Sentenza, Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 22 luglio 2015, n. 15350, Danno Tanatologico – Vittima deceduta sul colpo:

In questa occasione, essendo sorto un conflitto giurisprudenziale in seno alla Suprema Corte di Cassazione, i giudici di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi sul seguente quesito: “..se, in caso di morte sul colpo della vittima, gli eredi possano vantare un diritto al risarcimento del bene vita nei confronti del colpevole”. Prima di entrare nel merito, la Corte distingue tre tipologie di danni non patrimoniali risarcibili in caso di decesso: A) il danno biologico terminale, quale danno da invalidità assoluta temporanea della vittima, necessita che sia trascorso un considerevole periodo di tempo tra l’evento lesivo e la morte; B) il danno catastrofale, quale sofferenza provata dalla vittima nella cosciente attesa della morte, necessita che sia trascorso un considerevole periodo di tempo tra l’evento lesivo e la morte; C) il danno tanatologico, quale danno alla vita, necessita che sia trascorso un considerevole periodo di tempo tra l’evento lesivo e la morte. Da ciò discende che gli eredi possano agire nei confronti del responsabile per il risarcimento dei danni sopramenzionati, solo quando tale diritto si sia già configurato nel patrimonio della vittima. Ciò in quanto, per risarcire un danno secondo i principi civilistici, deve essersi verificata una perdita da reintegrare nel patrimonio del danneggiato. Conseguentemente, qualora la vittima muoia sul colpo, essa non matura alcuno dei suddetti diritti non patrimoniali che poi gli eredi potranno vantare. Essi, al più, potranno agire per il ristoro del danno alla salute della vittima e per i danni maturati iure proprio, ad esempio quello da perdita parentale.

Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, 22 luglio 2015, n. 15350:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f.

Dott. SALME’ Giuseppe – rel. Presidente Sezione

Dott. RORDORF Renato – Presidente Sezione

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente Sezione

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12282/2008 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), per delega a margine del ricorso;

  • ricorrenti –

contro

(OMISSIS) S.P.A., in persona del Direttore Sinistri pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), per procura speciale del notaio Dott. (OMISSIS) di (OMISSIS), rep. 79843 del 24/03/14, in atti;

  • resistente con procura –

e contro

(OMISSIS);

  • intimato –

avverso la sentenza n. 423/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 16/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2014 dal Presidente Dott. GIUSEPPE SALME’;

uditi gli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione dell’11 aprile 2002 (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente, genitori e sorelle di (OMISSIS), hanno convenuto in giudizio davanti al tribunale di Cuneo (OMISSIS) e la (OMISSIS) chiedendo la condanna di entrambi al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla morte del congiunto avvenuta a causa della collisione frontale tra l’auto FIAT Punto, di proprieta’ di (OMISSIS) e condotta dal figlio (OMISSIS) e l’auto Renault Espace, condotta dal (OMISSIS), che procedeva in senso opposto, fuori dal centro abitato, sulla strada provinciale (OMISSIS). Gli attori hanno sostenuto che l’incidente era avvenuto per esclusiva responsabilita’ del (OMISSIS) che aveva effettuato la svolta a sinistra per immettersi in un’area privata senza concedere la dovuta precedenza all’auto che marciava in senso opposto e che, non ostante che il conducente poi deceduto avesse frenato e si fosse spostato sulla sua destra, non aveva potuto evitare l’urto.

Si e’ costituita in giudizio solo la (OMISSIS), eccependo che la responsabilita’ era esclusivamente del (OMISSIS), che marciava a velocita’ eccessiva in centro abitato e non indossava cinture di sicurezza e, in via subordinata, sostenendo che doveva ritenersi la pari responsabilita’ concorrente dei conducenti. La convenuta ha anche contestato l’entita’ del risarcimento richiesto, sia con riferimento al danno biologico iure hereditatis che al danno esistenziale familiare e al danno morale.

