioni o,
comunque, di più gravi conseguenze.
Difatti, l’aver ingenerato nella persona offesa la consapevolezza che l’agente
appartenga ad un’associazione mafiosa – sia questa esistente o meno (Sez. 2, n.
49090, cit.) – o che agisca su suo mandato (Sez. 1, n. 22629 del 05/03/2004, Sessa,
Rv. 228195) è alla base del peculiare stato di soggezione, omertà e vulnerabilità,
che facilitano l’esecuzione del reato, rendendone più difficoltosa la repressione, e
che lasciano la vittima inerme di fronte alla forza prevaricatrice e sopraffattrice
dell’associazione medesima.
Tuttavia va puntualizzato che ciò non significa che, ai fini della configurazione
dell’aggravante de qua, sia necessario che l’autore del reato riesca poi
effettivamente a coartare la volontà della persona offesa, giacchè la capacità
soverchiante della condotta aggressiva evocativa del sodalizio criminoso deve
essere valutata ex ante come astrattamente idonea ad incidere maggiormente sulla
libertà di autodeterminazione della vittima (Cass. Sez. 1 del 6 marzo 2009, n. 14951,
Izzo, Rv. 243731).
Orbene, ritiene questo Collegio che la sentenza impugnata abbia fatto buon governo
dei principi di diritto sin qui evocati, senza incorrere in alcun vizio motivazionale sul
punto.
Infatti non si può affatto sostenere, come fanno i ricorrenti, la generica, insufficiente
e contraddittoria motivazione sulla sussistenza dell’aggravante suddetta avendo i
giudici di merito, ai fini della ritenuta configurabilità di tale circostanza,
adeguatamente valutato la peculiarità del linguaggio utilizzato nonchè le circostanze
dell’azione e le modalità della stessa (v. sent. ff. 5/6).
Con argomentazione del tutto logica, oltre che giuridicamente corretta, la corte
territoriale, nel confermare l’iter motivazionale della sentenza di primo grado, ha
osservato che l’avere fatto riferimento ad una pluralità di persone (“noi siamo in
tanti… non c’è una persona sola fisicamente ma siamo in tanti”), il richiamo
dell’appartenenza dei soldi ad una “famiglia” con il costante uso del “plurale” e l’aver
motivato le richieste del versamento di denaro con la finalità di aiutare
economicamente alcuni soggetti usciti dal carcere (“perchè i ragazzi usciti da poco
dal carcere avevano bisogno di somme di denaro”) nonchè di pagare gli avvocati cui
erano stati dati “tanti soldi” dalla “famiglia S.”, secondo una prassi di solidarietà
verso i sodali detenuti che è propria delle organizzazioni di tipo mafioso, è valso ad
evocare la presenza – con tutta la sua forza cogente – di un sodalizio di tal fatta
apparendo evidente “la maggiore coartazione della volontà della vittima”.
Va detto, del resto, che secondo consolidata giurisprudenza della Corte Suprema “la
circostanza aggravante del cosiddetto metodo mafioso è configurabile anche a
carico di soggetto che non faccia parte di un’associazione di tipo mafioso, ma ponga
in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento
minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo
quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere
anzidetto” (Sez. 2, n. 38094 del 05/06/2013, De Paola, Rv. 257065).
Le censure formulate da entrambi gli imputati sul punto, a fronte di una congrua
motivazione giudiziale, devono, dunque, ritenersi manifestamente infondate, al limite
inquadrabili in una valutazione di merito del tutto preclusa in questa sede.

Il motivo proposto dallo S. ed avente ad oggetto violazione di legge e vizio di
motivazione quanto all’aggravante delle più persone riunite di cui al capo B) è
totalmente generico, aspecifico e, comunque, manifestamente infondato
analogamente a quello proposto dal V. da ritenere, comunque, inammissibile in
quanto non risulta previamente formulato con l’atto di appello.
La corte di merito, con ragionamento congruo e privo di aporie, ha correttamente
confermato la sentenza di primo grado anche in punto di riconoscimento della detta
aggravante richiamando il contenuto della intercettazione ambientale riguardante la
conversazione intercorsa fra la persone offesa, il V. ed l’originario coimputato C.F.
(giudicato separatamente) nel corso della quale il P., cui era stato comunicato che da
quel momento in poi la situazione debitoria sarebbe stata gestita da S.S. e dalla sua
famiglia, aveva subito minacce per il pagamento dei debiti usurari, precisandosi che
tale aggravante, avente natura oggettiva, si trasmetteva ai concorrenti e, quindi,
anche al predetto S. la cui condotta ulteriormente minacciosa, posta in essere il
giorno successivo, si poneva in linea di continuità con gli iniziali comportamenti
estorsivi.
A questo proposito, ritiene il Collegio, che la circostanza aggravante speciale delle
“più persone riunite”, di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1, concernendo le modalità
dell’azione, come ritenuto dai giudici di merito non richiede quale connotato
soggettivo la consapevolezza della partecipazione di altri concorrenti nel numero
sufficiente ad integrare l’aggravante stessa, in quanto essa ha natura oggettiva e,
conseguentemente, si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato a norma del
combinato disposto dell’art. 70 c.p., comma 1, n. 1 ed art. 118 c.p..
E’ stato condivisibilmente osservato che nel reato di estorsione, la circostanza
aggravante delle più persone riunite – integrata dalla simultanea presenza di non
meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della
minaccia – non richiede quale connotato soggettivo la consapevolezza della
partecipazione di altri concorrenti nel numero sufficiente ad integrare l’aggravante
stessa, poichè essa, concernendo le modalità dell’azione, ha natura oggettiva e,
conseguentemente, si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato. (Fattispecie
in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata laddove aveva applicato
l’aggravante in questione ai concorrenti morali non presenti sul luogo e nel momento
in cui era formulata la richiesta estorsiva) (Sez. 2, n. 31199 del 19/06/2014 – dep.
16/07/2014, Posteraro e altri, Rv. 25998701), principio cui si è conformata la corte
territoriale.
Trattasi, quindi, di motivazione adeguata e corretta in diritto a fronte della quale gli
imputati muovono delle contestazioni totalmente generiche limitandosi ad affermare
che tale aggravante doveva essere esclusa “dalla lettura del capo di imputazione” e
“dall’analisi delle emergenze processuali”, il chè connota di evidente inammissibilità
le censure, fermo restando quanto cennato circa la inammissibilità, ex art. 606 c.p.p.,
comma 3, del motivo proposto dal V..

