Corte di Cassazione Sezione U Civile Sentenza 29 luglio 2021 n. 21761
Una Sentenza della Corte di Cassazione importante delle Sezioni Unite, ha affermato che le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, sono valide.
SENTENZA
sul ricorso 19396/2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
TRATTASI DI RICORSO CONGIUNTO;
avverso la sentenza n. 583/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 18/04/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/05/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. LUCIO CAPASSO, il quale conclude chiedendo rigettare il ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso congiunto depositato presso il Tribunale di Pesaro il 6 luglio 2016, (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedevano pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, celebrato dai medesimi in (OMISSIS), e dal quale erano nati i figli (OMISSIS) ed (OMISSIS). I coniugi avevano acquistato, durante il matrimonio, un appartamento sito in (OMISSIS), cointestato al 50%, destinandolo, poi, a casa coniugale. Desiderando comporre in via definitiva ogni questione patrimoniale conseguente alla crisi coniugale – che aveva gia’ dato luogo a separazione consensuale, omologata dal Tribunale di Pesaro con Decreto del 9 marzo 2012 – “senza differenziazione nei tempi di perfezionamento”, i coniugi addivenivano, pertanto, al seguente accordo: a) il (OMISSIS) si obbligava a versare l’assegno divorzile a favore della (OMISSIS), nonche’ direttamente ai figli maggiorenni, ma non economicamente autosufficienti, il contributo per il loro mantenimento; b) il medesimo trasferiva a favore dei figli la nuda proprieta’, in relazione alla sua quota del 50%, dell’immobile sito in (OMISSIS), nonche’, a favore della (OMISSIS), dell’usufrutto sulla propria quota dell’immobile predetto.
1.1. Con il ricorso, i coniugi producevano, altresi’, oltre alla dichiarazione del (OMISSIS) in ordine alla conformita’ allo stato di fatto dell’immobile dei dati catastali e delle planimetrie ed alla conformita’ dell’intestazione catastale alle risultanze dei registri immobiliari, una perizia tecnica giurata, con allegati l’attestato di prestazione energetica, la dichiarazione di conformita’ dell’impianto termico alle prescrizioni legali, la visura e la planimetria catastale dell’appartamento e del garage. I coniugi si impegnavano, inoltre, ad effettuare a loro cura e spese la trascrizione e le ulteriori formalita’ di pubblicita’ immobiliare, nonche’ le conseguenti volture presso gli uffici competenti, esonerando il cancelliere da ogni responsabilita’, ed a depositare presso la cancelleria la ricevuta di avvenuta presentazione della richiesta di pubblicita’ immobiliare, nonche’ la successiva nota di trascrizione rilasciata dall’Agenzia del territorio.
Nel procedimento intervenivano, altresi’, ad adiuvandum, i figli dei ricorrenti, esprimendo il loro pieno consenso agli accordi in ordine al loro mantenimento, in essi compresi i trasferimenti immobiliari operati dal genitore.
1.2. Successivamente al deposito del ricorso, la cancelleria comunicava agli istanti una richiesta di chiarimenti del Presidente del Tribunale, in relazione ai trasferimenti immobiliari contenuti nelle condizioni di divorzio congiunto. Seguiva nota con la quale il (OMISSIS) e la (OMISSIS), nonche’ i figli (OMISSIS) ed (OMISSIS), chiarivano anzitutto che l’accordo raggiunto “rappresentava una reale tutela soprattutto per i soggetti piu’ deboli dal punto di vista economico (cioe’ la moglie ed i figli) in quanto avrebbe garantito che il patrimonio conseguito nel corso del matrimonio non venisse disperso, ma conservato a favore dei membri della famiglia di origine” (p. 4 del ricorso per cassazione).
I ricorrenti dichiaravano, inoltre, di essere al corrente del contenuto del decreto del Presidente del Tribunale di Pesaro, con il quale si escludeva la possibilita’ di inserire nelle domande congiunte di divorzio disposizioni accessorie, aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari a qualsiasi titolo, “a causa di problematiche organizzative”. Gli istanti evidenziavano, tuttavia, che la diversa opzione – consentita dalla prassi del Tribunale di Pesaro – di inserire negli accordi di divorzio un mero accordo preliminare di vendita, oltre a comportare un esborso per l’atto notarile definitivo, implicava l’accettazione del rischio che se una delle parti si fosse successivamente sottratta all’accordo, per una qualsiasi ragione, si sarebbe dovuto instaurare un contenzioso – mediante proposizione dell’azione di esecuzione specifica ex articolo 2932 c.c. – dalla durata e dagli esiti incerti, con grave pregiudizio per i ricorrenti e per i loro figli.
1.3. All’udienza del 28 novembre 2016, nella quale comparivano sia i coniugi che i figli, i ricorrenti insistevano nella richiesta di divorzio alle condizioni indicate nel ricorso congiunto, ivi comprese quelle relative ai trasferimenti immobiliari, e solo in via del tutto subordinata, in considerazione della manifestata contrarieta’ espressa dal Tribunale adito, chiedevano di considerare tali trasferimenti come impegni preliminari di vendita e di acquisto.
Il verbale veniva, quindi, sottoscritto da tutti i presenti.
1.4. Con sentenza n. 933/2016, depositata il 13 dicembre 2016, il Tribunale di Pesaro pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio, contratto dai ricorrenti in (OMISSIS), stabilendo espressamente, peraltro, che “i trasferimenti previsti nelle condizioni sono da intendersi impegni preliminari di vendita ed acquisto”.
2. Con sentenza n. 583/2017, depositata il 18 aprile 2017, la Corte d’appello di Ancona rigettava il gravame proposto dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), confermando la statuizione del Tribunale secondo cui i trasferimenti dei diritti reali previsti nelle condizioni di divorzio sono da considerarsi impegni preliminari di vendita ed acquisto, e non trasferimenti immobiliari definitivi, con effetto traslativo immediato.
3. Avverso tale decisione hanno, quindi, proposto ricorso per cassazione congiunto (OMISSIS) ed (OMISSIS), affidato a tre motivi, illustrati con memoria. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
4. Con ordinanza interlocutoria n. 3089/2020, depositata il 10 febbraio 2020, la prima sezione civile di questa Corte, ritenuto che, per il rilevante impatto che l’interpretazione delle norme sottoposte al giudizio della Corte – involgenti profili relative all’autonomia delle parti in sede della determinazione degli accordi della “crisi coniugale” aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari (articoli 1322 e 1376 c.c.), l’interpretazione di tali accordi (articoli 1362 c.c. e segg.), ed il ruolo svolto dal notaio in relazione all’identificazione catastale dell’immobile ed alla sua conformita’ alle risultanze dei registri immobiliari (Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, articolo 19) – puo’ avere sulla giurisprudenza nazionale che, peraltro, sulla questione e’ pervenuta a conclusioni non univoche, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi degli articoli 374 e 376 c.p.c., trattandosi di questione di massima di particolare importanza.
5. Fissata la pubblica udienza dal Primo Presidente per la data dell’11 maggio 2021, il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con i tre motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – (OMISSIS) ed (OMISSIS) denunciano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1322, 1362 e 1376 c.c., nonche’ del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 19, convertito nella L. 30 luglio 2010, n. 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. I ricorrenti censurano l’impugnata sentenza nella parte in cui ha condiviso l’opzione ermeneutica fatta propria da diverse decisioni di merito, affermando che le parti, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, ben possono “integrare le tipiche clausole di separazione e divorzio (figli, assegni, casa coniugale) con clausole che si prefiggono di trasferire tra i coniugi o in favore di figli diritti reali immobiliari o di costituire iura in re aliena su immobili ricorrendo esclusivamente alla tecnica obbligatoria, che consente l’applicazione dell’articolo 2932 c.c. e non a quella reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto”.