Il tribunale di Cuneo, con sentenza del 1 dicembre 2013, dichiarata la concorrente responsabilita’ del (OMISSIS) per il 70 % e del (OMISSIS) per il 30 %, rigettata la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali futuri e del danno biologico iure hereditatis, ha determinato in euro 63.579,55 il risarcimento dovuto ad (OMISSIS), in euro 59.430,19 quello dovuto ad (OMISSIS) e in euro 11.886,04 quello dovuto a ognuna delle sorelle, (OMISSIS) e a (OMISSIS).

La corte d’appello di Torino, confermato il concorso di responsabilita’ dei conducenti, ha ridimensionando quella del (OMISSIS), determinandola nel 20%, valutando come ben piu’ grave quella dell’investitore che aveva effettuato una svolta a sinistra senza dare la precedenza al veicolo che procedeva in senso opposto e invadendone la corsia di marcia, come emergeva dalla testimonianza di un passeggero dell’auto che seguiva quella condotta dalla vittima. Ha inoltre osservato che non poteva essere accolta la richiesta di nuova c.t.u. basata sulla critica di quella gia’ effettuata in primo grado, perche’ basata sull’applicazione di parametri teorici, perche’ anche un altro c.t.u. non avrebbe potuto che applicare parametri generali per la valutazione dei fatti accertati. Ha inoltre rilevato che dalla certificazione rilasciata dal comune di (OMISSIS) risultava che il luogo dello scontro era posto fuori dal centro abitato e che, pertanto, il limite di velocita’ generale era quello di 90 km orari, mentre il c.t.u., sulla base delle tracce di frenata lasciate dall’auto del (OMISSIS) e degli effetti dell’urto della stessa con un terzo veicolo in sosta, aveva calcolato che la velocita’ dell’auto della vittima era di circa 120 km quando il conducente si era avveduto dell’ostacolo sulla sua traiettoria e di circa 103 km orari al momento dell’impatto. Comunque tale velocita’ non era adatta alle concrete condizioni dei luoghi in considerazione del fatto che la strada provinciale era fiancheggiata da abitazioni. Infine, la corte territoriale ha concluso affermando che, anche a ritenere che se il (OMISSIS) avesse rispettato il limite di velocita’ dei 90 km orari, a causa della repentinita’ della manovra di svolta a sinistra del (OMISSIS), non avrebbe potuto evitare lo scontro, pur essendo vero che la minore velocita’ avrebbe reso meno drammatiche le conseguenze dell’urto.

Quanto alla liquidazione dei danni la corte territoriale ha confermato il rigetto della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali futuri dei genitori della vittima, rilevando che dalle testimonianze raccolte era emerso che (OMISSIS) viveva con i genitori e che versava una somma di L. 1.500.000 mensili, ma che non era provato che gli stessi fossero in condizioni economiche tali da dover essere mantenuti, e, quindi, ben poteva ritenersi che tale somma fosse destinata a coprire esclusivamente le spese del proprio mantenimento.

E’ stato anche confermato il rigetto della domanda di risarcimento del danno biologico iure hereditatis, in conformita’ con l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, espressamente richiamato nella sentenza impugnata, secondo cui gli eredi possono chiedere solo il riconoscimento, pro quota, dei diritti entrati nel patrimonio del de cuius, e quindi, nel caso di morte che si verifica immediatamente o a breve distanza di tempo dalla lesione, possono ottenere solo il risarcimento del danno per lesione del diritto alla salute della vittima, ma non quello per la lesione del diverso bene giuridico della vita, che, per il definitivo contestuale venir meno del soggetto, non entra nel suo patrimonio e puo’ ricevere tutela solo in sede penale.

Infine, la corte territoriale ha respinto la censura secondo la quale il tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta di risarcimento del danno esistenziale rilevando che invece tale richiesta era stata esaminata e accolta (pagina 13 della sentenza di primo grado) anche se il danno era stato liquidato equitativamente in modo complessivo, insieme ad altre voci di danno non patrimoniale.

(OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Torino sulla base di sette motivi.

Il (OMISSIS) e la (OMISSIS) non hanno svolto attivita’ difensiva.

