Ordinanza, Suprema Corte di Cassazione, II Sezione Civile, 10 febbraio 2020, n. 3043, Vedute – Luci irregolari

L’assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio esclude che l’opera abbia i caratteri della veduta o del prospetto, anche se essa sia normalmente accessibile e praticabile da parte del proprietario. La praticabilità può valere ai fini della qualificazione della luce come irregolare, consentendo al vicino di chiedere la sua regolarizzazione. Ciò in quanto l’art. 900 c.c, per le vedute, richiede la possibilità di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente e lateralmente, con condizioni di di sicurezza e comodità. In relazione al predetto principio, la Corte ha elaborato criteri relativi all’altezza e allo spessore del parapetto, per assicurare un affaccio sicuro.

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE SECONDA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

 

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

 

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

 

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere

 

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

 

ha pronunciato la seguente:

 

ORDINANZA

 

sul ricorso 24238/2015 proposto da:

 

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

 

– ricorrenti –

 

contro

 

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

 

– controricorrenti –

 

avverso la sentenza n. 443/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO; dep. 9/3/2015;

 

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/02/2019 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO.

 

RILEVATO

 

che:

 

1. Con citazione notificata il 9 maggio 2009 (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno convenuto innanzi al tribunale di Verbania, sezione distaccata di Domodossola, (OMISSIS) ed (OMISSIS), lamentando che questi ultimi, proprietari in (OMISSIS) di una stalla a piano terra con abitazione al primo piano a circa sessanta centimetri dal fabbricato degli attori con confine a meta’ della distanza, avessero demolito l’immobile e ricostruito un organismo con diversa conformazione – oggetto di concessione edilizia ma non rispettoso della distanza di dieci metri dal frontistante di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, ne’ di quella di cinque metri dal confine prescritta dal p.r.g. – oltre che aperto vedute e sporti, sollevato il piano di campagna con infiltrazioni, nonche’ ristretto il sedime di un passaggio dagli attori acquistato per usucapione.

 

2. Sulla resistenza dei convenuti, il tribunale con sentenza del 3 maggio 2012 ha accolto le domande di condanna all’arretramento a distanza legale dell’edificio, all’eliminazione delle vedute e sporti irregolari, al ripristino del passaggio di cui ha accertato l’usucapione, nonche’ al risarcimento dei danni.

 

3. La sentenza di primo grado e’ stata appellata dai signori (OMISSIS) – (OMISSIS) in via principale, chiedendo rigettarsi le domande delle controparti, nonche’ in via incidentale dai signori (OMISSIS), che hanno chiesto estendersi la condanna all’arretramento, oltre che al fabbricato aggiunto, anche alla parte di edificio residenziale in violazione delle distanze; e la corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 9 marzo 2015, ha parzialmente accolto la sola impugnazione principale riducendo la somma quantificata a titolo risarcitorio e rigettando la domanda di accertamento di acquisto per usucapione del diritto di passaggio.

 

4. A sostegno della decisione la corte d’appello ha considerato:

 

a) quanto all’appello principale:

 

– essere infondata la tesi per cui la distanza di dieci metri ex articolo 9 D.M., si applicherebbe solo a pareti frontistanti parallele, sussistendo frontistanza e pericolosa intercapedine anche in caso di posizione obliqua delle pareti come nel caso di specie;

 

– dover essere chiarito che la condanna all’arretramento concerne anche il “corpo di fabbrica aggiunto punto 1” nella posizione del preesistente fabbricato demolito; tenuto conto che il locale seminterrato e’ parte integrante del fabbricato residenziale, il nuovo complessivo organismo e’ del tutto diverso da quello preesistente, cio’ che obbliga al rispetto delle distanze vigenti al momento della sostituzione edilizia;

 

– doversi qualificare veduta la soletta di copertura del basso fabbricato e la nuova scala;

 

– doversi ridurre la quantificazione del danno a Euro 5000 oltre interessi;

 

– doversi riformare la sentenza impugnata, non essendo fondata la domanda di accertamento dell’acquisto per usucapione della servitu’ di passaggio;

 

b) quanto all’appello incidentale:

 

– essere la condanna di primo grado riferita all’edificio comprensivo di autorimessa, come in dispositivo, per cui la motivazione era affetta da mero refuso non necessitante provvedimenti.