Osservano, per contro, gli istanti che siffatta opzione ermeneutica costituisce violazione del disposto dell’articolo 1322 c.c., laddove consente – nell’ottica della massima espansione dell’ambito di applicazione dell’autonomia privata – la possibilita’ per le parti, e quindi anche per i coniugi in sede di determinazione dei cd. “accordi della crisi coniugale”, di concludere pattuizioni atipiche, meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. L’indirizzo interpretativo – per lo piu’ seguito dai giudici di merito – collide, peraltro, ad avviso dei ricorrenti, anche con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, che si e’ ripetutamente pronunciato in senso contrario. Gli istanti ricordano, invero, come si sia piu’ volte affermato – nella giurisprudenza di questa Corte – che l’accordo delle parti in sede di separazione e di divorzio ha natura certamente negoziale, e puo’ dare vita a pattuizioni atipiche meritevoli di tutela, che ben possono avere ad oggetto – essendo soddisfatta, mediante l’inserimento nel ricorso sottoscritto da entrambe le parti, poi trasfuso nel verbale di udienza sottoscritto dalle medesime, il requisiti della forma scritta ex articolo 1350 c.c. – anche trasferimenti di proprieta’ su immobili, o altri diritti reali.
1.2. La decisione impugnata non terrebbe, poi, in alcun conto la volonta’, inequivocabilmente espressa dai coniugi e dai figli, di voler realizzare in via immediata – e non prevedendosi un mero obbligo di trasferimento – il passaggio del diritto di proprieta’ sull’immobile adibito a casa coniugale a favore dei figli, nonche’ il trasferimento del diritto di usufrutto dal (OMISSIS) alla (OMISSIS), al fine di definire senza differimenti pregiudizievoli per tutti gli interessati – ogni questione relativa ai profili economici della crisi coniugale.
Di tale chiara e legittima espressione della volonta’ delle parti la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto, in tal modo violando anche il disposto degli articoli 1362 e 1376 c.c..
1.3. L’impugnata pronuncia sarebbe, infine, incorsa – a parere degli esponenti – nella violazione del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 19, convertito nella L. n. 1 del 2010, laddove prevede che il notaio deve effettuare la verifica catastale degli immobili da trasferire. L Corte territoriale avrebbe, per vero, erroneamente opinato che il legislatore abbia inteso demandare a detto professionista, e non anche ad altri operatori, “il compito della individuazione e della verifica catastale nella fase di stesura degli atti traslativi cosi’ concentrando, nell’alveo naturale del rogito notarile, il controllo indiretto statale a presidio degli interessi pubblici coinvolti, senza che tale attivita’ possa essere sostituita da quella di altri operatori, tra i quali il giudice” (pp. 3 e 4 della sentenza di appello)..
1.3.1. Osservano, per contro, i ricorrenti che anzitutto, nel caso concreto, il (OMISSIS) aveva dichiarato la conformita’ dello stato di fatto dell’immobile ad i dati catastali ed alle planimetrie allegate, e che l’intestazione catastale era conforme alle risultanze dei registri immobiliari. Le parti avevano, poi, prodotto perizia giurata dalla quale era possibile desumere ulteriormente siffatte conformita’, oltre a tutta la documentazione necessaria per il trasferimento immobiliare, come le planimetrie degli immobili (appartamento e garage) e le dichiarazioni di conformita’ a legge degli impianti elettrico e termico, obbligandosi, inoltre, a curare a proprie spese esonerando il cancelliere da ogni responsabilita’ al riguardo – le formalita’ richieste per la trascrizione del trasferimento immobiliare.
Per il che tutti gli adempimenti che la norma del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 19, pone a carico del notaio, sarebbero stati effettuati dalle stesse parti.
1.3.2. Rilevano, altresi’, gli esponenti che la decisione impugnata non terrebbe conto del fatto che la norma del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 19, riguarda i soli casi nei quali le parti abbiano inteso effettuare il trasferimento di diritti reali con atto notarile, laddove detta disposizione non trova applicazione qualora le parti abbiano effettuato il trasferimento con scrittura privata – in relazione alla quale il notaio si limita ad autenticare la firma dei contraenti. Il che e’, del resto, certamente consentito dall’articolo 1350 c.c., che si limita a richiedere per i trasferimenti in questione la forma scritta ad substantiam, senza operare distinzione alcuna tra atto pubblico e scrittura privata.
1.3.3. Ne’ potrebbe opporsi a tali considerazioni il rilievo della impossibilita’ di trascrivere l’atto in tal modo concluso, non rientrando siffatto accordo nelle categorie di atti trascrivibili, ai sensi dell’articolo 2657 c.c. Osservano, per vero, i ricorrenti che nella specie la parti, oltre ad avere sottoscritto l’accordo di divorzio contenuto nel ricorso, con firma autenticata dal difensore, avevano poi nuovamente sottoscritto il verbale di udienza del 28 novembre 2016, riportandosi alle condizioni dell’accordo, ed il verbale – costituente atto pubblico ex articolo 2699 c.c. – era stato redatto dal cancelliere (pubblico ufficiale) che aveva, in tal modo, certificato l’identita’ dei presenti e la veridicita’ delle dichiarazioni rese. Sicche’ il verbale di udienza, debitamente autenticato, gia’ costituirebbe titolo valido per la trascrizione. In ogni caso, osservano gli istanti, la sentenza di divorzio e’ direttamente trascrivibile, ai sensi dell’articolo 2657 c.c..
2. Su tali specifici profili – dedotti dai ricorrenti – l’ordinanza di rimessione n. 3089/2020 ha investito queste Sezioni Unite rilevando, anzitutto, che la soluzione adottata dalla sentenza di appello, nel senso dell’inderogabilita’ della verifica di conformita’ ipocatastale da parte del notaio, oltre ad essere contraria all’indirizzo prevalente nella giurisprudenza di legittimita’, chiaramente ed univocamente incline a ritenere ammissibili – nell’esercizio dell’autonomia privata ex articolo 1322 c.c. – i trasferimenti immobiliari operati dalle parti in sede di divorzio e di separazione consensuale, non e’ pacificamente seguita neppure dai giudici di merito.
2.1. Rileva, al riguardo, l’ordinanza di rimessione che la disposizione di cui al comma 1 bis, aggiunto della L. n. 52 del 1985, articolo 29, Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 19, comma 14, convertito nella L. 30 luglio 2010, n. 122, ha, difatti, dato luogo a contrasti interpretativi fra i giudici di merito. Per intanto, va rilevato che la sanzione della nullita’ colpisce – come si evince dai primi due periodi del testo della norma – solo l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate e la dichiarazione resa dagli intestatari della conformita’ dello stato di fatto ai dati catastali ed alle planimetrie; dichiarazione che peraltro puo’ essere sostituita – come e’ accaduto nel caso di specie – da un’attestazione rilasciata da un tecnico abilitato. Per converso, non e’ prevista a pena di nullita’ la previsione – contenuta nel terzo periodo – secondo cui il notaio deve individuare, prima della stipula dell’atto, gli intestatari catastali e verificare la loro conformita’ con le risultanze dei registri immobiliari.
2.2. La nullita’ prevista – secondo l’ordinanza di rimessione riguarda, dunque, l’assenza dei requisiti ed ha “carattere oggettivo”, poiche’ e’ “rivolta a prevenire e sanzionare atti che non siano conformi allo stato di fatto dell’immobile, in relazione ad eventuali violazioni della disciplina urbanistica”. Il controllo sulla identita’ degli intestatari catastali e sulla loro conformita’ alle risultanze dei registri immobiliari – non espressamente sanzionato, in caso di omissione, con la nullita’ dell’atto – non esclude, pertanto, il permanere della nullita’ oggettiva dell’atto medesimo, nonostante l’intervento del notaio, qualora gli adempimenti richiesti dalla prima parte della norma non siano stati effettuati.
Di qui la necessita’ che l’atto traslativo – anche di diritti reali diversi dal diritto di proprieta’, venendo in considerazione nella specie il diritto di usufrutto – contenuto nel verbale di separazione consensuale o nella sentenza che recepisce l’accordo divorzile, contengano i requisiti previsti dalla menzionata norma a pena di nullita’, “ma la verifica che la norma rimette al notaio puo’ essere svolta da un ausiliario del giudice dal momento che la validita’ dell’atto deriva esclusivamente dalla conformita’ alle prescrizioni normative” (p. 7 dell’ordinanza di rimessione).