La terza sezione civile, in esito alla discussione fissata per l’udienza del 22 gennaio 2014, con ordinanza del 4 marzo 2014, pronunciata a seguito di riconvocazione del collegio, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, avendo rilevato l’esistenza di un contrasto consapevole tra la sentenza 23 gennaio 2014 n. 1361, che ha ammesso la risarcibilita’, iure hereditatis, del danno derivante da perdita della vita verificatasi immediatamente dopo le lesioni riportate in un incidente stradale, e il precedente contrario e costante orientamento, risalente alla sentenza delle sezioni unite n. 3475 del 1925, che ha anche trovato conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994 e in decisioni delle sezioni unite (da ultimo, la n. 26972/2008), che hanno negato tale risarcibilita’. L’ordinanza aggiunge che la questione di cui si tratta dovrebbe anche considerarsi di particolare importanza.

In data 31 maggio 2014 i ricorrenti hanno presentato memoria. La (OMISSIS) ha conferito procura speciale per la discussione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 1227, 2043 e 2056 c.c., e vizio di motivazione, i ricorrenti criticano la sentenza impugnata per avere ritenuto il concorso di responsabilita’ del (OMISSIS), invece che quella esclusiva del (OMISSIS), sulla base di una motivazione relativa al superamento della velocita’ massima da parte del (OMISSIS) non adeguata ne’ sorretta da accertamenti tecnici corretti, in conseguenza del rigetto, altrettanto immotivato, della richiesta di nuova c.t.u.. Rilevano anche la contraddizione tra l’affermazione che la repentinita’ della manovra di svolta a sinistra avrebbe reso inevitabile lo scontro pure se la velocita’ della vittima fosse rimasta nei limiti legali e il rilievo secondo cui in tal caso le conseguenze del sinistro sarebbero state meno disastrose.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano che, violando l’articolo 154 C.d.S., la corte territoriale, nell’affermare il concorso di responsabilita’ invece che la responsabilita’ esclusiva del (OMISSIS), non abbia dato adeguato rilievo alla condotta dello stesso, che aveva omesso di accertarsi che la manovra di svolta a sinistra potesse essere effettuata senza creare intralcio o pericolo, segnalandola tempestivamente.

I motivi non sono fondati.

La corte territoriale ha fornito puntuale motivazione del giudizio di fatto relativo alla dinamica dell’incidente indicando le fonti del proprio convincimento, comprensivo del diverso apprezzamento del grado della concorrente responsabilita’ della vittima. Ha altresi’ indicato la ragione del rigetto della richiesta di nuova c.t.u., basata sulla critica dell’utilizzazione di parametri teorici da parte del c.t. nominato dal tribunale che non era idonea a giustificare il ricorso a un’ulteriore c.t.u.. Le argomentazioni della corte territoriale sono logiche e sufficienti e pertanto non giustificano alcuna censura in questa sede.

  1. Deducendo la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 2043 e 2697 c.c., i ricorrenti, con il terzo motivo, censurano la sentenza impugnata per avere negato il risarcimento del danno patrimoniale lamentato da (OMISSIS) e (OMISSIS) non ostante che fosse stata acquisita la prova della convivenza di (OMISSIS) con i genitori e il suo contributo mensile di lire 1.500.000 che avrebbe potuto continuare, in considerazione dell’eta’ della vittima (31 anni) e dei genitori stessi, per almeno un quinquennio. Lamentano, inoltre, con il quarto motivo (violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., e articoli 2727 e 2720 c.c.) che invece di porre a fondamento della decisione le prove raccolte il giudice del merito si sia basato sulla mera presunzione che i versamenti mensili avessero la funzione di far fronte alle proprie spese di vitto e alloggio.

Il motivo non e’ fondato. La presunzione utilizzata dalla corte territoriale per affermare che i versamenti mensili da parte del figlio convivente non avevano la funzione di contribuire al mantenimento dei genitori, ma quella di far fronte alle spese per il proprio mantenimento e’ corretta, essendo basata sulla mancanza di prova dell’insufficienza economica dei genitori, e non merita la critica, peraltro del tutto apodittica e generica, dei ricorrenti.