 

5. Per la cassazione di detta sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS) ed (OMISSIS), su quattro motivi illustrati da memoria. Hanno resistito con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS); anche nell’interesse di questi ultimi e’ stata depositata memoria in data 14.2.2019, oltre il previsto termine a computarsi rispetto all’odierna adunanza in data 22.2.2019.

 

CONSIDERATO

 

che:

 

1. Con il primo motivo si deduce violazione del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9 (scilicet, in combinato disposto con l’articolo 873 c.c. e le norme tecniche di attuazione del locale p.r.g.), per avere secondo i ricorrenti – la corte d’appello erroneamente applicato la distanza di dieci metri ivi prevista “tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” a una fattispecie concreta in cui le pareti non sarebbero “antistanti”, bensi’ in posizione “divergente” (cosi’ p. 14 del ricorso). Si richiama altresi’ la ratio delle distanze ex articolo 873 c.c., costituita dall’evitare intercapedini dannose o nocive.

 

1.1. Il motivo e’ infondato.

 

1.2. La giurisprudenza di questa corte, in generale, ha recepito la nozione di frontistanza come ricorrente nella situazione di edifici che, da bande opposte rispetto alla linea di confine, presentino le rispettive facciate che si fronteggino almeno per un segmento, di guisa che, supponendo di farle avanzare, in modo lineare e non radiale (o a raggio) come invece previsto in materia di vedute (articolo 907 c.c.), e precisamente in linea ortogonale tra i diversi fronti, si incontrino almeno in quel segmento. Se tale possibilita’ di fronteggiamento non esiste, non si lede alcuna norma sulle distanze fra costruzioni.

 

1.3. Anche specificamente in ordine alla distanza minima di dieci metri tra le costruzioni stabilita dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, questa corte ha statuito la natura assoluta della stessa, che ne impone l’applicazione indipendentemente dall’altezza degli edifici antistanti e dall’andamento parallelo delle loro pareti, purche’ sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento (cfr. ad es. Cass. n. 24076 del 03/10/2018 e n. 5741 del 03/03/2008).

 

1.4. Nel caso di specie, la possibilita’ di fronteggiamento esiste, per cui sussiste – seppur in maniera limitata – un’intercapedine.

 

2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 2.1.8 delle norme tecniche di attuazione del p.r.g. di (OMISSIS), che richiama l’articolo 9 del Decreto Ministeriale cit.. Si contesta la valutazione operata dalla corte d’appello secondo la quale il complessivo nuovo organismo edilizio deve rispettare le distanze vigenti al momento della sostituzione edilizia e si invoca per il basso fabbricato (meno alto del precedente, ma in identica distanza dal confine) l’applicazione della distanza preesistente.

 

2.1. Anche tale motivo e’ infondato, oltre che parzialmente inammissibile.

 

2.2. La giurisprudenza di questa corte (v. ad es. Cass. sez. U n. 21578 del 19/10/2011) ha chiarito i casi nei quali, nell’ambito delle opere edilizie, si verifica una semplice “ristrutturazione” (modificazioni esclusivamente interne, che abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura) e quelli in cui e’ ravvisabile la “ricostruzione” (allorche’ dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria); in presenza di tali aumenti, si verte, invece, nell’ulteriore ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima.

 

2.3. Spetta al giudice del merito – la cui valutazione e’ insindacabile in sede di legittimita’ – stabilire in via fattuale se, in relazione a modificazioni intervenute, si sia di fronte a un nuovo organismo edilizio, cio’ che impone l’applicazione del regime delle distanze vigente al momento della novella edificazione (cfr. Cass. n. 15041 del 11/06/2018).

 

2.4. Essendosi i giudici di merito attenuti al criterio giuridico indicato, il motivo, nella parte in cui non e’ addirittura inammissibile in quanto si traduce in un’istanza di riesame di apprezzamenti fattuali, e’ dunque infondato.