2.3. Siffatta conclusione sarebbe, peraltro, confortata – a parere del collegio rimettente – dalla previsione, sebbene non direttamente applicabile ai conflitti familiari, della L. n. 162 del 2014, articolo 5 (sulla cd. “negoziazione assistita”), che esclude la necessita’ del ricorso al notaio anche quando le parti, con l’accordo che compone la controversia, concludono uno dei contratti che vanno trascritti ai sensi dell’articolo 2643 c.c., limitandosi la norma a prevedere che per procedere alla trascrizione “la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a cio’ autorizzato” (p. 8).
3. Il ricorso e’ fondato.
3.1. La questione relativa alla possibilita’ per le parti di introdurre – negli accordi di separazione consensuale o di divorzio congiunto, ferme talune differenze tra i due atti, sulle quali si tornera’ – clausole diverse da quelle facenti parte del contenuto necessario di tali accordi, ha ricevuto da parte della dottrina risposte diverse ed articolate.
3.1.1. Una parte degli autori si e’ attestata su posizioni di maggiore chiusura, affermando che gli accordi tra i coniugi in sede di divorzio congiunto o di separazione consensuale non potrebbero avere un contenuto diverso da quello necessario, che si riferisce nel dettato delle norme che disciplinano le due diverse fattispecie all’affidamento dei figli minori ed al loro mantenimento, all’esercizio della responsabilita’ genitoriale, all’assegnazione della casa coniugale, all’eventuale mantenimento del coniuge, e comunque alla disciplina di tutte quelle situazioni che avrebbero potuto costituire oggetto della statuizione del giudice. Tale opzione interpretativa si fonda, per il divorzio, sul tenore letterale della disposizione di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 4, comma 16, che fa riferimento – quale contenuto della domanda congiunta – alla compiuta indicazione delle “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici”, nonche’, per la separazione, sul disposto dell’articolo 158 c.c., articoli 710 e 711 c.p.c., nei quali si fa riferimento all'”accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli”, ed ai “provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione”, che possono essere modificati in ogni tempo su istanza delle parti.
Secondo i sostenitori di questa tesi, pertanto, non vi sarebbe spazio per i trasferimenti immobiliari ne’ in sede di separazione consensuale, ne’ in sede di divorzio. Solo il notaio potrebbe, invero, ricevere i negozi giuridici traslativi di diritti reali, quand’anche l’esigenza della loro stipulazione sia originata dalla crisi coniugale; sicche’ – seppure riportati nel verbale del giudizio – tali accordi traslativi non potrebbero comunque essere trascritti.
3.1.2. Altri autori – pur ritenendo in astratto valido l’accordo immediatamente traslativo di beni immobili in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto – ritengono comunque preferibile adottare la “procedura bifasica” (assunzione dell’obbligo di trasferire in sede giudiziale e redazione dell’atto notarile in esecuzione dell’obbligo assunto) in ragione dell’elevato rischio di errori invalidanti, connesso agli adempimenti e alle verifiche richiesti per gli atti immediatamente traslativi (indicazioni urbanistiche, attestazioni di prestazione energetica e certificazione catastale).
3.1.3. Altra dottrina – in un’ottica di maggiore apertura, dettata dalla necessita’ di tenere conto del contesto peculiare nel quale si sviluppano siffatti accordi traslativi, dettati dall’esigenza di porre fine quanto prima, e senza il rischio di successivi ripensamenti pregiudizievoli per la stabilita’, gia’ precaria, della situazione familiare – si spinge fino a valutare unitariamente e complessivamente tutte le condizioni della separazione (o del divorzio), ed arriva ad attribuire ad esse una comune connotazione di tipicita’, cui fa conseguire una disciplina unitaria. In particolare, secondo tale tesi, occorrerebbe tenere conto del carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce al momento della “liquidazione” del rapporto coniugale di fronte alla necessita’ di valutare gli infiniti e complessi rapporti di dare-avere che la protratta convivenza genera, operando una ricostruzione che, in luogo di una miriade di possibili accordi innominati, faccia perno, invece, sull’individuazione di un vero e proprio contratto di definizione della crisi coniugale o, piu’ esattamente, dei suoi aspetti patrimoniali. Tale contratto dovrebbe abbracciare ogni forma di costituzione e di trasferimento di diritti patrimoniali, compiuti con o senza controprestazione, in occasione della crisi coniugale.
E si tratterebbe di accordi tipici, in quanto ancorati alle previsioni – valorizzate in un significato diametralmente opposto a quello propugnato dal primo orientamento – dell’articolo 711 c.p.c. e della L. n. 898 del 1970, articolo 4, comma 16, laddove si riferiscono, rispettivamente, alle “condizioni della separazione consensuale” e alle “condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici” delle parti. A tali contratti e’ attribuito il nome di “contratti della crisi coniugale” o di “contratti post-matrimoniali”.
3.2. La giurisprudenza di legittimita’ ha piu’ volte affrontato la problematica dei trasferimenti di diritti reali immobiliari in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto in decisioni emesse, peraltro, con riferimento a contesti fattuali spesso differenti l’uno dall’altro, e non sempre affrontando tutti i complessi profili implicati dalle due fattispecie. Sicche’ e’ intuibile l’esigenza – avvertita dall’ordinanza di rimessione – di fare piena chiarezza sull’intera questione, attraverso una decisione che – muovendo dalla vicenda inerente un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario – fornisca, altresi’, le coordinate interpretative per la risoluzione delle problematiche, del tutto simili, anche se non identiche, implicate dal contiguo – e non agevolmente disgiungibile sul piano dogmatico – istituto della separazione consensuale dei coniugi. E cio’ tenuto conto anche del fatto che talune affermazioni di principio sono state emesse proprio con riferimento a casi di separazione incardinati quando ancora la legge sul divorzio non era entrata in vigore, e sono state – dipoi – traslate a fattispecie di divorzio successive.
3.2.1. Nelle prime decisioni in materia, sebbene il problema non sia stato consapevolmente e funditus affrontato, avendo tali pronunce ad oggetto la costituzione a favore del coniuge, in sede di separazione, di un diritto reale di abitazione, o il trasferimento di beni, ma con riferimento specifico alla necessita’ di integrazione del contributo al mantenimento del medesimo (Cass., 12/06/1963, n. 1594; Cass., 27/10/1972, n. 3299), o al riconoscimento della proprieta’ esclusiva di alcuni beni al coniuge, ma in funzione divisoria (Cass., 11/11/1992, n. 12110), non si e’ mancato, tuttavia, di rilevare la validita’ della clausola, con la quale i coniugi, nel verbale di separazione consensuale, riconoscano la proprieta’ esclusiva di singoli beni mobili ed immobili in favore dell’uno o dell’altra.
3.2.2. Fondamentale e’, per contro, una successiva pronuncia, nella quale questa Corte ha affermato che sono da ritenersi pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione che riconoscano ad uno, o ad entrambi i coniugi, la proprieta’ esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi al fine di assicurarne il mantenimento. Il suddetto accordo di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di cio’ che in esso e’ attestato), assume – per vero – forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’articolo 2657 c.c., senza che la validita’ di trasferimenti siffatti sia esclusa dal fatto che i relativi beni ricadono nella comunione legale tra coniugi. Lo scioglimento della comunione legale dei beni fra coniugi si verifica, infatti, con effetto “ex nunc”, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell’omologazione degli accordi di separazione consensuale.
La pronuncia contiene poi l’affermazione di rilievo – ai fini della risoluzione della questione oggetto di esame in questa sede secondo cui la separazione consensuale e’ un negozio di diritto familiare, espressamente previsto dagli articoli 150 e 158 c.c. e disciplinato nei suoi aspetti formali dall’articolo 711 c.p.c., il quale ne prevede la documentazione nel verbale di udienza – redatto da un ausiliario del giudice ai sensi dell’articolo 126 c.p.c. – e ne subordina l’efficacia all’omologazione, attribuita alla competenza del tribunale (Cass., 15/05/1997, n. 4306).