  1. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 32 Cost., e articolo 2043 c.c.. Criticano la sentenza impugnata per aver escluso il risarcimento, richiesto iure hereditatis, del danno biologico per la morte del congiunto seguita immediatamente dopo la lesione subita a causa dello scontro, non ritenendo condivisibile la netta distinzione fra il bene della salute e il bene della vita, tutelati, l’uno dall’articolo 32, e l’altro dall’articolo 2 Cost., e quindi compresi nella tutela risarcitoria atipica apprestata dall’articolo 2043 c.c.. Denunciano la contraddizione tra l’ammissione del risarcimento a favore degli eredi per il danno meno grave derivante dalla perdita della salute e la negazione di tale risarcimento per il danno ben piu’ grave derivante dalla perdita della vita dalla quale, indipendentemente dal venir meno del soggetto, non puo’ che derivare un danno risarcibile. D’altra parte, tra la lesione e la morte esisterebbe sempre un sia pur impercettibile spazio temporale e quindi non esisterebbe giustificazione logica tra ammettere il risarcimento nel caso in cui tale spazio e’ ampio e negarlo quando e’ minimo.

3.1. L’ordinanza della terza sezione, con la quale e’ stato segnalato il contrasto consapevole tra la sentenza n. 1361 del 2014 e il precedente costante e risalente orientamento, individua la questione rimessa all’esame di queste sezioni unite nella risarcibilita’ o meno iure hereditatis del danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da un fatto illecito.

Esulano quindi dal tema che formera’ oggetto della presente decisione le questioni relative al risarcimento dei danni derivanti dalla morte che segua dopo un apprezzabile lasso di tempo alle lesioni. Con riferimento a tale situazione, infatti, non c’e’ alcun contrasto nella giurisprudenza di questa Corte (che prende le mosse dalla sentenza delle sezioni unite del 22 dicembre 1925, alla quale di seguito si fara’ piu’ ampio riferimento) sul diritto iure hereditatis al risarcimento dei danni che si verificano nel periodo che va dal momento in cui sono provocate le lesioni a quello della morte conseguente alle lesioni stesse, diritto che si acquisisce al patrimonio del danneggiato e quindi e’ suscettibile di trasmissione agli eredi.

L’unica distinzione che si registra negli orientamenti giurisprudenziali riguarda la qualificazione, ai fini della liquidazione, del danno da risarcire che, da un orientamento, con “mera sintesi descrittiva” (Cass. n. 26972 del 2008), e’ indicato come “danno biologico terminale” (Cass. n. 11169 del 1994, n. 12299 del 1995, n. 4991 del 1996, n. 1704 del 1997, n. 24 del 2002, n. 3728 del 2002, n. 7632 del 2003, n 9620 del 2003, n. 11003 del 2003, n. 18305 del 2003, n. 4754 del 2004, n. 3549 del 2004, n. 1877 del 2006, n. 9959 del 2006, n. 18163 del 2007, n. 21976 del 2007, n. 1072 del 2011) – liquidabile come invalidita’ assoluta temporanea, sia utilizzando il criterio equitativo puro che le apposite tabelle (in applicazione dei principi di cui alla sentenza n. 12408 del 2011) ma con il massimo di personalizzazione in considerazione della entita’ e intensita’ del danno – e,da altro orientamento, e’ classificato come danno “catastrofale” (con riferimento alla sofferenza provata dalla vittima nella cosciente attesa della morte seguita dopo apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni). Il danno “catastrofale”, inoltre, per alcune decisioni, ha natura di danno morale soggettivo (Cass. n. 28423 del 2008, n. 3357 del 2010, n. 8630 del 2010, n. 13672 del 2010, n. 6754 del 2011, n. 19133 del 2011, n. 7126 del 2013, n. 13537 del 2014) e per altre, di danno biologico psichico (Cass. n. 4783 del 2001, n. 3260 del 2007, n. 26972 del 2008, n. 1072 del 2011). Ma da tali incertezze non sembrano derivare differenze rilevanti sul piano concreto della liquidazione dei danni perche’, come gia’ osservato, anche in caso di utilizzazione delle tabelle di liquidazione del danno biologico psichico dovra’ procedersi alla massima personalizzazione per adeguare il risarcimento alle peculiarita’ del caso concreto, con risultati sostanzialmente non lontani da quelli raggiungibili con l’utilizzazione del criterio equitativo puro utilizzato per la liquidazione del danno morale.