Devono ritenersi, altresì, manifestamente infondati i motivi dei ricorsi degli imputati
in punto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, risultando la
motivazione sul punto adeguata in fatto e corretta in diritto e, pertanto, non
sindacabile in questa sede.
Occorre, precisare, che la difesa dello S. non ha indicato, nel formulare tale motivo
di impugnazione, elementi tali da incrinare il ragionamento dei giudici di appello i
quali hanno evidenziato, con argomentazioni pertinenti e congrue, l’inammissibilità
per difetto di specificità del motivo di impugnazione nonchè la non concedibilità delle
circostanze di cui all’art. 62 bis c.p. in ragione della “elevatissima intensità del dolo e
delle allarmanti modalità della condotta”, a nulla rilevando le ulteriori considerazioni
circa la condotta dell’imputato connesso alla rinunzia a taluni dei motivi da parte
dello stesso.
La Suprema Corte ha, d’altronde, più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle
circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., il Giudice deve riferirsi ai
parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti,
essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda
ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/1072004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv.
230691).
Per analoghe ragioni non colgono nel segno le contestazioni del tutto generiche
formulate dal V. avendo la sentenza fatto riferimento ai gravi precedenti penali del
predetto ed alle varie pendenze giudiziarie sicchè la sentenza anche sul punto è da
ritenere immune da censure.

In ordine al quarto motivo del ricorso proposto dal solo V., riguardante la disposta
confisca, va osservato quanto segue.
Relativamente al motociclo YAMAHA tg. (OMISSIS) rileva il collegio che la censura è
priva di pregio alcuno in quanto il ricorrente si è limitato a prospettare del tutto
genericamente e, peraltro, in modo perplesso che tale bene “afferente ad un periodo
ben lontano dal commesso reato” sarebbe “difficilmente riconducibile all’attività
delittuosa”.
Orbene anche aderendo alla tesi secondo cui in tema di confisca disposta ai sensi
del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, convertito in L. n. 356 del 1992, il giudice
non può esimersi dal considerare il momento di acquisizione del bene al fine di
verificare che esso non risulti talmente lontano dall’epoca di commissione del “reato
spia” da rendere “ictu oculi” irragionevole la presunzione di derivazione del bene
stesso da un’attività illecita, sia pure complementare rispetto a quella per cui è
intervenuta condanna. (In motivazione la Corte ha richiamato i principi interpretativi
formulati da Corte Cost. nella sentenza n. 33 del 2018). (Sez. 1, n. 36499 del
06/06/2018 – dep. 30/07/2018, Quattrone e altro, Rv. 27361201) la censura non
sarebbe meritevole di accoglimento non avendo parte ricorrente chiarito sotto quale
profilo ed in che termini non sarebbe stato rispettato tale criterio di “temporale”.
6.1. Per quanto concerne, poi, il libretto a risparmio intestato alla moglie, – che si
assumere avere ad oggetto introiti leciti del terzo apparente titolare del bene – la
legittimazione ad impugnare spetta solo al terzo apparente intestatario, proprio
perchè solo costui, è il soggetto avente in ipotesi diritto alla restituzione del bene:
Cass. 6208/2010 Rv. 249499; Cass. 15474/2012 rv. 252811; Cass. 35240/2013 rv.

L’impugnazione, infatti, può essere proposta solamente da chi, in caso di
accoglimento, ha diritto alla restituzione del bene, dal chè discende la inammissibilità
della censura: ne consegue la inammissibilità delle censura per carenza di interesse.

I ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla declaratoria
d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al pagamento in favore della
Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila ciascuno.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di Euro duemila in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020