3.2.3. In senso contrario si era, in precedenza, espressa una pronuncia – rimasta, peraltro, isolata – secondo la quale, qualora i coniugi abbiano convenuto, nell’accordo di separazione, una donazione, l’omologazione non vale a rivestire l’atto negoziale della forma dell’atto pubblico, richiesto dall’articolo 782 c.c., che gli articoli 2699 e 2700 c.c., impongono sia “redatto” e “formato” dal pubblico ufficiale (Cass., 08/03/1995, n. 2700). La decisione non chiarisce, tuttavia, l’aspetto fondamentale della questione, concernente la ragione per la quale il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi, sebbene redatto dal cancelliere – che e’, a sua volta, un pubblico ufficiale – con le modalita’ di cui all’articolo 126 c.p.c., non rivesta la natura di un atto pubblico.
3.2.4. Le statuizioni contenute nella pronuncia n. 4306/1997 hanno trovato, peraltro, conferma in tutta la giurisprudenza successiva, essendosi affermato – con riferimento ad una vicenda di proposizione dell’azione revocatoria – che gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti reciproche attribuzioni patrimoniali e concernenti beni mobili o immobili, rispondono, di norma, ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di separazione consensuale che svela una sua “tipicita’” propria. Tale tipicita’ – intesa in senso lato, con riferimento alla finalita’, comune a questi accordi, di regolare i rapporti economici a seguito della crisi di coppia – ai fini della piu’ particolare e differenziata disciplina di cui all’articolo 2901 c.c., puo’ colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosita’ piuttosto che di quelli della gratuita’, in ragione dell’eventuale ricorrenza, o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa piu’ ampia e complessiva, di tutta quella serie di possibili rapporti aventi significati, anche solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cass., 25/10/2019, n. 27409). In tale decisione, la Corte ha ribadito che il verbale in cui le parti avevano espresso le condizioni di separazione personale costituisse a seguito dell’omologa, ed in quanto atto pubblico – titolo per la trascrizione, a norma dell’articolo 2657 c.c. (in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche Cass., 15/04/2019, n. 10443).
Ma gia’ in precedenza, nello stesso senso della pronuncia succitata e sempre con riferimento all’esperimento dell’azione revocatoria, la Corte aveva piu’ volte conformemente statuito sui presupposti per l’utile esperimento di tale azione contro il trasferimento immobiliare concordato in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, in tal modo riconoscendone quanto meno implicitamente – la validita’ (in tal senso, cfr. Cass., 23/03/2004, n. 5741; Cass., 26/07/2005, n. 15603; Cass., 14/03/2006, n. 5473; Cass., 12/04/2006, n. 8516, con riferimento alla revocatoria fallimentare, Cass., 13/05/2008, n. 11914; Cass., 10/04/2013, n. 8678; Cass., 05/07/2018, n. 17612).
3.2.5. Altre decisioni di legittimita’ hanno recepito la distinzione tra “contenuto essenziale” e “contenuto eventuale”, elaborata dalla dottrina succitata, avendo statuito che la separazione consensuale e’ un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, che trova solo “occasione” nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata. Ne consegue che questi ultimi accordi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso “ad hoc” ex articolo 710 c.p.c., o anche in sede di divorzio, la quale puo’ riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’articolo 1372 c.c. (Cass., 19/08/2015, n. 16909; Cass., 30/08/2019, n. 21839, che ha ammesso l’azione di simulazione nei confronti di un patto, contenuto nelle condizioni di separazione consensuale omologate, che prevedeva trasferimenti immobiliari tra le parti).
Ma al di la’ dalla precisazione, concernente il diverso contenuto degli accordi della crisi coniugale, va rilevato come venga anche da tali decisioni sostanzialmente ribadita l’ammissibilita’ dei patti di trasferimento di diritti reali in sede di separazione consensuale e di accordo congiunto di divorzio.
3.2.6. Di particolare interesse – ai fini della risoluzione della questione in esame, ed a prescindere dalla peculiarita’ della vicenda – si palesa, altresi’, una recente pronuncia nella quale si e’ ritenuto che la previsione di cui alla L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 497 – che attribuisce alle persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attivita’ commerciali, artistiche o professionali e che abbiano acquistato immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, la facolta’ di optare per la liquidazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 52, commi 4 e 5 e quindi sulla base della rendita catastale – operi anche nel caso in cui il trasferimento (nella specie, cessione di quote di una casa di civile abitazione) avvenga in via transattiva davanti all’autorita’ giudiziaria. Ed invero – si afferma – il verbale di conciliazione giudiziale presenta tutti gli elementi essenziali dell’atto di compravendita, essendo il giudice, al pari di un notaio, un pubblico ufficiale ed assumendo detto verbale il valore di vero e proprio atto pubblico (Cass., 30/10/2020, n. 24087).
In tale decisione la Corte perviene, pertanto, all’equiparazione, sotto i profili del contenuto e della forma, delle cessioni di immobili abitativi perfezionate con atto notarile e dei trasferimenti effettuati in sede di conciliazione giudiziale, proprio sulla scorta della giurisprudenza succitata in materia di trasferimenti concordati in sede di separazione consensuale e divorzio congiunto.
3.2.7. Ulteriori implicite conferme in tal senso provengono, peraltro, anche da una serie di decisioni in materia fiscale, concernenti l’applicazione del disposto della L. 6 marzo 1987, n. 74, articolo 19, che, nel testo risultante dalle pronunce di illegittimita’ costituzionale nn. 176 del 1992 e 154 del 1999, stabilisce l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” per tutti i provvedimenti giudiziali resi nelle cause di divorzio o di separazione dei coniugi. Si e’, invero, affermato che le agevolazioni di cui alla L. n. 74 del 1987, articolo 19, operano con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprieta’ esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge. Tale agevolazione si estende ad ogni tipo di “tassazione”, indipendentemente dalla natura di imposta o di tassa in senso proprio del tributo concretamente in discussione (Cass., 22/05/2002, n. 7493; Cass., 28/10/2003, n. 16171; Cass. 03/02/2016, n. 2111).
E l’esenzione e’ stata riconosciuta anche agli atti stipulati a seguito dell’assunzione del solo obbligo di trasferimento in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, in favore di alcuno dei coniugi o dei figli, senza che sia posto in essere dalle parti un accordo traslativo definitivo (Cass., 28/06/2013, n. 16348; Cass., 30/05/2005, n. 11458).
3.2.8. Del tutto incontroversa, nella giurisprudenza di questa Corte, e’ peraltro l’ammissibilita’ – sul piano generale, anche a prescindere dalla materia fiscale – della sola assunzione dell’obbligo di trasferire la proprieta’ di un bene, o altro diritto reale, con gli accordi di separazione o di divorzio. Sotto tale profilo, puo’ anzi affermarsi che qualsiasi clausola che sia in grado di soddisfare gli interessi delle parti a regolare consensualmente – in quel particolare e delicato contesto costituito dalla crisi coniugale – gli aspetti economici della vicenda in atto, sia essa di mero accertamento della proprieta’ di un bene immobile, ovvero di cessione definitiva del bene stesso, o ancora di assunzione dell’obbligo di trasferirlo, e’ stata ritenuta egualmente ammissibile e valida dalla giurisprudenza di legittimita’.
3.2.8.1. In tal senso, si e’ statuito, infatti, che e’ di per se’ valida la clausola dell’accordo di separazione che contenga l'”impegno” di uno dei coniugi, al fine di concorrere al mantenimento del figlio minore, di trasferire, in suo favore, la piena proprieta’ di un bene immobile, trattandosi di pattuizione che da’ vita ad un “contratto atipico”, distinto dalle convenzioni matrimoniali ex articolo 162 c.c. e dalle donazioni, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ai sensi dell’articolo 1322 c.c. (Cass. 17/06/2004, n. 11342).
3.2.8.2. Nella medesima prospettiva si pone l’affermazione secondo cui l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole ben puo’ essere adempiuto con l’attribuzione definitiva di beni, o con l’impegno ad effettuare detta attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica, sulla base di accordi costituenti espressione di autonomia contrattuale, con i quali vengono, peraltro, regolate solo le concrete modalita’ di adempimento di una prestazione comunque dovuta. Si e’ precisato, pertanto, che la pattuizione conclusa in sede di separazione personale dei coniugi non esime il giudice, chiamato a pronunciarsi nel giudizio di divorzio, dal verificare se essa abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella causa di separazione ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall’accertare se, nella sua concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento (Cass., 02/02/2005, n. 2088).