3.2. Nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni, invece, si ritiene che non possa essere invocato un diritto al risarcimento dei danno iure hereditatis. Tale orientamento risalente (Cass. sez. un. 22 dicembre 1925, n. 3475: “se e’ alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacita’ di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un subbieto di diritto”) ha trovato autorevole conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994 e, come rilevato, anche nella piu’ recente sentenza delle sezioni unite n. 26972 del 2008 (che ne ha tratto la conseguenza dell’impossibilita’ di una rimeditazione della soluzione condivisa) e si e’ mantenuto costante nella giurisprudenza di questa Corte (tra le piu’ recenti, successivamente alla citata sentenza della Corte costituzionale: Cass. n. 11169 del 1994, n. 10628 del 1995, n. 12299 del 1995, n. 4991 del 1996, n. 3592 del 1997, n. 1704 del 1997, n. 9470 del 1997, n.11439 del 1997, n. 5136 del 1998, n. 6408 del 1998, n. 12083 del 1998, n. 491 del 1999, n. 1633 del 2000, n. 2134 del 2000, n. 4729 del 2001, 4783 del 2001, n. 887 del 2002, n. 7632 del 2003, n. 9620 del 2003, n. 517 del 2006, n. 3760 del 2007, n. 12253 del 2007, n. 26972 del 2008, n. 15706 del 2010, n. 6754 del 2011, n. 2654 del 2012, n. 12236 del 2012, n. 17320 del 2012).

A tale risalente e costante orientamento le sezioni unite intendono dare continuita’ non essendo state dedotte ragioni convincenti che ne giustifichino il superamento. Certamente tali ragioni non sono state neppure articolate con la sentenza n. 15760 del 2006 (pronunciata su ricorso avente ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni da morte di congiunto avanzata iure proprio) che, con affermazione avente dichiarata natura di obiter “sistematico”, si e’ limitata ad auspicare che, in conformita’ con orientamenti dottrinari italiani ed Europei, sia riconosciuto quale momento costitutivo del credito risarcitorio quello della lesione, indipendentemente dall’intervallo di tempo con l’evento morte causalmente collegato alla lesione stessa. Ma anche l’ampia motivazione della sentenza n. 1361 del 2014, che ha effettuato un consapevole revirement, dando luogo al contrasto in relazione al quale e’ stato chiesto l’intervento di queste sezioni unite, non contiene argomentazioni decisive per superare l’orientamento tradizionale, che, d’altra parte, risulta essere conforme agli orientamenti della giurisprudenza Europea con la sola eccezione di quella portoghese.

