Sentenza Cassazione penale Sez. V, 09-04-2020, n. 11745 – Intercettazioni
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente –
Dott. ZAZA Carlo – rel. Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –
Dott. MOROSINI E. M. – Consigliere –
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G.C., nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/02/2019 della CORTE di APPELLO di CALTANISSETTA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Lori Perla, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore della parte civile, avv. Luigi Ragno, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso depositando nota spese;
udito il difensore di C.G., avv. Ernesto D’Angelo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
Svolgimento del processo
1. C.G. ricorre avverso la sentenza del 12 febbraio 2019 con la quale la Corte di appello di Caltanissetta, confermando la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Caltanissetta del 21 giugno 2018, riteneva la G. responsabile del reato continuato di falso ideologico in atto pubblico e fraudolenta predisposizione di documenti relativi ad un sinistro, commesso il (OMISSIS) redigendo un falso certificato di visita e di diagnosi di trauma contusivo nei confronti di Ca.Em., in concorso con quest’ultimo e con i genitori dello stesso Ca.Lo. e S.S..
2. La ricorrente deduce violazione di legge sulla ritenuta utilizzabilità delle conversazioni telefoniche intercettate, in base alle quali veniva affermata la responsabilità dell’imputata, ai sensi dell’art. 270 c.p.p., comma 1, e in particolare che:
– le intercettazioni venivano disposte ed eseguite per reati non connessi o collegati a quelli per i quali si procedeva nei confronti della G., in quanto relativi a fatti commessi dalla S. nell’esercizio della propria funzione di presidente della Sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo;
– non è condivisibile il diverso orientamento per il quale sarebbero utilizzabili le intercettazioni autorizzate nell’ambito di un procedimento che originariamente riguardi anche reati in ordine ai quali si provveda successivamente alla formazione di procedimenti separati, essendo necessaria una stretta correlazione strutturale ed investigativa fra i reati per i quali venivano autorizzate le intercettazioni, e quelli emersi nel corso delle stesse, al fine di evitare che diritti fondamentali siano violati per effetto di un provvedimento autorizzativo in bianco, segnalando inoltre la ricorrente che la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite il 13 febbraio 2019.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
Come accennato nel ricorso, la questione sull’utilizzabilità di intercettazioni in un procedimento diverso da quello nell’ambito del quale le operazioni di intercettazione erano state originariamente autorizzate, relativo a reati non connessi nè collegati rispetto a quelli oggetto dell’iniziale autorizzazione pur se emersi nel corso dell’attività captativa e successivamente oggetto di separazione, è stata rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte. Orbene, all’esito del relativo giudizio, è stato affermato il principio per il quale il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali dette intercettazioni siano state autorizzate, previsto in linea generale dall’art. 270 c.p.p., non opera – oltre ai casi nei quali i risultati siano indispensabili per l’accertamento di reati in ordine ai quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza, fra i quali non è compreso quello in esame – con riguardo a reati che presentino connessione, nelle ipotesi di cui all’art. 12 c.p.p., con quelli oggetto dell’iniziale autorizzazione (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395).
Dai decreti di autorizzazione e di successiva proroga delle intercettazioni, allegati al ricorso, risulta che i rapporti fra la G. e la S. emergevano nel corso dell’esecuzione delle captazioni disposte nei confronti della prima giustificando le proroghe autorizzate a partire dal 12 giugno 2016; e la motivazione della sentenza impugnata evidenzia l’ampia utilizzazione dei risultati delle conversazioni, di conseguenza intercettate, per i reati contestati alla G. in questo procedimento.
Ne segue che, ove tali reati risultassero non connessi, nelle forme indicate dall’art. 12 c.p.p., rispetto a quelli che avevano motivato l’originaria autorizzazione delle intercettazioni nei confronti della S., l’utilizzazione dei risultati di tali intercettazioni a carico della G. sarebbe preclusa dal divieto di cui all’art. 270 c.p.p., secondo il menzionato principio giurisprudenziale.
Questa causa di inutilizzabilità non sarebbe sanata, è bene precisarlo, dalla scelta difensiva del giudizio abbreviato. Come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, in questo rito alternativo rimangono deducibili le inutilizzabilità definibili come “patologiche”, ossia derivanti dall’assunzione di atti probatori in violazione di specifici divieti normativi (Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246; Sez. 3, n. 23182 del 21/03/2018, D’Alessandro, Rv. 273345; Sez. 2, n. 19483 del 16/04/2013, Avallone, Rv. 256038). La stessa giurisprudenza ha riconosciuto tali caratteristiche nell’acquisizione di intercettazioni in violazione del divieto di cui all’art. 270 c.p.p. (Sez. 5, n. 542 del 15/11/2016, dep. 2017, Mantella, Rv. 269020); e non è del resto revocabile in dubbio, alla luce della formulazione letterale di detta norma, che la stessa precluda categoricamente l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali le operazioni sono state autorizzate, situazione alla quale è per quanto detto riconducibile il caso del procedimento concernente reati non connessi a quelli oggetto dell’iniziale autorizzazione.
Essendo a questo punto determinante, ai fini del giudizio sul motivo di ricorso in esame, accertare se i reati per i quali è stata affermata la responsabilità della G. presentino tale rapporto di connessione con quelli per i quali veniva intrapresa l’intercettazione delle conversazioni della S., dai cui esiti emergeva la notizia dei primi, dalla ricostruzione dei fatti esposta dai giudici di merito non emerge un legame di questo genere. Facendo riferimento alle singole ipotesi di connessione previste dall’art. 12 c.p.p., è in primo luogo estranea alla situazione esaminata quella del concorso di persone nello stesso reato, dovendosi valutare il nesso fra i reati contestati alla G. e quelli, diversi, originariamente ipotizzati a carico della S. con riguardo all’esercizio delle funzioni di presidente della Sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Neppure risulta ricorrere il caso del concorso formale o della continuazione fra i reati, non essendo contestati alla G. fatti oggetto della iniziale autorizzazione delle intercettazioni nei confronti della S.; nè emerge alcuna strumentalità fra i reati addebitati alla G. e le attività per le quali si procedeva nei confronti della S..
Tanto impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta per nuovo esame sulla rilevabilità di altri profili in ordine ai quali possa essere ravvisata la connessione di cui sopra, e in caso negativo, derivandone l’inutilizzabilità delle richiamate intercettazioni nei confronti della G., sulla sussistenza di altri elementi che sostengano un giudizio di responsabilità dell’imputata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2020