L’obbligo di mantenimento dei figli minori (ovvero maggiorenni non autosufficienti) puo’ essere, per vero, legittimamente adempiuto dai genitori – nella crisi coniugale – mediante un accordo che, in sede di separazione personale o di divorzio, attribuisca direttamente – o impegni il promittente ad attribuire – la proprieta’ di beni mobili o immobili ai figli, senza che tale accordo (formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, degli articoli 155, 158, 711 c.c. e della L. n. 898 del 1970, articoli 4 e 6 e sostanzialmente costituente applicazione della “regula iuris” di cui all’articolo 1322 c.c., attesa la indiscutibile meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti) integri gli estremi della liberalita’ donativa, ma assolvendo esso, di converso, ad una funzione solutorio-compensativa dell’obbligo di mantenimento. L’accordo in parola, comporta l’immediata e definitiva acquisizione al patrimonio dei figli della proprieta’ dei beni che i genitori abbiano loro attribuito, o si siano impegnati ad attribuire; di talche’, in questa seconda ipotesi, il correlativo obbligo, e’ suscettibile di esecuzione in forma specifica ex articolo 2932 c.c. (Cass., 21/02/2006, n. 3747; Cass., 23/09/2013, n. 21736, secondo cui tale pattuizione non e’ affetta da nullita’, non essendo in contrasto con norme imperative, ne’ con diritti indisponibili).
3.2.8.3. E’ indifferente, in definitiva, nella giurisprudenza di questa Corte, la modalita’ con la quale il regolamento di interessi avvenga, purche’ esso sia idoneo a garantire un soddisfacente assetto dei rapporti tra le parti – per un futuro nel quale la convivenza coniugale si avvia verso un esito di separazione o di scioglimento – in tempi ragionevoli che consentano di chiudere la crisi al piu’ presto, quanto meno sul piano economico. Ed in tale prospettiva – come in seguito si dira’ – lo strumento piu’ adeguato si palesa proprio il trasferimento immobiliare definitivo, escluso invece – nel caso di specie – dalla sentenza impugnata.
3.2.9. Una ulteriore chiara indicazione in senso favorevole all’ammissibilita’ degli accordi traslativi in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto proviene, infine, da una pronuncia in materia di “negoziazione assistita”, secondo la quale, ogni qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale della separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o piu’ diritti di proprieta’ su beni immobili, la disciplina di cui al Decreto Legge n. 132 del 2014, articolo 6, convertito dalla L. n. 162 del 2014, deve necessariamente integrarsi con quella di cui del medesimo Decreto Legge n. 132, articolo 5, comma 3. Ne consegue che, per procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione, contenente anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, e’ necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a cio’ autorizzato, ai sensi dell’articolo 5, comma 3, succitato (Cass., 21/01/2020, n. 1202).
La pronuncia costituisce, non soltanto una conferma dell’ammissibilita’ di siffatti accordi nella sistemazione dei rapporti economici nella crisi coniugale, ma anche della non esclusivita’ della funzione certificatoria in capo al notaio, essendo a quest’ultimo equiparabile qualunque pubblico ufficiale a cio’ autorizzato.
3.3. In senso contrario rispetto alle coordinate interpretative tracciate dalla giurisprudenza di legittimita’, si e’ – per contro espressa la maggior parte delle pronunce rese dai giudici di merito, prevalentemente orientati a negale le possibilita’ di intese immediatamente traslative all’interno del verbale di separazione consensuale o di divorzio congiunto.
3.3.1. Riprendendo la distinzione – come si e’ visto, operata dalla dottrina e della giurisprudenza di legittimita’ – tra contenuto necessario e contenuto eventuale degli accordi di separazione, la maggior parte delle decisioni ha ritenuto, invero, che quest’ultimo non possa ricomprendere negoziazioni prive dei requisiti formali e sostanziali necessari per la loro validita’, come gli atti traslativi definitivi, cio’ rientrando in un dovere funzionale volto al rispetto dei principi generali dell’ordinamento, segnatamente in materia di trascrizione di tali atti e di certezza e regolarita’ dei trasferimenti immobiliari. Le parti, in tale prospettiva, ben potrebbero integrare le clausole costituenti il contenuto necessario delle pattuizioni di separazione e di divorzio, ma dovrebbero ricorrere “alla tecnica obbligatoria”, e non a quella reale, pena la possibile vanificazione dello strumento di tutela prescelto”
Tale soluzione, si afferma, sarebbe ora confermata dalla L. n. 52 del 1985, articolo 29, comma 1-bis, con il quale la legge avrebbe demandato al notaio, e non ad altri operatori, il compito della individuazione e della verifica catastale, nella fase di stesura degli atti traslativi, in tal modo mostrando di voler concentrare, nell’alveo naturale del rogito notarile, il controllo indiretto statale sugli atti di trasferimento immobiliare, a tutela degli interessi ad essi sottesi. Ne’ il giudice potrebbe, nemmeno in sede di volontaria giurisdizione, svolgere alcun potere certificativo e attributivo della pubblica fede alle dichiarazioni negoziali delle parti (ex plurimis, Trib. Milano, 06/12/2009, in Fam. dir., 2011, 937; Trib. Milano, 21/05/2013, in Fam. Dir., 2014, 600 e ss.; Trib. Firenze, 29/09/1989, in Riv. not., 1992, 595; Trib. Firenze, 07/02/1992, in Dir. fam e pers., 1992, 731). Per il che, il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi non costituirebbe ne’ atto pubblico, ne’ scrittura privata autenticata, bensi’ una semplice scrittura privata, la cui efficacia nei confronti del terzi e’ sottoposta alla necessaria ripetizione del contratto nella forma dell’atto pubblico notarile, ai fini della trascrizione ai sensi dell’articolo 2657 c.c. (Trib. Napoli, 16/04/1997, in Fam. Dir., 1997, 420).
In tale orientamento si iscrivono altresi’ le decisioni – emesse nel caso di specie – dal Tribunale di Pesaro n. 933/2016 e dalla Corte d’appello di Ancona n. 583/2017.
3.3.2. Sebbene la giurisprudenza di merito, e le prassi ed i protocolli – uno di essi menzionato dai ricorrenti, relativo al Tribunale di Pesaro – si siano espressi in massima parte in senso contrario all’ammissibilita’ dei trasferimenti immobiliari ad effetti reali in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto, non mancano, tuttavia, diverse decisioni di segno contrario, conformi alla giurisprudenza di legittimita’ succitata.
Si e’ affermato, infatti, in tal senso, che la clausola di un accordo traslativo della proprieta’ di un bene immobile, in quanto inserita nel verbale d’udienza, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo l’omologazione che lo rende efficace, titolo per la trascrizione a norma dell’articolo 2657 c.c.. Il verbale di separazione consensuale, contenente clausole relative al trasferimento di immobili tra i coniugi, costituisce invero un vero e proprio contratto atipico, con cui le parti intendono attuare un regolamento dei loro rapporti in occasione della separazione, ed e’ un atto pubblico costituente valido titolo per la trascrizione (Trib. Salerno, 04/07/2006, in Fam e dir., 2007, 63; Trib. Pistoia, 01/02/1996, in Riv. not., 1997, 1421; App. Genova, 27/05/1997, in Dir. fam. e pers., 1998, 572; App. Milano, 12/01/2010, in Fam. dir., 2011, 589).
3.4. Tale essendo il quadro dottrinale e giurisprudenziale di riferimento, ritengono queste Sezioni Unite che l’orientamento secondo il quale in sede di divorzio congiunto e di separazione consensuale siano ammissibili accordi tra le parti, che non si limitino all’assunzione di un mero obbligo preliminare, ma attuino in via diretta ed immediata il trasferimento della proprieta’ di beni o di altro diritto reale sugli stessi, meriti di essere condiviso e confermato, con le precisazioni che si passa ad esporre.