La premessa del predetto orientamento, peraltro non sempre esplicitata, sta nell’ormai compiuto superamento della prospettiva originaria secondo la quale il cuore del sistema della responsabilita’ civile era legato a un profilo di natura soggettiva e psicologica, che ha riguardo all’agire dell’autore dell’illecito e vede nel risarcimento una forma di sanzione analoga a quella penale, con funzione deterrente (sistema sintetizzato dal principio affermato dalla dottrina tedesca “nessuna responsabilita’ senza colpa” e corrispondente alle codificazioni ottocentesche per giungere alle stesse impostazioni teoriche poste a base del codice del ‘42). L’attuale impostazione, sia dottrinaria che giurisprudenziale, (che nelle sue manifestazioni piu’ avanzate concepisce l’area della responsabilita’ civile come sistema di responsabilita’ sempre piu’ spesso oggettiva, diretto a realizzare una tecnica di allocazione dei danni secondo i principi della teoria dell’analisi economica del diritto) evidenzia come risulti primaria l’esigenza (oltre che consolatoria) di riparazione (e redistribuzione tra i consociati, in attuazione del principio di solidarieta’ sociale di cui all’articolo 2 Cost.) dei pregiudizi delle vittime di atti illeciti, con la conseguenza che il momento centrale del sistema e’ rappresentato dal danno, inteso come “perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridica soggettiva ” (Corte cost. n. 372 del 1994). Nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue e’ rappresentato dalla perdita del bene giuridico “vita” che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente (Cass. n. 1633 del 2000; n. 7632 del 2003; n. 12253 del 2007). La morte, quindi, non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene “salute”, pregiudicato dalla lesione dalla quale sia derivata la morte, diverse essendo, ovviamente, le perdite di natura patrimoniale o non patrimoniale che dalla morte possono derivare ai congiunti della vittima, in quanto tali e non in quanto eredi (Corte cost. n. 372 del 1994; Cass. n. 4991 del 1996; n. 1704 del 1997; n. 3592 del 1997; n. 5136 del 1998; n. 6404 del 1998; n. 12083 del 1998, n. 491 del 1999, n. 2134 del 2000; n. 517 del 2006, n. 6946 del 2007, n. 12253 del 2007). E poiche’ una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, e’ necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l’irrisarcibilita’ deriva (non dalla natura personalissima del diritto leso, come ritenuto da Cass. n. 6938 del 1998, poiche’, come esattamente rilevato dalla sentenza n. 4991 del 1996, cio’ di cui si discute e’ il credito risarcitorio, certamente trasmissibile, ma) dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilita’ di uno spazio di vita brevissimo (Cass. n. 4991 del 1996). E’ questo l’argomento che la dottrina definisce “epicureo”, in quanto riecheggia le affermazioni di Epicuro contenute nella Lettera sulla felicita’ a Meneceo (“Quindi il piu’ temibile dei mali, la morte, non e’ nulla per noi, perche’ quando ci siamo noi non c’e’ la morte, quando c’e’ la morte non ci siamo piu’ noi. La morte quindi e’ nulla, per i vivi come per i morti: perche’ per i vivi essa non c’e’ ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci”) e che compare nella gia’ indicata sentenza delle sezioni unite n. 3475 del 1925 ed e’ condiviso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994, – che ha escluso la contrarieta’ a Costituzione dell’interpretazione degli articoli 2043 e 2059 c.c. secondo cui non sono risarcibili iure hereditatis i danni derivanti dalla violazione del diritto alla vita, potendo giustificarsi, sulla base del sistema della responsabilita’ civile, solo le perdite derivanti dalla violazione del diritto alla salute che si verificano a causa delle lesioni, nel periodo intercorrente tra le stesse e la morte – e dalla costante giurisprudenza successiva di questa Corte.

3.3. La negazione di un credito risarcitorio della vittima, trasmissibile agli eredi, per la perdita della vita, seguita immediatamente o a brevissima distanza di tempo dalle lesioni subite, e’ stata ritenuta contrastante con la coscienza sociale alla quale rimorderebbe che la lesione del diritto primario alla vita fosse priva di conseguenze sul piano civilistico (Cass. n. 1361 del 2014), anche perche’, secondo un’autorevole dottrina, se la vita e’ oggetto di un diritto che appartiene al suo titolare, nel momento in cui viene distrutta, viene in considerazione solo come bene meritevole di tutela nell’interesse dell’intersa collettivita’.

Ora, in disparte che la corrispondenza a un’indistinta e difficilmente individuabile coscienza sociale, se puo’ avere rilievo sul piano assiologico e delle modifiche normative, piu’ o meno auspicabili, secondo le diverse opzioni culturali, non e’ criterio che possa legittimamente guidare l’attivita’ dell’interprete del diritto positivo, deve rilevarsi che, secondo l’orientamento che queste sezioni unite intendono confermare, la morte provoca una perdita, di natura patrimoniale e non patrimoniale, ai congiunti che di tal perdita sono risarciti, mentre non si comprende la ragione per la quale la coscienza sociale sarebbe soddisfatta solo se tale risarcimento, oltre che ai congiunti (per tali intendendo tutti i soggetti che, secondo gli orientamenti giurisprudenziali attuali, abbiano relazioni di tipo familiare giuridicamente rilevanti, con la vittima) per le perdite proprie, fosse corrisposto anche agli eredi (e in ultima analisi allo Stato). Come e’ stato osservato (Cass. n. 6754 del 2011), infatti, pretendere che la tutela risarcitoria “sia data anche al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di far conseguire piu’ denaro ai congiunti”.

