Ordinanza, Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 26 agosto 2020, n. 17810, Raccomandata semplice – risultanze scaricate da internet:

Secondo la Suprema Corte, le risultanze del sito internet del gestore del servizio postale, relative all’esito della spedizione di una lettera raccomandata semplice, costituiscono elemento di prova indiziaria sull’esito della spedizione della raccomandata. La valutazione a fini probatori di tale elemento di prova rientra nell’ambito della discrezionalità del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità. Ciò non toglie che le risultanze prodotte possano essere contestate in ordine alla loro conformità all’originale ai sensi dell’art. 2712 c.c. nonché ai sensi delle norme del codice dell’amministrazione digitale. Il giudice potrà superare tale contestazione chiedendo al gestore del servizio postale informazioni ex art. 213 c.p.c oppure verificando lui stesso dal sito internet ex art. 447 bis c.p.c, III co., c.p.c. in caso di controversie in materia di affitto, comodato e locazione.

Corte Suprema di Cassazione, III Sezione Civile, 26 agosto 2020, n. 17810:

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 32138 del ruolo generale dell’anno 2018 proposto da:
S.E., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta procura allegata al ricorso,
dagli avvocati Roberto Riccoboni, (C.F.: RCCRRT35S01G224B), Giovanni De
Davide, (C.F.: DDGVNN70H23L840H), e Massimo Romanello (C.F.:
RMNMSM56P22F205Y);

ricorrente –
nei confronti di:
M.Z.A., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura notarile allegata al
controricorso, dagli avvocati Luca Minoli, (C.F.: MNLLMS61A29F839O) e Sergio
Fulco, (C.F.: FLCSRG73B21F205C);

controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Bologna n. 1936/2018,
pubblicata in data 30 agosto 2018 (e notificata in pari data);
udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 7 luglio 2020 dal
Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.
Svolgimento del processo
M.Z.A. ha agito in giudizio nei confronti di S.E. per ottenere il rilascio di un immobile
sito in (OMISSIS), alla stessa concesso in comodato.
La domanda è stata accolta dal Tribunale di Bologna.
La Corte di Appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre la S., sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso il M..
Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380
bis.1 c.p.c..
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione o falsa applicazione delle
norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1321 c.c., art. 1325 c.c., n.
1, art. 1326 c.c. e art. 1350 c.c., n. 2 e art. 301 c.p.c.”.
Con il secondo motivo si denunzia “Violazione o falsa applicazione delle norme di
diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 100 c.p.c.”.
I primi due motivi del ricorso sono logicamente connessi e possono quindi essere
esaminati congiuntamente.
Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
La corte di appello ha affermato sussistere, sia la legittimazione che l’interesse ad
agire del M., avendo ritenuto che la sentenza della corte inglese prodotta dalla S.
non contenesse statuizioni costitutive dell’effetto del trasferimento del diritto di
usufrutto, vantato dal M. sull’immobile oggetto del comodato, alla società straniera
Pikeville, ma si limitasse a prevedere l’obbligo del M. di operare detto trasferimento
(in favore della società Pikeville o di altro soggetto da questa indicato) e non
essendo del resto stata fornita prova dell’avvenuta attuazione del trasferimento.
Ha ritenuto inoltre che la perdurante titolarità “formale” del diritto di usufrutto in capo
al M. fosse confermata dalla circostanza che gli amministratori della Pikeville
avevano dato istruzioni a quest’ultimo di agire in giudizio nei confronti della
comodataria per recuperare l’immobile nell’interesse della società.
Con il primo motivo, la ricorrente sostiene che la sentenza inglese prodotta in
giudizio (della quale non contesta l’efficacia non costitutiva del trasferimento del
diritto di usufrutto, come statuito dai giudici di merito) attesterebbe in realtà
l’esistenza di un accordo tra le parti interessate (Pikeville da un lato, quale nuda
proprietaria, e M. dall’altro, quale usufruttuario) diretto al trasferimento del suddetto
diritto di usufrutto, accordo evidentemente raggiunto precedentemente (o al più
contemporaneamente) all’emissione del provvedimento giudiziario e a suo dire
idoneo di per sè a determinare detto trasferimento.
Con il secondo motivo, sostiene che la Corte di Appello avrebbe errato a ritenere che
la circostanza che gli amministratori della società Pikeville avevano dato istruzioni a
M. in ordine alle iniziative da assumere nei confronti della comodataria costituiva una
conferma della perdurante titolarità del diritto in capo al medesimo M., in quanto, al
contrario, la Pikeville poteva avere interesse ed essere legittimata a impartire tali
istruzioni solo in quanto soggetto titolare del diritto di piena proprietà sull’immobile.
1.1 Con riguardo al valore da attribuire alla sentenza dell’Alta Corte di Giustizia –
Tribunale delle Imprese di Londra in data 12 aprile 2017, la censura è inammissibile
per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ancor prima
che infondata.
Secondo la ricorrente, poichè nella predetta sentenza si dà atto della sussistenza di
un accordo delle parti in ordine al trasferimento dell’usufrutto sull’immobile, ne
deriverebbe che il trasferimento stesso dovrebbe ritenersi attuato sulla base di tale
accordo, risultante da atto scritto.
Orbene, in primo luogo, nel ricorso risultano trascritte esclusivamente poche righe
del provvedimento giudiziario in questione, in base alle quali non è assolutamente
possibile comprendere il suo effettivo contenuto e la ratio decidendi e, dunque, non è
possibile valutare la fondatezza dell’assunto della ricorrente secondo cui da esso
emergerebbe la sussistenza di un accordo delle parti in ordine alla volontà di un
immediato trasferimento del diritto di usufrutto anzichè solo di un impegno a porne in
essere il successivo trasferimento.
D’altra parte, è evidente che – a differenza di quanto sostiene la stessa ricorrente – la
incontestata natura della sentenza di cui si discute, non costitutiva del trasferimento
del diritto di usufrutto, ma contenente una mera statuizione attestante l’obbligo del
M. di porre in essere tale trasferimento (peraltro in favore della società Pikeville o di
altro soggetto da questa indicato), risulta logicamente incompatibile con l’esistenza
di un precedente accordo tra le parti di per sè idoneo a trasferire quel diritto alla
Pikeville: basti considerare che se Pikeville fosse stata già piena proprietaria
dell’immobile non sarebbe stato certo possibile, sul piano logico e giuridico, imporre
al M. l’obbligo di trasferire il diritto di usufrutto in suo favore (o addirittura in favore di
un diverso soggetto da essa indicato).
1.2 Sulla base di quanto fin qui esposto, emerge con evidenza anche l’infondatezza
delle argomentazioni contenute nel secondo motivo del ricorso.
Essendo il M. ancora titolare del diritto di usufrutto sull’immobile, benchè obbligato a
trasferirlo alla Pikeville (già nuda proprietaria) o ad altro soggetto da questa indicato,
non solo risulta innegabile l’interesse di quest’ultima di ottenerne la liberazione dalla
comodataria, ma si spiega altresì la ragione per cui, non potendo provvedervi
direttamente (in quanto non ancora titolare del diritto di usufrutto), abbia avuto la
necessità di incaricare il M. stesso di farlo, in quanto soggetto ancora formalmente
legittimato, naturalmente nel suo interesse sostanziale (o, quanto meno, anche nel
suo interesse sostanziale).
Come correttamente rilevato dalla corte di appello, dunque, l’esistenza di tali
istruzioni costituisce effettivamente una ulteriore conferma del fatto che la società
Pikeville non aveva ancora acquisito la titolarità formale del diritto di usufrutto
sull’immobile detenuto in comodato dalla S., titolarità ancora spettante al M. (pur
obbligato al suo trasferimento). 2. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione o falsa
applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento
all’art. 447 bis c.p.c., all’art. 421 c.p.c., come richiamato dall’art. 447 bis c.p.c., all’art.
2712 c.c., nonchè all’art. 23 del codice dell’amministrazione digitale (cad)”.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Le censure riguardano la prova della disdetta del contratto di comodato da parte del