3.4.1. La vicenda in ordine alla quale e’ stata operata la rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte attiene ad un caso in cui le parti, con un accordo del 6 luglio 2016, avevano chiesto consensualmente al Tribunale di Pesaro la pronuncia della cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario da essi celebrato, prevedendo, tra le altre condizioni dell’accordo, il trasferimento definitivo a favore dei figli della coppia, maggiorenni economicamente non autosufficienti, della quota del 50% della nuda proprieta’ spettante al padre sull’immobile adibito a casa coniugale, nonche’ il trasferimento, da parte del marito alla moglie, dell’usufrutto sulla propria quota dell’immobile.
La fattispecie concreta concerne, pertanto, non la separazione consensuale tra i coniugi, bensi’ il divorzio congiuntamente richiesto dai medesimi, ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 4, comma 16. E tuttavia, come dianzi detto, i due istituti – pur presentando innegabili diversita’ sul piano della disciplina – si presentano strettamente connessi l’uno all’altro sul piano dogmatico. Ed invero, ad accomunare le due fattispecie e’ certamente la connotazione presente in entrambe – dell’essere finalizzate ad ottenere mediante il consenso dei coniugi, piuttosto che con la pronuncia costitutiva del giudice, le divisate modificazioni dello status coniugale, con le conseguenti ricadute sull’affidamento ed il mantenimento della prole, ove esistente, e sui profili economici concernenti i rapporti tra i coniugi stessi.
3.4.2. E tuttavia, e’ innegabile la sussistenza di diverse differenza tra i due istituti sul piano della rispettiva disciplina giuridica.
3.4.2.1. Una prima differenza tra il giudizio di separazione consensuale e quello di divorzio su domanda congiunta e’ ravvisabile, invero, nel fatto che, in quest’ultima fattispecie, il procedimento non termina con l’omologazione da parte del Tribunale, bensi’ con una sentenza emessa all’esito dell’audizione dei coniugi, e con la quale il collegio giudicante e’ tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti di legge – in particolare se la comunione tra i coniugi non puo’ essere mantenuta o ricostituita – ed a verificare “la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli”. La mancata corrispondenza a tale interesse comportera’ l’apertura della procedura contenziosa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, comma 8 (articolo 4, comma 16).
3.4.2.2. Ed e’ questa una seconda differenza di regime giuridico con la separazione consensuale, nella quale – qualora l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento ed al mantenimento dei figli sia contrario agli interessi di questi ultimi, il Tribunale – nel caso in cui le modifiche proposte non siano state idoneamente eseguite – “puo’ rifiutare allo stato l’omologazione” (articolo 158 c.c., comma 2).
3.4.3. La dottrina che si e’ occupata del procedimento di divorzio congiunto e’ pervenuta a conclusioni non del tutto univoche, anche se tra gli autori piu’ recenti e’ dato registrare una maggiore uniformita’ di vedute.
3.4.3.1. Secondo una prima opinione, il procedimento disciplinato dalla L. n. 898 del 1970, articolo 4, comma 16, condotto in Camera di consiglio e senza istruttoria, assume connotazioni particolari, ma e’ pur sempre un procedimento contenzioso e la decisione ha la forma e la sostanza della sentenza. Il tribunale non si limita ad omologare il consenso dei coniugi, perche’ la presentazione della domanda congiunta costituisce il presupposto per la trattazione della causa secondo un rito “abbreviato”, ma devono pur sempre essere accertate le condizioni per pronunciare il divorzio, proprio come avviene nei giudizi contenziosi. Nella medesima prospettiva, si e’ pertanto sostenuto che la sentenza che conclude siffatto procedimento presenta una duplice natura, ossia di accertamento costitutivo, quanto all’esame dei presupposti di legge ed alla pronuncia di divorzio, e dichiarativa dell’efficacia delle condizioni volute dalle parti.
3.4.3.2. Altra dottrina, senza peraltro porsi il problema della valenza del verbale di comparizione dei coniugi che riporti le condizioni concordate dai coniugi, ritiene che il ricorso a firma congiunta sia un qualcosa in meno dell’accordo in sede di separazione consensuale, poiche’ non avrebbe alcun contenuto negoziale e si risolverebbe semplicemente in una domanda comune rivolta al Tribunale, nell’aspirazione ad ottenere un certo provvedimento, avente un contenuto concordemente divisato dalle parti.
3.4.3.3. Su posizione diametralmente opposta sembra, tuttavia, ormai collocarsi la dottrina di gran lunga prevalente, secondo la quale l’accordo posto a base di tale procedimento avrebbe chiara natura negoziale, rilevando il parallelismo e la connotazione causale identici all’accordo concluso tra coniugi in sede di separazione consensuale, dalla quale si distingue solo per il preliminare accertamento dei requisiti di legge per dichiarare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Secondo tale tesi, a prescindere dalla forma del provvedimento finale, il divorzio su domanda congiunta non costituisce un giudizio contenzioso, ma un procedimento di giurisdizione volontaria, nel quale gli accordi delle parti non possono essere sindacati dal giudice, se non per quanto riguarda le statuizioni riguardanti i figli minori, ferma restando la decisione sulla sussistenza dei presupposti per la pronuncia di divorzio. Al di fuori di tale profilo, l’attivita’ del Tribunale e’ ritenuta sostanzialmente vincolata, tant’e’ che gli effetti patrimoniali del divorzio vengono ricondotti all’accordo delle parti, riportati nel verbale di comparizione davanti al collegio, anziche’ alla determinazione del giudice, che e’ assimilata a una mera omologa all’esito di un procedimento di controllo sul rispetto delle norme inderogabili dell’ordinamento vigente. Cio’ che rileva – si ribadisce e’ che, in caso di divorzio su domanda congiunta, la fonte della regolamentazione dei rapporti tra gli ex coniugi divorziati va ravvisata nell’accordo delle parti e non nella sentenza.
3.4.4. La giurisprudenza di questa Corte ha recepito in parte ciascuna delle diverse elaborazioni della dottrina, muovendo da un dato inequivocabile di diritto positivo, costituito dal disposto della L. n. 898 del 1970, articolo 4, comma 16, secondo cui il Tribunale decide con sentenza verificando esclusivamente “la sussistenza dei presupposti di legge” e valutando “la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli”.
3.4.4.1. In tal senso – accomunando le due fattispecie, che al di la’ della diversita’ di disciplina presentano l’evidenziato tratto comune della consensualita’ – si e’ affermato che, in caso di separazione consensuale o di divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale, ma sull’accordo tra i coniugi. Essa realizza pertanto – in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto piu’ debole e dei figli – un controllo solo esterno su tale accordo, attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell’ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse superiore e trascendente della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti. Ne consegue che i coniugi ben possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalita’ di visita dei genitori (Cass., 20/08/2014, n. 18066; Cass., 13/02/2018, n. 10463).
3.4.4.2. Nel medesimo ordine di idee si pone la successiva pronuncia, con la quale questa Corte – affrontando un caso di revoca unilaterale del consenso da parte di uno dei coniugi – ha stabilito che il Tribunale deve comunque provvedere all’accertamento dei presupposti per la pronuncia richiesta, per poi procedere, in caso di esito positivo della verifica, all’esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone esclusivamente la conformita’ a norme inderogabili ed agli interessi dei figli minori.
Infatti, a differenza di quanto avviene nel procedimento di separazione consensuale, la domanda congiunta di divorzio da’ luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, nell’ambito del quale l’accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva, con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale della L. n. 898 del 1970, ex articolo 3, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici. Il che consente al tribunale di intervenire su tali accordi soltanto nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l’adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose (Cass., 24/07/2018, n. 19540).
3.4.4.3. E’ del tutto evidente, pertanto, che – ferma la natura costituiva della sentenza che definisce il procedimento di divorzio a domanda congiunta, con la peculiarita’ che siffatta pronuncia e’ emessa sull’accordo delle parti, sia pure avente natura ricognitiva dei presupposti per la pronuncia sullo status, che il Tribunale ha comunque il dovere di verificare – la sentenza in parola viene a rivestire un valore meramente dichiarativo, o di presa d’atto, invece, quanto alle condizioni “inerenti alla prole ed ai rapporti economici”, che la domanda congiunta di divorzio deve “compiutamente” indicare. Fermo il limite invalicabile costituito dalla necessaria mancanza di un contrasto tra gli accordi patrimoniali e norme inderogabili, e dal fatto che gli accordi non collidano con l’interesse dei figli, in special modo se minori.