 

3. Con il terzo motivo si deduce violazione dell’articolo 900 c.c., contestandosi la decisione della corte d’appello di ritenere idonea all’inspicere e al prospicere la soletta di copertura del basso manufatto, pur privo di ringhiera.

 

3.1. Alla p. 18 dell’impugnata sentenza, confermando l’analoga decisione del tribunale, i giudici d’appello hanno ritenuto, in relazione alla soletta descritta in ambito di c.t.u. come priva di ringhiere o parapetti, di poter affermare il principio giuridico per cui l’assenza di tali manufatti di protezione non potesse “escludere la qualificazione… come terrazzo”, utilizzazione confermata dall’accessibilita’ e “praticabilita’” connessa anche all’apertura su esso di porte-balconi.

 

3.2. Cosi’ statuendo, la corte d’appello e’ incorsa effettivamente nell’error in iudicando denunciato dai ricorrenti. In particolare, la corte d’appello si e’ contrapposta, non condivisibilmente, alla giurisprudenza fondata sul tenore testuale dell’articolo 900 c.c. (per la quale v. ad es. Cass. n. 18910 del 05/11/2012) per cui, per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell’articolo 900 c.c., conseguentemente soggetta alla regole di cui agli articoli 905 e 907 c.c. in tema di distanze, e’ necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum, vale a dire le possibilita’ di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente” (cosi’ l’articolo cit.), siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodita’ e sicurezza. In applicazione dell’enunciato principio, questa corte ha altresi’ elaborato criteri circa l’altezza del parapetto, anche in relazione al suo spessore, che deve esser sufficiente per garantire un affaccio sicuro (cfr. ad es. Cass. n. 7267 del 12/05/2003 e n. 26049 del 10/12/2014).

 

3.3. Come affermato da questa corte (v. ad es. la pur remota Cass. n. 2084 del 05/04/1982) l’assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio costituisce dunque elemento decisivo per escludere che l’opera abbia i caratteri della veduta o del prospetto, anche se essa sia di normale accessibilita’ e praticabilita’ da parte del proprietario. La praticabilita’ – valorizzata erroneamente dalla corte d’appello ai fini della qualificazione come veduta – puo’ valere invece ai fini della qualificazione della situazione come luce irregolare, in ordine alla quale il vicino ha sempre il diritto di esigere l’adeguamento ai requisiti stabiliti per le luci. Per escludere anche questa seconda configurazione giuridica e’ necessario accertare, avuto riguardo all’attuale consistenza e destinazione dell’opera, oggettivamente considerata, ed alle sue possibili e prevedibili utilizzazioni da parte del proprietario, se e quali limitazioni, ancorche’ diverse e minori di quelle derivanti da un’apertura avente i caratteri della veduta o del prospetto, possano discenderne a carico della liberta’ del fondo vicino altrui (cosi’ Cass. ult. cit.; v. anche ad es. Cass. n. 113 del 04/01/2017 e n. 5718 del 10/06/1998); accertamento, questo, che erroneamente la corte d’appello ha svolto, invece, ai fini della qualificazione quale veduta.

 

3.4. Si rende dunque necessario, all’esito della cassazione a pronunciarsi, che il giudice del rinvio proceda a nuovo esame della situazione di fatto, attenendosi agli indicati principi di diritto.

 

4. Con il quarto motivo si deduce violazione articolo 2043 c.c., censurandosi le valutazioni sul danno consequenziale alle violazioni in tema di distanze, globalmente considerate (p. 19 dell’impugnata sentenza).

 

4.1. Il motivo e’ assorbito, trattandosi di tema consequenziale a quanto a riesaminarsi in relazione alla cassazione a disporsi.

 

5. Va dunque disposta cassazione, designandosi quale giudice di rinvio la corte d’appello di cui in dispositivo, che governera’ anche le spese del giudizio di legittimita’ (tenendo conto, a tali fini liquidativi, che la memoria depositata nell’interesse dei controricorrenti nel giudizio di cassazione e’, per quanto detto, inammissibile siccome tardiva in relazione all’articolo 380 bis c.p.c., n. 1).

 

P.Q.M.

 

rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo e, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte d’appello di Torino, in diversa sezione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

 

 

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