M., che questi afferma di avere effettuato con due lettere raccomandate spedite dalla
propria residenza estera, negli Emirati Arabi Uniti, a due diversi domicili della
comodataria (quello effettivo in Bologna, dove la missiva le era stata consegnata,
nonchè quello indicato nel contratto di comodato, in Reggio Emilia, dove la
consegna non aveva potuto avere luogo), lettere che peraltro quest’ultima nega di
avere mai ricevuto.
Emerge dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso che il M. aveva prodotto tre
documenti a sostegno del proprio assunto per cui le raccomandate in questione
erano state regolarmente inviate a mezzo del servizio postale degli Emirati Arabi
Uniti, che entrambe contenevano la disdetta del contratto di comodato e che quella
inviata presso l’indirizzo di Bologna era pervenuta nella sfera di conoscibilità della S.,
essendo stata regolarmente consegnata al destinatario (si tratta dei documenti 3, 4 e
5 allegati al ricorso di primo grado). Emerge altresì che, di fronte alla contestazione
operata dalla S. ai sensi dell’art. 2712 c.c., con riguardo alla conformità della
riproduzione delle risultanze del sito internet del servizio postale degli Emirati Arabi
Uniti di tracciamento delle raccomandate, il giudice di primo grado aveva proceduto
ad effettuare personalmente una verifica (che aveva avuto esito positivo), visitando
personalmente il suddetto sito internet e dandone atto nel verbale di udienza.
La corte di appello ha ritenuto, in diritto, legittima la suddetta verifica effettuata dal
giudice del tribunale, ai sensi degli artt. 213 e 421 c.p.c. e ha quindi confermato, in
fatto, la decisione di primo grado sulla regolarità e tempestività della disdetta del
comodato.
La ricorrente contesta la decisione in diritto, sostenendo in primo luogo che i
documenti prodotti dall’attore non avrebbero avuto alcun valore e che, comunque, nè
ai sensi dell’art. 213 c.p.c., nè ai sensi dell’art. 421 c.p.c., il giudice avrebbe potuto
effettuare di ufficio e personalmente la verifica dell’esito dell’invio raccomandato
accedendo al sito internet del servizio postale degli Emirati Arabi Uniti, senza
neanche avvalersi di un consulente tecnico.
Nel ricorso, peraltro, non è in alcun modo richiamato lo specifico contenuto dei
documenti del cui valore probatorio si discute, in violazione dell’art. 366 c.p.c.,
comma 1, n. 6.
Tenendo conto dell’indirizzo di questa Corte, secondo cui “la produzione in giudizio
di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di
ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale
attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo
dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata
sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria
regolarità del servizio postale e telegrafico” (Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 511 del
11/01/2019, Rv. 652130 – 01; Sez. L -, Sentenza n. 24015 del 12/10/2017, Rv.
646099 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13488 del 20/06/2011, Rv. 618337 – 01; Sez. 3,
Sentenza n. 12954 del 04/06/2007, Rv. 597708 – 01), in mancanza dello specifico
richiamo dell’effettivo contenuto dei documenti prodotti non è possibile accedere al
merito delle censure avanzate dalla ricorrente.
D’altra parte, in diritto, le risultanze del sito internet del gestore del servizio postale in
ordine all’esito della spedizione di una lettera raccomandata semplice (senza avviso
di ricevimento) costituiscono certamente quanto meno un ulteriore elemento di prova
indiziaria sull’esito della spedizione della raccomandata (elemento ulteriore, che
rafforza la presunzione della consegna dell’atto regolarmente spedito in
raccomandazione al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c.,
di cui si è già dato conto). La valutazione a fini probatori di tale ulteriore elemento di
prova rientra nell’ambito della discrezionalità del giudice del merito e non è
sindacabile in sede di legittimità.
Sotto quest’ultimo profilo, poi, la riproduzione cartacea delle risultanze del sito
internet può certamente essere oggetto di contestazione, in relazione alla sua
effettiva conformità alle risultanze stesse, ai sensi dell’art. 2712 c.c. (nonchè delle
stesse norme del codice dell’amministrazione digitale, invocato dalla ricorrente) ma,
in presenza di tale contestazione, è sempre consentito al giudice di accertare detta
conformità con qualunque altro mezzo di prova (cfr., ex multis: Cass., Sez. 2,
Ordinanza n. 5141 del 21/02/2019, Rv. 653024 – 01; Sez. 5, Ordinanza n. 12737 del
23/05/2018, Rv. 648402 – 01; Sez. L, Sentenza n. 3122 del 17/02/2015, Rv. 634590 –
01; Sez. L, Sentenza n. 2117 del 28/01/2011, Rv. 616047 – 01; Sez. 3, Sentenza n.
4395 del 04/03/2004, Rv. 570779 – 01; cfr. anche, con riguardo alle riproduzione di
documenti informatici, Cass., Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11606 del 14/05/2018, Rv.
648375 – 01), ivi inclusa una richiesta di informazioni al gestore del servizio, ai sensi
dell’art. 213 c.p.c., ovvero, come avvenuto nella specie, la verifica diretta del sito, e
ciò anche di ufficio, ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c., comma 3 (che consente al
giudice, nelle controversie in materia di locazione, comodato e affitto, di disporre di
ufficio, in qualsiasi momento, l’ispezione della cosa e l’ammissione di ogni mezzo di
prova). La relativa valutazione rientra poi, evidentemente, nell’insindacabile potere
dello stesso giudice del merito di apprezzare le emergenze istruttorie.
In definitiva, dunque, le censure di cui al motivo di ricorso in esame, oltre ad essere
infondate in diritto e prive di adeguato e specifico richiamo al contenuto dei
documenti su cui si fondano, si risolvono nella contestazione di un accertamento di
fatto in ordine all’esito della spedizione della raccomandata contenente la disdetta
del comodato, accertamento operato dai giudici di merito e sostenuto da adeguata
motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come
tale non sindacabile nella presente sede, nonchè nella richiesta di nuova e diversa
valutazione delle prove, non consentita nel giudizio di legittimità.

Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della
soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero
dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui D.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012,
n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore
del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 8.000,00, oltre Euro
200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero
dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui del
D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24
dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a
norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 luglio
2020.
Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.