3.4.5. La pacifica – secondo tutta la giurisprudenza di legittimita’ succitata – natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex articolo 1322 c.c., comma 2, comporta pertanto che – al di fuori delle specifiche ipotesi succitate – nessun sindacato puo’ esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizione stipulate dalle parti, e riprodotte nel verbale di separazione. Come del resto – sul piano generale – il giudice non puo’ sindacare qualsiasi accordo di natura contrattuale privato, che corrisponda ad una fattispecie tipica, libere essendo le parti di determinarne liberamente il contenuto (articolo 1322 c.c., comma 1), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceita’ delle contrattazioni private e, se si tratta di pattuizioni atipiche, sempre che l’accordo sia anche meritevole di tutela secondo l’ordinamento (articolo 1322 c.c., comma 2).
3.4.6. E’ del tutto evidente, pertanto, che l’impostazione seguita – nel caso di specie – dalla Corte d’appello si e’ tradotta, in concreto, in un limite ingiustificato all’esplicazione dell’autonomia privata, che potrebbe dispiegarsi – ad avviso della Corte territoriale esclusivamente in direzione di un accordo obbligatorio, avente il valore sostanziale di un preliminare, e non di un atto traslativo definitivo. L’operazione ermeneutica che ne e’ derivata si e’ concretata, pertanto, in una sorta di peculiare – quanto inammissibile – “conversione” dell’atto di autonomia, che da trasferimento definitivo e’ stato trasformato d’ufficio, dal giudice, in un mero obbligo di trasferimento immobiliare.
Ed invero, il giudice di secondo grado ha confermato, sul punto, l’impostazione operata dal primo giudice, secondo cui le condizioni stabilite dalle parti vanno precisate nel senso che “i trasferimenti immobiliari indicati nelle condizioni siano da intendersi come impegni preliminari di vendita e di acquisto”.
3.4.7. Per converso, in una lettura costituzionalmente orientata che tenga conto de fondamento costituzionale dell’autonomia privata, ravvisabile negli articoli 2, 3, 41 (Corte Cost., sent. n. 60 del 1968) e 42 Cost. – e’ evidente che una restrizione dell’autonomia, per di piu’ in presenza di una situazione di crisi coniugale che impone, anche sul piano solidaristico, una soluzione il piu’ celere possibile quanto meno delle questioni economiche che possono tradursi in ulteriori motivi di contrasto tra i coniugi, la soluzione propugnata dalla Corte territoriale non puo’ ritenersi condivisibile. Basti, per vero, por mente all’evenienza, di certo tutt’altro che improbabile, che – in caso di inadempimento, per qualsiasi ragione, dell’obbligato alla promessa di trasferimento della proprieta’ di beni, in sede di accordi di separazione consensuale o di divorzio congiunto – la controparte di siffatti accordi non potra’ che intraprendere dovendo escludersi anche una risoluzione del patto per inadempimento, non trattandosi di un contratto sinallagmatico, bensi’ dell’adempimento di un dovere di mantenimento previsto dalla legge (Cass., 17/06/2004, n. 11342) – di un lungo ed incerto giudizio di esecuzione specifica dell’obbligo, ai sensi dell’articolo 2932 c.c.. Con evidente levitazione dei costi, che verrebbero ad incidere su di una situazione gia’ fortemente compromessa sul piano economico.
3.4.8. D’altro canto, tale soluzione contrasta con la rilevata assenza – sul piano generale, e fatte salve le verifiche che il Tribunale e’ tenuto ad operare nelle singole fattispecie concrete – di profili di illiceita’ o di meritevolezza di siffatti accordi.
3.4.9. Ne’ la diversa opzione interpretativa puo’ efficacemente fondarsi, a giudizio di queste Sezioni Unite, sulla disposizione della L. 27 febbraio 1985, n. 52, articolo 29, comma 1-bis, introdotto dal Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 19, comma 14, a norma del quale “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati gia’ esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unita’ immobiliari urbane, a pena di nullita’, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformita’ allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione puo’ essere sostituita da un’attestazione di conformita’ rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformita’ con le risultanze dei registri immobiliari”.
E’ di chiara evidenza, infatti, che il tenore letterale della norma fonda la previsione di nullita’ sulla mancanza nell’atto dell'”identificazione catastale”, nonche’ del “riferimento alle planimetrie depositate in catasto” e della “la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformita’ allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”. Si tratta dunque, com’e’ del tutto evidente, di una nullita’ testuale (articolo 1418 c.c.) di carattere oggettivo che, a prescindere dalla esattezza e veridicita’ degli allegati e della dichiarazione, determina la nullita’ dell’atto per la sua sola mancanza (per un’ipotesi non dissimile, Cass. Sez. U., 22/03/2019, n. 8230).
3.4.10. Tale nullita’ non e’ ancorabile, pertanto, al soggetto che compie tale accertamento – neppure individuato nella prima parte dell’articolo 29 succitato – ben potendo la nullita’ stessa verificarsi qualunque sia il soggetto che roga l’atto, sia esso un notaio o anche le parti private nella scrittura privata autenticata. Il che risulta confermato dal fatto che l’unica previsione che si riferisce al notaio, contenuta nell’ultima parte della norma (individuazione degli intestatari catastali e verifica della loro conformita’ con le risultanze dei registri immobiliari), non e’ sanzionata dalla nullita’ dell’atto.
Ne discende che l’accordo traslativo adottato in sede di divorzio ma mutatis mutandis il principio, per le ragioni suesposte, e’ applicabile anche alla separazione consensuale, nella quale l’atto traslativo e’ riconducibile alla parte negoziale eventuale dell’accordo, ai sensi degli articoli 150 e 158 c.c., ma l’atto, non essendo espressamente previsto e disciplinato dalla legge, ha natura atipica deve contenere tutte le indicazioni richieste, a pena di nullita’, dalla L. n. 52 del 1985, articolo 29, comma 1-bis.
3.4.11. Sotto tale profilo, e’ evidente che il verbale dell’udienza di comparizione dei coniugi redatto dal cancelliere ai sensi dell’articolo 126 c.p.c., che – per intanto – realizza l’esigenza della forma scritta dei trasferimenti immobiliari, richiesta dall’articolo 1350 c.c., e’ – come dianzi detto – un atto pubblico avente fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che egli attesta essere avvenuti in sua presenza (oltre alle decisioni succitate, cfr. Cass., 12/01/2009, n. 440; Cass. 11/12/2014, n. 26105).
E’ stato gia’ chiarito, infatti, che la dominante giurisprudenza di legittimita’ e una parte della dottrina ammettono la possibilita’ di attribuzioni patrimoniali tra coniugi in sede di separazione consensuale e di divorzio su domanda congiunta, ritenendo che le relative pattuizioni, quando operino il trasferimento in favore di uno di essi o di terzi di beni immobili, in quanto inserite nel verbale di udienza, redatto da un ausiliario del giudice e diretto a far fede di cio’ che in esso e’ attestato, devono ritenersi, stipulate nella forma di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 2699 c.c. e quindi trascrivibili, ai sensi dell’articolo 2657 c.c.. Secondo tale opinione, al cancelliere (esattamente come al giudice) compete la qualifica di pubblico ufficiale e lo svolgimento delle formalita’ relative all’udienza, ivi compresa la stesura del verbale, rientra nell’esercizio di una pubblica funzione (cfr. articolo 357 c.p.); sicche’ gli atti redatti o formati con il suo concorso, nell’ambito delle funzioni al medesimo attribuite, e con l’osservanza delle formalita’ prescritte dalla legge, costituiscono atti pubblici ai sensi dell’articolo 2699 c.c..