Coglie il vero, peraltro, il rilievo secondo cui oltre che oggetto di un diritto del titolare, insuscettibile di tutela per il venir meno del soggetto nel momento stesso in cui sorgerebbe il credito risarcitorio, la vita e’ bene meritevole di tutela nell’interesse della intera collettivita’, ma tale rilievo giustifica e anzi impone, come e’ ovvio, che sia prevista la sanzione penale, la cui funzione peculiare e’ appunto quella di soddisfare esigenze punitive e di prevenzione generale della collettivita’ nel suo complesso, senza escludere il diritto ex articolo 185 c.p., comma 2, al risarcimento dei danni in favore dei soggetti direttamente lesi dal reato, ma non impone necessariamente anche il riconoscimento della tutela risarcitoria di un interesse che forse sarebbe piu’ appropriato definire generale o pubblico, piuttosto che collettivo, per l’evidente difficolta’, tutt’ora esistente per quanto riguarda la tutela giurisdizionale amministrativa, di individuare e circoscrivere l’ambito della “collettivita’” legittimate a invocare la tutela.

3.4. Ulteriore rilievo, frequente in dottrina, e’ che sarebbe contraddittorio concedere onerosi risarcimenti dei danni derivanti da lesioni gravissime e negarli del tutto nel caso di illecita privazione della vita, con cio’ contraddicendo sia il principio della necessaria integralita’ del risarcimento che la funzione deterrente che dovrebbe essere riconosciuta al sistema della responsabilita’ civile e che dovrebbe portare a introdurre anche nel nostro ordinamento la categoria dei danni punitivi.

L’argomento (“e’ piu’ conveniente uccidere che ferire”), di indubbia efficacia retorica, e’ in realta’ solo suggestivo, perche’ non corrisponde al vero che, ferma la rilevantissima diversa entita’ delle sanzioni penali, dall’applicazione della disciplina vigente le conseguenze economiche dell’illecita privazione della vita siano in concreto meno onerose per l’autore dell’illecito di quelle che derivano dalle lesioni personali, essendo indimostrato che la sola esclusione del credito risarcitorio trasmissibile agli eredi, comporti necessariamente una liquidazione dei danni spettanti ai congiunti di entita’ inferiore.

Peraltro e’ noto che secondo la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 132 del 1985, n. 369 del 1996, n. 148 del 1999) il principio dell’integrale risarcibilita’ di tutti i danni non ha copertura costituzionale ed e’ quindi compatibile con l’esclusione del credito risarcitorio conseguente alla stessa struttura della responsabilita’ civile dalla quale deriva che il danno risarcibile non puo’ che consistere che in una perdita che richiede l’esistenza di un soggetto che tale perdita subisce.

Del pari non appare imposta da alcuna norma o principio costituzionale un obbligo del legislatore di prevedere che la tutela penale sia necessariamente accompagnata da forme di risarcimento che prevedano la riparazione per equivalente di ogni perdita derivante da reato anche quando manchi un soggetto al quale la perdita sia riferibile.

Da quanto gia’ rilevato, inoltre, la progressiva autonomia della disciplina della responsabilita’ civile da quella penale ha comportato l’obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza (v., tra le tante, Cass. n. 1704 del 1997, n. 3592 del 1997, n. 491 del 1999, n. 12253 del 2007, n. 6754/2011) e l’affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria (oltre che consolatoria), tanto che si e’ ritenuto non delibabile, per contrarieta’ all’ordine pubblico interno, la sentenza statunitense di condanna al risarcimento dei danni “punitivi” (Cass. n. 1183 del 2007, n. 1781 del 2012), i quali si caratterizzano per un’ingiustificata sproporzione tra l’importo liquidato ed il danno effettivamente subito.

