Sentenza, Corte Suprema di Cassazione, IV Sezione Penale, 24 novembre 2020, n. 32864, Morte del minore senza cintura – art. 172 C.d.S.:
La vicenda traeva origine dalla morte di una minore, seduta sul sedile posteriore senza essere assicurata con dispositivo di ritenuta. Conseguentemente, il conducente veniva condannato nei precedenti gradi di giudizio per omicidio colposo, avendo violato la regola cautelare di cui all’art. 172 del C.d.S. In quest’occasione, la Corte Suprema ha precisato che non solo il minore deve essere ancorato al sedile con omologato dispositivo di ritenuta prima della marcia ma, altresì, che è doveroso vigilare il rispetto della suddetta regola cautelare durante il tragitto.
Corte Suprema di Cassazione, IV Sezione Penale, 24 novembre 2020, n. 32864:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente –
Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –
Dott. BELLINI Ugo – rel. Consigliere –
Dott. TANGA Antonio Leonardo – Consigliere –
Dott. CENCI Daniele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/11/2019 della CORTE APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere UGO BELLINI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore TASSONE KATE, che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Nessun difensore è presente.
Svolgimento del processo
1.La Corte di Appello di Lecce confermava in punto di responsabilità penale la decisione del
Tribunale di Taranto che aveva riconosciuto A.A. colpevole del reato di omicidio colposo ai danni
della minore F.A. che, seduta sul sedile posteriore della sua autovettura, era stata sbalzata fuori
dall’abitacolo a seguito dell’urto, determinato da un tamponamento da parte di altro veicolo che
proveniva da tergo lungo la S.S. (OMISSIS).
Al conducente A.A. era in particolare contestato, ai sensi dell’art. 172 C.d.S., di non avere
assicurato la bambina, di anni 6, al sedile posteriore del veicolo che conduceva, a mezzo di
specifiche dotazioni di ritenuta che evitassero, in caso di sinistro, che il passeggero potesse urtare
contro parti rigide del mezzo o essere sbalzato al di fuori dello stesso.
A fronte dei motivi di appello in cui il ricorrente sosteneva che il fatto si era verificato per una
causa eccezione e imprevedibile, laddove la minore, regolarmente assicurata al momento della
partenza al sedile posteriore con strumenti di ritenuta di cui era dotata la autovettura, si era liberata
degli stessi nel corso del viaggio impedendo qualsiasi possibilità di controllo da parte del
conducente, assumeva la implausibilità e la inveridicità della tesi difensiva evidenziandone la
inconciliabilità con una serie di contributi dichiarativi e di circostanze di fatto di fatto intervenute
nel corso del giudizio.
Quanto al trattamento sanzionatorio assumeva che lo stesso era stato fissato in termini medi edittali
e pertanto in misura coerente con la gravità della condotta e con il grado della colpa, laddove la
impugnazione, al di là di enunciati teorici, non aveva indicato concrete ragioni di dissenso.
Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’ A. articolando due motivi di ricorso.
Con un primo motivo di ricorso deduce violazione di legge penale e vizio di motivazione in
relazione alla ricorrenza di rapporto di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento dannoso.
Assume che, essendo provato che la minore era stata regolarmente assicurata al sedile
dell’autovettura al momento della partenza, l’evento era riconducibile al fatto proprio della minore
che si era inopinatamente privata del sistema di ritenzione durante il viaggio, innescando una
autonoma serie causale, nè potendosi richiedere al conducente del veicolo, impegnato nella guida,
di monitorare costantemente i sedili posteriori del mezzo per verificare che le minori ivi fossero
costantemente allacciate.
Con un secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge in relazione ai criteri adottati, ai sensi
degli artt. 132 e 133 c.p., nella determinazione del trattamento sanzionatorio in termini discosti
notevolmente dai minimi edittali.
Motivi della decisione
Va rilevata l’assoluta infondatezza del primo motivo di ricorso con cui veniva rilevata la
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata per omessa esplorazione di fattori
causali concorrenti e alternativi. Invero compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa
vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle
argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di
stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è
tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia
coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell’ambito di una plausibile
opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla
Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle
prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in
rapporto ai dati processuali (ex pluribus: Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, Rv 229369, n.
24201/06); pertanto non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. E’ stato affermato, in
particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma
1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata
(Cass. SU 24.9.2003, n. 47289 Petrella, Rv.226074). 2. Orbene, alla stregua di tali principi, deve
prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dalla difesa
ricorrente, atteso che l’articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori
acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la
responsabilità del ricorrente e le censure proposte finiscono sostanzialmente per riproporre
argomenti già esposti in sede di appello, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente
disattesi dalla Corte territoriale la quale ha ribadito, in accordo agli esiti peritali e a quelli
dichiarativi che la prospettazione difensiva, secondo cui la minore si sarebbe slacciata dal sistema di
ritenuta in modo tale da non essere percepita dal conducente e dagli altri accompagnatori adulti,
risulta sprovvista di coerenza, legittimità e plausibilità in ragione di una serie di argomentazioni, di
ordine storico e logico che la difesa del ricorrente non ha affatto contrastato.
Pertanto del tutto correttamente il giudice di appello, nel riconoscere la inosservanza da parte
dell’ A. di specifiche regole cautelari (art. 172 C.d.S.), ha poi ritenuto la relazione causale tra la
condotta di guida da questi tenuta con l’evento, con la conseguenza che la tesi sostenuta dal
ricorrente si risolve in una alternativa ed ipotetica ricostruzione del sinistro la quale, oltre al
carattere della inverosimiglianza, riveste altresì quello della irrilevanza, atteso che l’obbligo del
rispetto dell’adozione delle cautele imposte dalla legge al momento della intrapresa della marcia,
permane, in termini di vigilanza, anche nel corso del tragitto. La motivazione si presenta logica e
congruamente espressa, risulta coerente espressione degli elementi acquisiti nei giudizi di merito e
non si presta a censure di illogicità dinanzi a questo giudice di legittimità, censure che peraltro non
si confrontano con la struttura argomentativa della sentenza impugnata ma si limitano a reiterare
alternative dinamiche e a sostenere la rilevanza causale del mancato rispetto di regole cautelari
poste in capo di altri soggetti, argomenti sui quali entrambe le decisioni di merito si sono soffermate
con motivazione resistente e non più sindacabile.
Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso. Nessuna riduzione del trattamento
sanzionatorio risultava doveroso in ragione del pronunciamento di secondo grado. La pena edittale è
stata determinata sulla base di criteri edittali orientati verso valori inferiori alla media edittale (anni
uno mesi quattro di reclusione con pena edittale prevista tra uno e sei anni di reclusione) e pertanto
in termini di congruità ed adeguatezza.
3.1 Sul punto la Corte di legittimità ha più volte precisato che la determinazione della pena tra il
minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è
insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al
minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di
equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. (così sez. 4, n. 21294,
Serratore, rv. 256197; conf. sez. 2, n. 28852 dell’8.5.2013, Taurasi e altro, rv. 256464; sez. 3, n.
10095 del 10.1.2013, Monterosso, rv. 255153), potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto
dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o
“congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così
sez. 2, n. 36245 del 26.6.2009, Denaro, rv. 245596).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e alla condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, non ricorrendo ipotesi di esenzione da responsabilità al riguardo, consegue altresì
l’onere del versamento della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020