Gli incombenti relativi alla verifica della coincidenza dell’intestatario catastale con il soggetto risultante dai registri immobiliari – previsti dall’ultima parte della L. n. 52 del 1985, articolo 29 – ben possono, di conseguenza, essere eseguiti dall’ausiliario del giudice, sulla base della documentazione che le parti saranno tenute a produrre, se del caso mediante un protocollo che ciascun ufficio giudiziario – come accade gia’ in diversi Tribunali potra’ predisporre d’intesa con il locale Consiglio dell’ordine degli avvocati.
3.4.12. L’opzione interpretativa che queste Sezioni Unite intendono privilegiare, e’, d’altra parte, in linea con le affermazioni della piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, emesse con specifico riferimento alla L. n. 52 del 1985, articolo 29, comma 1-bis. Si e’ – per vero – anzitutto affermato, al riguardo, che la dichiarazione richiesta dal Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, articolo 19, comma 14, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122, riguarda la conformita’ allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile, ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali. L’omissione – ma limitatamente a tale dichiarazione – determina, pertanto, la nullita’ assoluta dell’atto, perche’ la norma ha una finalita’ pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilita’ disciplinare del notaio, ai sensi della L. 16 febbraio 1913, n. 89, articolo 28, comma 1 (Cass., 11/04/2014, n. 8611; Cass., 21/07/2016, n. 15073; Cass., 03/06/2016, n. 11507; Cass., 29/08/2019, n. 21828).
3.4.13. Quanto all’ambito di applicazione delle prescrizioni riguardanti le informazioni e le dichiarazioni catastali, previste a pena di nullita’, la tesi minoritaria secondo la quale il perimetro applicativo della norma sarebbe circoscritto allo schema dell’atto negoziale notarile (sia esso l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata), con esclusione, oltre che delle scritture private semplici, anche degli atti pubblici amministrativi o giudiziari, che producano gli stessi effetti giuridici indicati dalla norma, e’ smentito dall’orientamento assolutamente maggioritario della dottrina.
La maggioranza degli interpreti considera, per vero, necessaria una interpretazione estensiva e adeguatrice della disposizione in esame, che la rende applicabile agli atti di categoria diversa che trasferiscano o costituiscano diritti reali (o sciolgano la comunione dei relativi diritti). Si ritiene, in sostanza, che, pur essendo la norma rivolta anzitutto agli atti formati o autenticati dal notaio, essa sia, comunque, applicabile a tutti gli atti amministrativi che producono i medesimi effetti, quali i decreti di trasferimento per espropriazione, ed anche agli atti giudiziari, come le sentenze costitutive ex articolo 2932 c.c.. Se non si aderisse alla tesi estensiva – non si manca di rilevare, altresi’, da autorevole dottrina – si porrebbe il piu’ generale problema della configurabilita’ dei trasferimenti immobiliari nei verbali di conciliazione ex articolo 185 c.p.c., aventi certamente natura negoziale, ancorche’ redatti con l’intervento del giudice a definizione di una controversia pendente (in tal senso, cfr. Cass., 26/02/2014, n. 4564; Cass., 28/06/2007, n. 14911).
3.4.14. Alla tesi dominante ha, peraltro, aderito la giurisprudenza piu’ recente di questa Corte, secondo la quale il mancato riscontro, da parte del giudice investito di una domanda di adempimento del contratto in forma specifica ex articolo 2932 c.c., della sussistenza della condizione dell’azione costituita dalla presenza in atti delle menzioni catastali di cui della L. n. 52 del 1985, articolo 29, comma 1 bis, costituisce un “error in iudicando” censurabile in cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 e non un vizio di contenuto-forma produttivo di nullita’ della sentenza. Gli effetti di tale errore, pertanto, si esauriscono all’interno del processo e non producono alcuna conseguenza sul piano della idoneita’ della sentenza ad essere trascritta nei registri immobiliari (Cass., 25/06/2020, n. 12654).
In una successiva pronuncia, questa Corte ha affrontato, poi, anche la questione relativa alla portata dell’ultima parte della L. n. 52 del 1985, articolo 29, comma 1-bis. La decisione – per vero ribadisce che nel giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di trasferimento immobiliare relativo ad un fabbricato gia’ esistente, la conformita’ catastale oggettiva di cui alla L. n. 52 del 1985, articolo 29, comma 1 bis, costituisce una condizione dell’azione e deve formare oggetto di accertamento da parte del giudice, che non puo’ accogliere la domanda ove la presenza delle menzioni catastali difetti al momento della decisione. Si afferma, peraltro, che il giudice non e’, viceversa, tenuto a verificare la ricorrenza della c.d. conformita’ catastale soggettiva, consistente nella coincidenza del promittente venditore con l’intestatario catastale del bene, in quanto essa non costituisce una condizione dell’azione e la sua mancanza non impedisce l’emissione di una sentenza costitutiva di trasferimento del fabbricato ex articolo 2932 c.c. (Cass., 29/09/2020, n. 20526).
3.4.15. Deve ritenersi, pertanto, che la disposizione succitata non sia applicabile esclusivamente agli atti compiuti con il ministero del notaio, ma si attagli invece a tutti i trasferimenti immobiliari che, oltre che in forma giudiziale, ai sensi dell’articolo 2932 c.c., ben possono essere effettuati anche in un verbale di conciliazione giudiziale o in un verbale di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta. D’altro canto, si osserva da parte di attenta dottrina, della L. n. 52 del 1985, articolo 29, comma 1 bis, ultimo periodo, il legislatore ha certamente detto meno di quanto volesse, usando il riferimento al notaio come indicativo dell’accertamento che deve essere compiuto in ogni caso di redazione dell’atto da parte del un pubblico ufficiale. Se, invero, avesse voluto imporre l’intervento del solo notaio, il legislatore avrebbe dovuto chiarire che introduceva una norma in deroga all’articolo 1350 c.c., sia pure limitatamente alle unita’ immobiliari urbane, mentre nulla ha disposto sul punto, dovendo pertanto ritenersi ancora pienamente lecite, e valide, semplici scritture private, che riportino trasferimenti o costituzioni di diritti reali, o scioglimento delle relative comunioni.
Secondo i sostenitori di tale tesi, un’opinione contraria renderebbe, d’altro canto, la norma intrinsecamente incoerente, visto che, da una parte, legittima la possibilita’ di realizzare atti dispositivi anche con scritture private e, dall’altra, impone la redazione di tali atti da parte del notaio. A cio’ viene aggiunta la considerazione che la violazione della disposizione sulla conformita’ soggettiva – come dianzi detto – non e’ assistita, come per la violazione di quelle conformita’ oggettiva, dalla sanzione della nullita’, sicche’, se non vi e’ nullita’, e nessuna altra conseguenza e’ prevista, diviene difficile sostenere che, in forza di tale norma, solo il notaio possa compiere gli atti in esame.
3.5. Dando, conclusivamente, risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione, queste Sezioni Unite affermano i seguenti principi di diritto: “sono valide le clausole dell’accordo di divorzio a domanda congiunta, o di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprieta’ esclusiva di beni mobili o immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento; il suddetto accordo di divorzio o di separazione, in quanto inserito nel verbale d’udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di cio’ che in esso e’ attestato, assume forma di atto pubblico ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo la sentenza di divorzio resa ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 4, comma 16, che, in relazione alle pattuizioni aventi ad oggetto le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, ha valore di pronuncia dichiarativa, ovvero dopo l’omologazione che lo rende efficace, valido titolo per la trascrizione a norma dell’articolo 2657 c.c.; la validita’ dei trasferimenti immobiliari presuppone l’attestazione, da parte del cancelliere, che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui alla L. n. 52 del 1985, articolo 29, comma 1-bis; non produce nullita’ del trasferimento, il mancato compimento, da parte dell’ausiliario, dell’ulteriore verifica circa l’intestatario catastale dei beni trasferiti e la sua conformita’ con le risultanze dei registri immobiliari”.
4. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, accolto. La sentenza impugnata va, di conseguenza, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, che dovra’ procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti.
5. Nessuna statuizione va emessa sulle spese del presente giudizio, trattandosi di ricorso congiunto.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.
Dispone, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, che in caso di diffusione della presente sentenza si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi delle parti.