3.5. Pur non contestando il principio pacificamente seguito dalla giurisprudenza di questa Corte (in adesione a un’autorevole dottrina e in conformita’ con quanto affermato da Corte cost. n. 372 del 1994) secondo il quale i danni risarcibili sono solo quelli che consistono nelle perdite che sono conseguenza della lesione della situazione giuridica soggettiva e non quelli consistenti nell’evento lesivo, in se’ considerato, si e’ affermato con la sentenza n. 1361 del 2014 che il credito risarcitorio del danno da perdita della vita si acquisirebbe istantaneamente al momento dell’evento lesivo che, salvo rare eccezioni, precede sempre cronologicamente la morte cerebrale, ponendosi come eccezione a tale principio della risarcibilita’ dei soli “danni conseguenza”.

Ma, a parte che l’ipotizzata eccezione alla regola sarebbe di portata tale da vulnerare la stessa attendibilita’ del principio e, comunque, sarebbe difficilmente conciliabile con lo stesso sistema della responsabilita’ civile, fondato sulla necessita’ ai fini risarcitori del verificarsi di una perdita rapportabile a un soggetto, l’anticipazione del momento di nascita del credito risarcitorio al momento della lesione verrebbe a mettere nel nulla la distinzione tra il “bene salute” e il “bene vita” sulla quale concordano sia la prevalente dottrina che la giurisprudenza costituzionale e di legittimita’.

Peraltro, se tale anticipazione fosse imposta dalla difficolta’ di quantificazione del lasso di tempo intercorrente tra morte (da intendersi sempre processo mortale e non come evento istantaneo) e lesione, necessario a far sorgere nel patrimonio della vittima il credito risarcitorio, sarebbe facile osservare, da un lato, che da punto di vista giuridico e’ sempre necessario individuare un momento convenzionale di conclusione del processo mortale, come descritto dalla scienza medica, al quale legare la nascita del credito, e dall’altro, che l’individuazione dell’intervallo di tempo tra morte e lesione, rilevante ai fini del riconoscimento del credito risarcitorio, e’ operazione ermeneutica certamente delicata e che presenta margini di incertezza, ma del tutto conforme a quella che il giudice e’ costantemente impegnato ad operare quando e’ costretto a fare applicazione di concetti generali e astratti.

  1. Con il sesto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 2, 29 e 30 cost. e dell’articolo 2043, nonche’ dell’articolo 112 c.p.c.. Premessa la distinzione tra danno morale e danno esistenziale, per perdita del rapporto parentale conseguente alla morte del congiunto, i ricorrenti lamentano che la corte territoriale non si sia pronunciata sulla domanda di risarcimento del danno esistenziale, avendo affermato che tale danno era stato risarcito dal tribunale con la liquidazione equitativa complessiva del danno morale.

Con il settimo motivo i ricorrenti ribadiscono che la corte territoriale non avrebbe fornito alcuna motivazione del rigetto della domanda di risarcimento del danno esistenziale.

I motivi sono infondati. Premesso che la corte territoriale, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, ha motivato, richiamando e condividendo quanto operato dal tribunale, la liquidazione unitaria del danno, avendo considerato, al momento della relativa quantificazione, tanto quello di tipo relazionale quanto la sofferenza soggettiva rappresentata dal danno morale, e quindi non ha omesso di valutare il relativo capo di domanda, deve anche osservarsi che, come affermato da queste sezioni unite con le sentenze 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975 non sono configurabili, all’interno della categoria generale del danno non patrimoniale, cioe’ del danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, autonome sottocategorie di danno, perche’ se in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono gia’ risarcibili ai sensi dell’articolo 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria, mentre, se per danno esistenziale si intendessero quei pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi non sono risarcibili per effetto del divieto di cui all’articolo 2059 c.c..

Poiche’ la presente decisioni trae origine da un contrasto insorto nella giurisprudenza della Corte le spese del presente giudizio possono essere interamente compensate.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.

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